Vendita dei prodotti agricoli in forma scritta
30 Ottobre 2012La professione che svolgo mi impone di essere quotidianamente aggiornato in materia giuridica/economica.
Appena venuto a conoscenza delle novità che il presente è teso a divulgare, da professionista della materia e da amministratore, sia pure di minoranza, di un comune la cui economia è fondata prevalentemente (o quasi esclusivamente) sull’attività agricola, mi sono sentito in dovere di rendere noto ai cittadini quanto vedremo appresso.
Con Decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto col Ministro dello sviluppo economico del 19.10.2012, viene attuato l’art. 62 del D.L. n. 1 del 24.01.2012 che disciplina le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari.
La citata norma interessa tutti gli acquisti e vendite di prodotti agricoli e agroalimentari.
In primo luogo, viene introdotto l’obbligo di stipulare in forma scritta i contratti che hanno ad oggetto la cessione di tali prodotti.
Secondo il tenore del comma 2 dell’art. 3 del Decreto attuativo, per “forma scritta” si intende qualsiasi forma di comunicazione scritta, anche trasmessa in forma elettronica o a mezzo telefax, anche priva di sottoscrizione, avente la funzione di manifestare la volontà delle parti di costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale avente ad oggetto la cessione dei prodotti agricoli.
A pena di nullità devono essere indicati nei contratti i seguenti elementi essenziali: la durata, la quantità, le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento.
Il contratto scritto vero e proprio può essere sostituito dalla fattura immediata, dal documento di trasporto, dalle note di consegna e dagli scambi di comunicazioni avvenuti antecedentemente alla consegna del prodotto da parte dell’agricoltore. Nei detti documenti equipollenti devono comunque essere indicati gli elementi essenziali sopra elencati e deve essere riportata la dicitura, senza abbreviazioni, “Assolve gli obblighi di cui all’articolo 62, comma 1, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.”.
Con medesima decorrenza del 24 ottobre, inoltre, viene introdotto l’obbligo del pagamento dei corrispettivi derivanti dai detti contratti nel termine di 30 giorni per le merci deteriorabili e di 60 giorni per i prodotti non deteriorabili. Il computo dei giorni va effettuato con riferimento alla data di ricevimento della fattura da parte del soggetto tenuto al pagamento. Tale data è validamente certificata se la fattura viene consegnata a mano, a mezzo raccomandata A.R. o posta elettronica certificata, o con altri strumenti equivalenti previsti dalla vigente normativa fiscale.
Gli agricoltori o i commercianti che abbiano stipulato contratti prima del 24 ottobre non si ritengano però esonerati dalla nuova disciplina se i contratti di fornitura sono ancora in essere! Infatti devono provvedere ad adeguarli entro il termine del 31.12.2012.
Non costituiscono cessioni di prodotti agricoli assoggettate ai predetti obblighi, oltre naturalmente a quelle effettuate nei confronti di consumatori finali, i conferimenti di prodotti da parte degli imprenditori agricoli alle cooperative e/o alle organizzazioni di produttori se i detti imprenditori risultino soci delle stesse.
È previsto un sistema sanzionatorio piuttosto salato nei confronti di chi non ottempera agli obblighi introdotti!
È punito, infatti, con una sanzione amministrativa pecuniaria da € 516,00 a € 20.000,00 sia il venditore che l’acquirente dei prodotti se non abbiano utilizzato la forma scritta nel contratto.
Chi, invece, non rispetta i termini di pagamento delle fatture è passibile di sanzione amministrativa pecuniaria che può oscillare da € 500,00 ad addirittura € 500.000,00 da determinare in relazione al fatturato, alla eventuale recidività e alla misura dei ritardi. Per il ritardo sono inoltre dovuti gli interessi di mora, fissati oggi al 12%.
Da € 516,00 ad € 3.000,00 invece deve pagare chi pone in atto pratiche commerciali sleali a seconda del vantaggio ottenuto. Per la individuazione delle pratiche sleali vedasi il comma 2 dell’art. 62 del D.L. n. 1 del 24.01.2012.
Questo è quanto introdotto paradossalmente dal cosiddetto “Decreto liberalizzazioni”.
In un momento di grave difficoltà per il mondo agricolo e l’economia tutta, non credo sinceramente che gli agricoltori di Palagiano possano trovare queste misure, anche se per alcuni versi positive, degne del termine “liberalizzazione”!
Inappropriati e fuori luogo, difatti, sembrano gli adempimenti burocratici posti in capo ai soggetti interessati da codesti provvedimenti, se si pensa che di recente si è ampiamente discusso di “liberalizzazioni” in concomitanza, o quasi, con le “semplificazioni”.
Tuttavia è necessario che tali misura vengano adottate per non incappare nelle gravose sanzioni!
Ai lettori ogni considerazione.
Francesco Carucci
L’unica considerazione che mi viene spontaneo fare è la seguente: manca ancora un 30% buono di ricchezza prodotta annualmente che non sia “intermediata” dalle sapienti mani dello stato.
Rivolgo pertanto a Monti e ai partiti che lo sostengono un appello affinché lo facciano lo sforzo capace di far passare il 100% della ricchezza per le mani dello stato. Potremo finalmente brindare in onore della Repubblica sovietica d’Italia.
Per il momento, purtroppo, dobbiamo ancora sopportare i pesanti effetti provocati dal “liberismo sfrenato e selvaggio”.
Mimmo Forleo
….A COSTO SI ESSERE PURTROPPO RIPETITIVO volevo approfittare di tale bellissima vetrina per rammentare a tutti i consiglieri che ANCHE LA TUTELA DI PARECCHI CITTADINI ESTROMESSI DALL’AULA CONSILIARE SENZA MOTIVO MI PARE IMPORTANTE!
PREGO NON DORMITE……TRATTASI DI DEMOCRAZIA!
UN CITTADINE CHE DICE QUELLO CHE PENSA….E PENSA QUELLO CHE DICE!
Quindi anche l’accordo che ha fatto lei, SIG. Carucci, insieme con S..BORRACCI, con la MAGGIORANZA dovrebbe essere reso pubblico.. Altrimenti le sanzioni saranno SALATISSIME, in sede di votazioni!!
L’art.62 del D.L.n.1 del 241\2012, lungamente atteso e fortemente voluto da Coldiretti, potrà rappresentare una pietra miliare nei rapporti commerciali in agricoltura, poichè impedirà che la componente attualmente più forte possa esercitare un’azione prevaricatrice nei confronti delle altre.
La grande distribuzione organizzata, ad esempio, pur disponendo di notevole liquidità, effettua pagamenti molto dilazionati nel tempo e questo si ripercuote in maniera drammatica su tutta la filiera, e in particolare sulle aziende agricole.
L’art.62, quindi, ponendo alcune regole riguardo i tempi di pagamento, vietando (comma 2 lettera c) le pratiche commerciali sleali che determinano prezzi palesemente al di sotto del costo di produzione medio dei prodotti, oggetto delle relazioni commerciali e delle cessioni da parte degli imprenditori agricoli, e ripristinando i giusti rapporti dentro la filiera, rappresenta un passo in avanti sul piano della trasparenza, correttezza e civiltà, perchè tende a tutelare in maniera formale il contraente più debole.
Vincenzo Stellaccio
Caspita!, oltre ad averlo “lungamente atteso” è stato pure “fortemente voluto da Coldiretti” questo obbrobrio giuridico. Complimenti davvero!
Sig. Stellaccio, da cosa presume che la grande distribuzione disporrebbe “di notevole liquidità”? Avete per caso condotto una ricerca, oppure siete andati ad intuito tirando ad indovinare? Nel caso la ricerca sia stata effettuata, potrebbe mostrarcela?
Inoltre, anche ammettendo che il vostro intuito sia infallibile e la “notevole liquidità” esista per davvero, sapete per caso di altri sistemi legislativi contenenti al loro interno una “pietra miliare” di pari portata?
Sa perché le pongo quest’ultima domanda? Perché, nella malaugurata ipotesi non se ne diano altri, vi toccherà anche spiegarci in quale modo intendete trattenere la grande distribuzione dal concludere affari più vantaggiosi all’estero.
Mimmo Forleo
Caro Avvocato, effettivamente intendo quello che Lei dice quando scivo che le misure sono “per alcuni versi positive”, riferendomi proprio alle pratiche sleali e soprattutto al pagamento nei 30 giorni dal ricevimento della fattura.
Un po’ gravoso, però, l’obbligo della forma scritta per quei piccoli agricoltori, che sono la maggior parte almeno a Palagiano, che vendono il prodotto sulla pianta (a blocco) o che ad esempio portano gli agrumi in quei magazzini di Massafra a giorni alterni, o ancora ai mercati all’ingrosso della zona in cui ogni mattina non sanno quale sarà l’acquirente. Ovviamente la mia è un’opinione che può essere condivisibile o meno.
Saluti.
Francesco Carucci
Francesco, proprio non capisco cosa possa esserci di positivo in una legge che nega il formarsi naturale del prezzo attraverso l’introduzione di un concetto balordo quale “il costo medio di produzione del prodotto”. Se davvero il legislatore si ritiene capace di individuare il costo medio di un prodotto, non sarebbe più semplice stabilirne per decreto il “giusto” prezzo di vendita?
Posso citarti i primi due esempi storici che mi vengono in mente per dimostrare a) che la cosa è fattibile, b) a quali disastri essa conduce.
A realizzarla ci pensarono prima l’imperatore Diocleziano e poi i pianificatori sovietici. Scopo di Diocleziano fu quello di interrompere una spirale inflazionistica dei prezzi originata dalla continua diminuzione della percentuale di metalli nobili nelle monete dell’epoca; i sovietici invece dovettero ovviare a qualcosa che Mises aveva previsto: l’impossibilità del formarsi dei prezzi in un sistema centralizzato e pianificato, che avrebbe impedito al sistema di funzionare e l’avrebbe portato a sicuro fallimento. Entrambi “pensarono bene” che per evitarsi i suddetti problemi sarebbe bastato stabilire per decreto il livello dei prezzi.
Risultato, per entrambi i casi: inflazione incontrollabile, nascita del mercato nero e scomparsa, di lì a non molto, dell’industria agricola.
Mimmo Forleo
Caro Mimmo, non sono sicuro di aver compreso il tuo intervento.
Il decreto ministeriale attuativo che ho citato nel comunicato descrive diversi tipi di pratiche commerciali sleali.
Per quella cui tu fai riferimento, convengo innanzitutto con te sul fatto che il legislatore non sia in grado di stabilire il costo medio di produzione. Credo infatti che, un eventuale accertamento di comportamento sleale da parte delle Autorità preposte, avverrebbe analizzando e comparando contratti analoghi conclusi da soggetti esercenti le medesime attività nella stessa zona geografica e nello stesso periodo. Non avverrebbe certo sulla base del dettato normativo. Un po’ come fa l’Agenzia delle Entrate quando accerta un maggior valore degli immobili che sono stati oggetto di atti di trasferimento di proprietà e quindi assoggettati a tassazione.
Tralasciando comunque questo aspetto, ritengo che il principio del libero mercato e della libera concorrenza siano giusti e fondamentali per l’economia di uno stato. Tuttavia, se qualcuno vendesse il prodotto, realizzando un ricavo minore del costo di produzione di quel prodotto, sarebbe controproducente per tutti.
A titolo esemplificativo, se per produrre 1 Kg di arance gli agricoltori Mimmo e Francesco spendessero 10 e quel chilogrammo venisse venduto da Mimmo a 15 e da Francesco a 20, non troverei scorretto o sleale il comportamento di Mimmo.
Se però Mimmo vendesse quel chilogrammo di arance a 8 (quando ha sopportato spese per 10) credo che arrecherebbe danno sicuramente a se stesso, ma anche a Francesco che non riuscirebbe più a vendere.
Da come ho interpretato il decreto attuativo, a questo proposito, credo sia questo lo spirito della Legge.
Con stima.
Francesco
Francesco, purtroppo siamo così imbevuti di dirigismo da non riuscire più a ragionare correttamente a proposito di mercato.
Il concetto di slealtà alla concepito alla maniere del decreto in questione non può esistere, atteso che il Mimmo del tuo esempio, non disponendo di risorse finanziarie infinite, dopo aver venduto sottocosto per qualche periodo si chiamerebbe fuori dal mercato da solo. A Francesco nel frattempo si presenterebbero due opportunità: 1) resistere fino a quando Mimmo non abbia esaurito le sue risorse; 2) adeguare i suoi prezzi a quelli di Mimmo. In entrambi i casi sarebbe il mercato (senza bisogno di alcuna legge) a farsi carico della fuoriuscita di Mimmo, oppure di Mimmo e Francesco, dai suoi meccanismi.
È la legge invece, in questo come in altri casi, a consentire che il produttore meno competitivo possa resistere comunque arrecando danno a sé e ad altri, consumatori compresi. Di fatto, come ho provato a spiegare nel commento precedente, questo decreto equivale ai decreti tesi a fissare prezzi “legali” e, facendo venir meno il libero gioco della domanda e dell’offerta, fissa arbitrariamente tanto il livello della domanda quanto dell’offerta. Il risultato non potrà essere altro che rendere l’agricoltura italiana ancora più vulnerabile di quanto lo sia già.
Con altrettanta stima,
Mimmo Forleo
PS 1: Mi rendo conto che l’obiezione apparentemente sensata a questo ragionamento potrebbe essere la seguente: “Senza che sia ancora intervenuta alcuna legge, il problema delle vendite sottocosto è già presente e dura da diversi anni.” Vero. Ma quanti dovessero porre tale obiezione commetterebbero due errori: 1) non considererebbero i maggiori livelli di competitività esistenti in paesi esteri, credendo che l’agricoltura italiana sia isolata dal resto del mondo; 2) non giungerebbero mai a chiedersi cos’è che rende la nostra agricoltura così scarsamente competitiva.
Pur non essendo un avvocato, ma un semplice agricoltore, rappresentante di categoria e amministratore di una cooperativa agricola di settanta soci, avverto la necessità di alcune precisazioni in merito all’argomento.
Da una prima valutazione giuridica dell’art. 62 pare, ad esempio, che le vendite “in blocco” e quelle che non prevedono continuità contrattuale, non potranno avvantaggiarsi dell’applicazione del suddetto articolo.
Per quanto riguarda il commento di Mimmo Forleo, avendo letto svariate vole i suoi articoli non avrei mai immaginato che assumesse la difesa di ufficio della G.D.O. anche perchè,trattandosi di un autentico “potere forte” non ne avrebbe proprio bisogno, e tuttavia, neanche questa potente lobby, servita e riverita dal potere politico e bancario, ha avuto l’ardire di definire l’art. 62 “obbrobrio giuridico”, ma si è limitata a ottenere qualche miglioramento, dal suo punto di vista, durante la fase di approvazione del decreto applicativo.
Non sono necessari, a mio avviso, dati contabili per dimostrare lo strapotere economico acquisito dalla G.D.O. negli ultimi decenni, con l’instaurazione di una sorta di oligopolio, e sono indifendibili quelle catene di distribuzione che, ad esempio, effettuano pagamenti ” a trenta giorni” in Francia e solo dopo quattro mesi in Italia.
Ribadisco quindi, che l’art.62, ispirandosi ,tra l’altro, a un preciso indirizzo legislativo comunitario, va nella direzione auspicata dalle aziende agricole, cooperative e operatori commerciali, che di fatto, trovandosi in una condizione di totale subalternità e bassa remuneratività, rischiano la chiusura con gravissime ripercussioni sull’intero tessuto economico.
Trovo comunque estremamente positivo un dibattito su questi temi, avendo personalmente fatto del confronto e della condivisione un’opportunità di crescita professionale e culturale .
Vincenzo Stellaccio
Sig. Stellaccio, concordo con lei e con Carucci quando sostenete la necessità che si dia un dibattito approfondito su questi temi, non fosse altro per evitare che una qualsiasi delle parti coinvolte possa uscirsene con frasi tipo: “Non sono necessari, a mio avviso, dati contabili per dimostrare lo strapotere economico acquisito dalla G.D.O. negli ultimi decenni, con l’instaurazione di una sorta di oligopolio, e sono indifendibili quelle catene di distribuzione che, ad esempio, effettuano pagamenti ” a trenta giorni” in Francia e solo dopo quattro mesi in Italia.”
Lo strapotere economico di cui lei parla è probabile che esista, ma non è detto debba necessariamente derivare dal possesso di una “notevole liquidità” che potrebbe non esistere affatto. Che alcune catene distributive paghino con modalità temporali diverse in paesi diversi potrebbe ben dipendere dal maggiore o minore potere contrattuale detenuto dai produttori.
In Francia la proprietà fondiaria è concentrata in un numero minori di mani rispetto all’Italia ed è altresì differente la qualità dei capitali che la detengono: a un minor numero di proprietari terrieri fa da contraltare un più alto numero di aziende possedute da capitale azionario. Per semplificare, mentre in Francia si assiste a uno scontro fra giganti, in Italia la lotta si svolge tra giganti e nani.
Con questo non voglio dire che l’Italia dovrebbe obbligatoriamente mettersi a percorrere la stessa strada percorsa in Francia o altrove, intendo semplicemente sostenere, come ho già fatto trasparire dai commenti precedenti, che sarebbe bene evitare l’adozione di provvedimenti a prima vista favorevoli ma che potrebbero rivelare la loro velenosità nel medio e nel lungo periodo.
Non vorrei, in fin dei conti, che si ripetessero errori come quelli verificantesi a causa dell’assistenzialismo e del protezionismo imperanti in Europa che stanno provocando danni inenarrabili tanto ai produttori capaci quanto ai consumatori, i quali si ritrovano a dover pagare prezzi allucinanti per prodotti rinvenibili altrove molto più a buon mercato.
Mimmo Forleo
Mimmo Forleo, (se sei daccordo potremmo darci del tu) avendo usato nel tuo commento l’espressione forza contrattuale, non ti sorge il dubbio che se in un rapporto commerciale,ma non solo,una parte ne ha troppa, possa essere tentata di utilizzare la sua posizione dominante a suo esclusivo vantaggio?
L’art.62 servirà proprio a far emergere i comportamenti sleali e abusivi, fornendo finalmente a Magistratura, Antitrust e Guardia di Finanza lo strumento legislativo per perseguirli e sanzionarli.
Su questo aspetto anche un anarco-liberista, correggimi se sbaglio, come te, dovrebbe farsene una ragione.
Vincenzo, ho parlato di potere contrattuale e non di “forza”. Ma fa niente, immaginiamo pure che siano sinonimi e proviamo a vedere dove ci conduce il tuo discorso sulla necessità di perseguire e sanzionare chi ne abbia troppa.
Una posizione dominante sul mercato (o di maggior “forza”) o altrove, può essere dovuta a due fattori: 1) è frutto di capacità tipiche di chi le possiede; 2) è dovuta all’intervento di un terzo, che in maniera arbitraria e attraverso concessione di un privilegio assegna ad uno o più soggetti un vantaggio non detenuto da tutti gli altri. Quanto al punto 2), è bene precisare che la concessione di un privilegio può essere tanto di tipo positivo (quale la concessione di un monopolio) che negativo (impedendo ad esempio che una data situazione possa evolversi naturalmente e tendendo a cristallizzarla).
Adesso chiediamoci a cosa può essere dovuta, ammettendo che esista, la dominanza del settore distributivo rispetto a quello produttivo, in agricoltura e in particolare in Italia.
Possiamo tranquillamente evitare di chiederci se sia dovuta al fattore descritto al punto 1) perché, anche nel caso che di quel fattore si trattasse, una sua richiesta di limitazione equivarrebbe alla richiesta di segare le gambe al centometrista che dovesse vincere “troppe” gare.
Pertanto non ci resta che indagare se sia dovuta ai fattori del punto 2). Che io sappia la distribuzione in Italia non gode di concessione di monopolio, quindi, rimane da verificare se a suo favore gioca un privilegio di tipo negativo ricadente sui produttori.
Pare proprio di sì, atteso che la proprietà terriera in Italia è polverizzata più che altrove e atteso pure che in Italia, in quanto inserita nel sistema di sussidi e protezioni valido in Europa, si può ben parlare di cristallizzazione dell’esistente.
Va da sé allora che la correzione alla distorsione di cui vi lamentate (il possibile abuso di posizione dominante da parte della distribuzione) avrebbe una soluzione semplice e a portata di mano: si chiama “Eliminazione di ogni sussidio e protezione all’agricoltura”.
Detta soluzione è così semplice da capire anche negli effetti che comporterebbe (vedi la cessazione immediata di ogni dominanza derivante da interventi dovuti a un terzo soggetto, lo stato), che non c’è da meravigliarsi affatto se anche la distribuzione si dice contraria alla sua introduzione e gli preferisca di gran lunga un decreto cervellotico quanto l’attuale. Gli eventuali maggiori costi derivanti da quel decreto, a differenza dei produttori, loro potranno trasferirli sui consumatori.
Mimmo Forleo