Andiamo in Argentina?
4 Dicembre 2012La fase che precede una cena, a casa di Life e senza dimenticare la fornitrice dell’ottima carne posta sulla brace prima e negli stomaci poi, è senz’altro ideale per affrontare ogni sorta di tema scottante (più della carne) all’ordine del giorno. Si è ancora liberi dai fumi dell’alcol e, anche se la conversazione riesce meno “fluida”, la discussione si mantiene su basi più o meno razionali. Unico neo, in queste dispute, il non poter disporre di dati che avvalorino una tesi e decretino la sepoltura di quella opposta; si va dunque a tavola non proprio convinti di aver assestato il colpo decisivo per decretare il tramonto di alcuni miti facili a nascere ma duri a morire.
Uno di questi miti, molto in voga tra Grillini e sognatori anti-debito, risponde al nome “Argentina”. Si vocifera che, da quando la sua presidentessa, Cristina Kirchner, ha di fatto congelato il debito pubblico di quel “fortunato” paese, lì le cose abbiano cominciato a girare per il verso giusto. Il debito si sarebbe trasformato in incubo che popola solo i sogni dei creditori (tutti esteri e cattivi, ça va sans dire) e in compenso si starebbe assistendo a un vero e proprio boom dell’economia locale; la crescita marcia che è una bellezza a vedersi, i redditi crescono addirittura meglio!
Vediamo se le cifre danno ragione agli occhi. E beh, si. Sembrerebbe proprio di si. La crescita prevista dal governo argentino, calcolata al netto dell’inflazione ufficiale (9,7% a gennaio 2012), pare si attesti tra il 4,5 e il 7,5%. I salari nominali inoltre, a fronte di un’inflazione che è stata pari al 9,5% nel 2011, sono cresciuti nello stesso anno del 25%; nei fatti, un buon 15% in più che ai lavoratori deve sembrare grasso che cola e per di più a gratis.
A dire il vero, però, qualche dubbio sorge quando si confrontano la stima di crescita governativa dell’economia (4,5-7,5%) con quella avanzata da altri organismi internazionali: 3-3,5%. Si tratta di una differenza che va da 1,5 a 4 punti percentuali; non proprio poca roba, insomma. A cosa può essere dovuta una tale discrepanza?
Forse, anzi è certo, la risposta è tutta nel tasso d’inflazione monetaria. L’Argentina, come ogni altro paese civile, è dotata di un proprio istituto di statistica che “dà i numeri”, è proprio il caso di dirlo. L’equivalente argentino del nostro ISTAT, tenuto sotto “controllo” dal governo, è l’unico infatti a sostenere che l’inflazione sia poco al di sotto del 10%; tutti gli istituti indipendenti, invece, stimano che essa sia pari a poco meno del 23%.
Ecco spiegato allora come mai le stime di crescita non coincidano e, disgrazia ancor peggiore, i lavoratori non stiano guadagnando affatto le favolose cifre che sembravano. Difatti i salari non stanno facendo altro che correre dietro all’inflazione e qualche volta l’anticipano di un paio di punti; detto fenomeno, se solo avessimo un po’ di memoria, risulterebbe del tutto simile a quello verificatosi in Italia ai tempi della “scala mobile”.
Ma non è finita qui, altri e più gravi rischi si addensano sul già plumbeo cielo argentino.
Tanto per cominciare, la crescita economica è davvero difficile che possa corrispondere a quanto stimato, già in ribasso rispetto alla stima governativa, dagli organismi internazionali. È infatti probabile che detti organismi abbiano basato i propri calcoli utilizzando un dato intermedio tra l’inflazione ufficiale e quella reale. Dovesse essere così, cosa di cui mi dico certo, la “crescita” andrebbe rivista secondo il dato inflattivo reale e, così come sta accadendo in Europa, si comincerebbe a parlare di recessione.
La prova di quanto dico è rinvenibile nei dati riguardanti la crescita della massa monetaria circolante: questa nel solo 2011 è aumentata del 29%, mentre a gennaio scorso si prevedeva che sarebbe aumentata del 26,4% nel corso del 2012; e non si escludeva che potesse crescere fino al 31%. In altre parole il governo argentino, utilizzando la leva monetaria, sta provando a nascondere la recessione in cui versa il paese e fornisce “carta” nuova per consentire ai salari di stare dietro all’aumento dei prezzi.
Prima di giungere a una conclusione però, che per quanto catastrofica nelle previsioni rischieremmo di rendere ancora ottimista, è bene aggiungere che la banca centrale sta monetizzando l’intero deficit governativo. Vale a dire che da quando l’Argentina non riesce a collocare più il proprio debito sui mercati (e vorrei vedere qualcuno che dopo essersi visto “congelato” il proprio credito pregresso, tornasse a fare credito all’Argentina), i deficit annuali accumulati dal Tesoro vengono trasformati in nuovo debito acquistato dalla banca centrale. Con cosa paga questo debito la banca? Lo paga con nuova moneta appena stampata, ovvero “moneta” destinata a diventare carta straccia non appena il governo proverà a mettere un freno alla crescita monetaria; a meno che non decida di fare dell’Argentina lo Zimbabwe del Sud America.
Ok, a quando la tua analisi dell’UE?
E’ possibile confrontarla con l’Argentina?
Della seria ” chi erano, chi sono e cosa saranno”:
Sono davvero curioso…
Life.
Life, una prima “analisi” sullo stato della UE può venire proprio da una comparazione con l’Argentina, la cui “soluzione” al problema del debito è da molti proposta come modello al quale ispirarsi in Europa.
Al netto delle cifre “addomesticate” dal governo, la condizione della crescita economica argentina, come abbiamo visto, non è molto differente da quella europea: in entrambi i casi possiamo ben parlare di recessione conclamata.
Ad aggravare ulteriormente la situazione argentina, però, concorre appunto il suo disimpegnarsi dall’obbligo di onorare i debiti. Questo disimpegno ha comportato per il paese la chiusura delle linee di credito estere e una conseguente sparizione di dollari che, volenti o nolenti, costituiscono la forma di pagamento prediletta nelle transazioni internazionali. Per far fronte a questo problema l’Argentina ha attinto alle riserve della banca centrale e, quando questa ha provato a fare resistenza per motivi del tutto comprensibili (compito di ogni banca centrale è salvaguardare la stabilità della propria divisa nazionale), il governo non ha esitato a sostituirne il governatore.
Il risultato di questa politica dissennata e dirigista non ha tardato a manifestarsi: inflazione divenuta incontrollabile (la soglia ipotetica del 31% in più di moneta circolante è stata superata già a giugno di quest’anno), riserve in dollari ridotte al lumicino (nonostante le severe norme adottate per frenarne l’emorragia, e nonostante la crisi, negata dal governo, avesse concorso positivamente a rallentare l’uscita di dollari dal paese mantenendo in attivo le partite correnti. Le esportazioni argentine sono state per qualche tempo favorite dall’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e del petrolio, pur calando in termini assoluti, ma le importazioni sono diminuite in misura maggiore, atteso che pagare in pesos svalutati i prodotti d’importazione è divenuto proibitivo).
L’ultima carta rimasta in mano al governo argentino si chiama “nazionalizzazione” delle imprese operanti nel campo petrolifero e c’è da giurare che se la giocherà, compromettendo così il necessario programma di investimenti. Già adesso la produzione di petrolio si è ridotta del 30% rispetto ad alcuni anni fa poiché gli spagnoli, che detengono la quasi totalità degli impianti estrattivi, si sono visti decurtare arbitrariamente il prezzo di vendita. Senza remunerazione del capitale investito è difficile tornare a investire ancora per assicurare la produttività degli impianti; è un po’ quello che rischiamo in Italia grazie al referendum sull’acqua “bene comune”.
In Europa siamo messi male, è vero, ma non mi sembra che siamo giunti a un tale livello di demenzialità. Concludo ripetendo con Mario Seminerio, dal quale ho attinto per i dati: “L’incazzatura di Grillo è anche la nostra. Il problema (la differenza) è come incanalarla in modo fattivo e non demenziale. Hai detto niente.”
Mimmo Forleo
In rete ho velocemente visto che i pareri sono un po’ discordanti sulla situazione attuale dell’Argentina. C’e’ chi grida al miracolo, c’e’ chi vede ancora “nero”. Un po’ come succede in Europa.
Di certo,pero’, le “lacrime e sangue” europee nulla hanno a che fare con l’Argentina che seppur ancora in cattive acque continua a finanziare opere sociali, infrastrutturali e tecnologiche. In Italia,invece, si continua a “finanziare” solo la politica sempre piu’ “mangiona e sprecona” senza nessun rispetto per chi davvero e’ in grave difficolta’!
I sacrifici sono soltanto dei cittadini sempre piu’ travolti dalle tasse, loro,invece continuano a sperperare soldi pubblici senza ritegno.
E’ un dato di fatto,nessun “populismo”!
Tu stesso mi insegni che chi,come l’Argentina, investe nel futuro avra’ meno problemi rispetto a chi,come l’Italia, investe solo in “movimenti” bancari.
“Giochetti economici” a parte abbiamo intrapreso la strada che conduce ad arricchire sempre di piu’ i facoltosi e ad impoverire sempre di piu’ le classi medie/basse!
Il governo Monti non e’ nato per caso, non credi?
Italia o Argentina?
Oggi scelgo senza dubbio la seconda.
Tu invece?
Life.
Life, il 17 dicembre scade l’ultimatum che il Fondo Monetario Internazionale ha presentato al governo argentino il quale, essendo stato “pescato” alla stregua di quello greco mentre praticava trucchi contabili, è stato chiamato a rispondere sulla reale entità del tasso d’inflazione e “invitato” ad allinearlo con quello risultante ad altri organismi, tra i quali uno che è diretta emanazione del parlamento di quel paese.
Devi sapere che fino ad oggi l’Argentina, esclusa dai mercati mondiali del credito, ha potuto fare affidamento sui prestiti provenienti dalla Banca Mondiale e dall’Inter-American Development Bank. Seppure non del tutto adeguati alle esigenze del paese, detti prestiti hanno consentito all’Argentina di tirare a campare fino ad ora. Dovessero venir meno, in caso di mancata o “errata” risposta da parte del governo, la situazione precipiterebbe nel giro di pochi mesi.
Inoltre, già il 31 agosto scorso, Germania e Spagna si sono opposte alla concessione di un prestito di 60 miliardi di dollari da dedicare “ufficialmente” allo sviluppo economico della provincia di San Juan. È diventato finalmente chiaro che l’Argentina usa il pretesto degli aiuti umanitari per appiccicare pezze alle malefatte governative.
Trovo quindi alquanto curioso che ci sia ancora chi ritiene che l’Argentina, alle prese con problemi di natura tanto grave, sia tuttora in grado di far fronte a programmi prevedenti il finanziamento di “opere sociali, infrastrutturali e tecnologiche”. So per certo invece che il governatore della provincia di Buenos Aires, Daniel Scioli, nel mese di giugno, stanti i tagli governativi non è stato in grado di pagare la tredicesima al mezzo milione di dipendenti pubblici (su una popolazione di 16 milioni di anime!). Dopo una serie di scioperi e proteste di piazza, la soluzione escogitata è consistita in un dilazionamento dei pagamenti in quattro rate.
Se tutto questo per alcuni significa “investire nel futuro”, ai loro occhi una regione come la Sicilia deve allora sembrare un modello di virtù inarrivabili.
Mimmo Forleo
Ok, mi sembra di aver capito che tu abbia scelto l’Italia dei “Monti”!
bisogna pur “schierarsi” prima o poi…
Life
Se con l’espressione «l’Italia dei “Monti”» intendi una politica anti-inflazionistica e di rigore nei conti pubblici, ebbene sono fieramente montiano.
Purtroppo però detta politica può essere praticata in duplice modo: attraverso la vendita di asset (ricchezze) statali, allo scopo di ridurre il debito, e praticando economie nella spesa, per evitare che il debito torni a salire; ma è anche possibile tassare in misura maggiore, per contenere lo spread e lasciare invariato il debito, e consentire che gli enti locali, come è accaduto nella nostra Palagiano, spendino e spandino nonostante gli apparenti tagli alla spesa praticati dal governo centrale.
Apparentemente il risultato cui danno vita entrambe le impostazione è identico: stabilizzazione del mercato del credito monetario e quindi stabilizzazione della moneta stessa, che comportano un più basso esborso in termini di interessi sul debito e un miglioramento delle prospettive di sviluppo economico.
Tale identità però è solo apparente poiché nel secondo caso non si fa nulla per abbassare la pressione fiscale, e i risultati dal punto di vista dello sviluppo li abbiamo osservati nell’ultimo decennio quando, pur in presenza di un basso livello di interessi da pagare, dovuto all’introduzione dell’euro, le aspettative di sviluppo le abbiamo mandate a farsi benedire grazie all’incremento di spesa e alla tassazione selvaggia.
Il primo metodo, invece, privilegiando appunto bassi livelli di tassazione, consente il crearsi di nuova ricchezza e determina una più vasta platea dalla quale attingere fiscalmente, permettendoci così il lusso di mantenere in modo relativamente indolore l’esercito di parassiti che si annidano nella politica e nella burocrazia.
Adesso, considerando che non ho mai amato i parassiti, secondo te a quale dei due metodi ho intenso attribuire il mio gradimento?
Mimmo Forleo
Bene, c’e’ un’altra persona che la pensa come te, che odia i “parassiti”…
ed e’ un comico.
Come puoi notare, il cerchio si chiude.
Buona riflessione.
Life.
Nel “paese delle banane” – per citare ed allargare all’Italia intera la brillante definizione utilizzata da “gli Indignati” per la sola Palagiano – accade in questi giorni ciò che nei miei commenti a questo post era stato largamente previsto: all’Argentina stanno per essere tagliati anche i residui prestiti che l’avevano fino questo momento tenuta più o meno a galla.
A dire il vero si è finora trattato di una “dichiarazione di censura” venuta dal FMI, il quale ha doverosamente fatto notare all’Argentina di stare barando sui conti. Gli argentini (il governo) si ostinano a sostenere che il loro tasso d’inflazione sarebbe intorno al 10% annuo, mentre è ormai risaputo che esso viaggia al 25% e oltre.
Uno potrebbe anche dirsi: “E chi se ne fotte delle censure del FMI?”.
Il problema vero però è che le censure in questi casi fanno da anticamera al taglio dei prestiti, e per un paese come l’Argentina, già trattato da paria dai mercati internazionali del prestito (non certo per via di qualche forma di razzismo, ma perché nel 2001 decise di non restituire più i crediti da quei mercati vantati nei suoi confronti), questo potrebbe significare nuovo fallimento sicuro.
Prestate attenzione, ho usato la formula dubitativa perché se fosse vera la storia del boom economico, di cui parlano i grillini e sostenuta anche da Life, allora potrebbe anche essere vero che l’Argentina avrebbe risorse sufficienti per autofinanziare il proprio debito. Stando però alla pronta levata di scudi venuta dalla Kirchner, c’è ben poco da sperare da quel lato. L’Argentina e gli argentini, dunque, si preparino per una nuova doccia fredda; altro che boom economico!
A inizio di commento ho citato il “paese delle banane”, il motivo è presto detto.
Uno si aspetta che siano i grillini a mostrare sorpresa per la censura, continuando a voler credere alla favola, messa in giro da loro, di un’Argentina i cui fondamentali economici siano in ordine e perfino strabilianti, ma non si aspetta certo che a farlo possa essere pure il giornale di Confindustria (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-02/fondo-monetario-censura-argentina-185355.shtml?uuid=AbgCTfQH).
Il Sole24Ore, mestando nel torbido, fa trasparire la possibilità che possa darsi nel prossimo futuro perfino l’espulsione dell’Argentina dal FMI. Ora, a parte il fatto che non ci troverei nulla di strano in questa eventuale espulsione (a che pro tenersi socio di un club uno che oltre a non pagare la tessera viene scoperto a frugare nelle tasche altrui?), il grave di quanto riportato da il Sole consiste nel tentativo di far apparire ingiusti i tagli al credito. E questo dimostra, laddove ce ne fosse ancora bisogno, quanto sia radicata e diffusa in Italia l’idea che sia possibile vivere comodamente e a tempo indefinito a spese degli altri.
Mimmo Forleo
Sul tema ci sono vari interventi proprio sul sito di grillo. Io continuo a pensarla che una nostra uscita dall’euro porterebbe piu’ vantaggi che svantaggi.
Life.
http://www.beppegrillo.it/2013/02/il_fmi_contro_l.html#comments
Life, potresti avere ragione solo nel caso in cui ti riuscisse di dimostrare che l’inflazione, invece di renderci ancora più poveri, ci rende ricchi e “competitivi”. Attendo con ansia la dimostrazione. 🙂
Detto questo, e al netto delle diverse idiozie lette nella pagina dei commenti linkata (non li ho letti tutti, ma l’unico meritevole di attenzione mi è sembrato quello di un certo “Davide Be.”), rimane da dire che in questi giorni un’altra leggenda messa in giro da monetaristi e grillini assortiti, secondo la quale l’Islanda avrebbe disconosciuto il debito provocato dalle sue banche, si sta sgonfiando.
Per fortuna la realtà alla lunga la vince sempre sulle balle, anche le “meglio gonfiate”.
Che dire, infine, degli indignados, i volenterosi nazionalizzatori di banche “private”, dopo che il caso MPS ha fatto scoprire quanto poco ci sia da nazionalizzare nelle banche?
Mimmo Forleo
E se invece iniziassi tu a dimostrarmi come diventare piu’ ricchi nel nome della “finanza competitiva” europea?
Life
Life, stai facendo confusione. Non ho mai parlato di “finanza competitiva” e non posso certo essere io a portare dimostrazione dell’esistenza di qualcosa a me sconosciuta fino a questo momento. Semmai sei stato tu a sostenere, sulla scia di monetaristi e grillini, che il ritorno della lira ci renderebbe tutti più ricchi e competitivi. Ti evito però la dimostrazione di quanto affermi e mi faccio volentieri carico di mostrare quanto sia assurda e illusoria la vostra posizione.
Riassumo brevemente la sostanza del discorso da te condiviso: con la lira tornerebbe anche la piena sovranità sulla nostra moneta (quindi la possibilità di deciderne in piena autonomia tasso di sconto e volume circolante) e si potrebbe così variarne il “valore” rapportato alle altre monete. Nel caso, per esempio, che le esportazioni dovessero soffrire per via di una perdita di competitività di tutto il sistema economico nazionale (condizione che viviamo ormai da venti anni a questa parte), sarebbe sufficiente azionare la leva inflattiva, a mo’ di bacchetta magica, ed ecco che le esportazioni tornerebbero a crescere d’incanto.
In teoria e nella realtà le cose vanno proprio così, purtroppo però quel che ho appena descritto è solo una parte di quanto avviene realmente. Avviene infatti anche qualcos’altro che sfugge regolarmente alla vostra osservazione: con lo svalutarsi della moneta diventano più costosi gli acquisti fatti all’estero. In altre parole, viene a costare più caro il manufatto che oggi acquistiamo a basso costo dalla Cina (svantaggio per il consumatore) e aumenta di costo pure il rifornimento di materie prime dalle quali dipende la nostra industria (svantaggio industriale).
Chiediamoci adesso quali siano i “vantaggi” derivanti dalla svalutazione monetaria, come si formano e chi avvantaggiano effettivamente.
Abbiamo visto che a perdere ricchezza, in caso di svalutazione, sono i consumatori e la stessa industria, ma non dobbiamo dimenticare una differenza importante tra i due soggetti: mentre il consumatore è costretto e deve rassegnarsi a privarsi di parte della quantità di acquisti di cui oggi può disporre, l’industria invece può scaricare i suoi maggiori costi sul consumo interno, e quindi di nuovo a danno del consumatore. Detto più semplicemente, essendo cresciuto il costo dei prodotti importati, adesso l’industria nazionale può alzare il prezzo della propria produzione destinata al mercato interno e utilizzare quel guadagno per finanziare le proprie esportazioni. Morale della favola, a guadagnarci sono gli industriali (non tutti, ma solo quelli votati all’esportazione) e a rimetterci sono i consumatori.
In realtà il discorso è ancora più complesso, in quanto non ho qui considerato il guadagno derivante alle industrie che per prime si aggiudicano le commesse statali in coincidenza con gli aumenti di volume monetario, ma penso che sia bastante anche così.
Mimmo Forleo
E certo che il “discorso” e’ un po’ piu’ complicato…!
Infatti ci sono due teorie che gli economisti portano avanti e di certo non saro’ io a risolvere il problema con una bacchetta magica!
Io posso solo pensare e penso che l’unione europea monetaria sia nata con molta fretta e quindi “cieca”!
Io credo ( e non sono il solo) che l’unione politica era prioritaria.
Prima facciamo “Gli Stati Uniti D’Europa”, facciamo un unico governo e un’unica direttiva politica, poi uniamo la moneta e la finanza.
Adesso andiamo avanti a “figli e figliastri”.
Chi detta le regole oggi?
La Germania? La Francia? L’Italia di Monti?
E l’ Inghilterra? Che ruolo ha? E’ dentro o fuori? Se fuori perche’? E se dentro perche’ con doppia moneta? Perche’ lei si e altri no?
Sara’ ancora la Merkel a decidere la nostra sorte politica dettando, fra l’altro, le nostre “agende”? Non ti viene da pensare che poco poco stia privilegiando solo “i fatti suoi”?
Non ti sembra, inoltre, che questa UE sia nata gia’ morta e che forse e’ meglio azzerare il tutto e iniziare da capo?
Tu, che sembra abbia capito tutto, potresti spiegarmi in parole povere, cosa sta succedendo?
Attenzione, parole povere.
Rimango in attesa.
Life
I punti da te toccati in quest’ultimo commento esulano dal discorso monetario in sé; nel senso che, anche nel caso in cui l’euro fosse nato meno “frettolosamente”, le questioni relative all’opportunità di svalutare la moneta sarebbero state solo traslate dalla lira all’euro. Voglio in pratica dire che la svalutazione è dannosa in ogni epoca e con qualsiasi moneta, questa è una legge inevitabile dell’economia.
La Germania, pur con un euro “sopravvalutato” rispetto alle altre divise, ha dimostrato che è possibile mantenere comunque alto il livello delle proprie esportazioni, cosa che invece non è accaduta per Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Questo non dimostra che l’euro sarebbe funzionale agli interessi dei tedeschi, ma rende evidente quanto le economie dei paesi citati siano messe male se confrontate a quella tedesca. Vogliamo forse incolpare la Germania di aver trovato un equilibrio di cui gli altri non sono stati capaci?
Quando affermi che l’euro lo si sarebbe dovuto far nascere con meno fretta, in realtà dici una cosa condivisibile; troppe sono le differenze tra i paesi dell’eurozona in materia fiscale, di normative sul lavoro ecc., e risulta quindi folle sperare che sia la moneta unica a risolverle. La moneta non fa altro che “registrare” quelle differenze che poi ricadono su ogni membro come conseguenza dello stato in cui versa il suo sistema. Ma sono i singoli membri che avrebbero dovuto nel tempo (e di tempo ne hanno avuto fin troppo, oltre 10 anni!) “aggiustare” i propri sistemi rendendoli più uniformi rispetto a quello che risultava vincente, quello tedesco.
Tutto questo si è dato per esclusiva responsabilità dei paesi che adesso lamentano gravi difficoltà, ed è francamente puerile prendersela con la Germania. Cosa dovrebbe fare la Germania, prendersi in carico il resto d’ Europa e comandare ai suoi cittadini di lavorare per tutti?
In economia nessuno “detta le regole”, quello avviene in politica, ma ognuno è responsabile personalmente per i risultati che ottiene o manca di ottenere. Tantomeno, nessuno si ritrova il potere di obbligare altri a far parte di un “consorzio” (la moneta unica) al quale ognuno ha aderito liberamente. La differente scelta fatta dalla Gran Bretagna fu dettata dalla consapevolezza di non avere un’economia efficiente quanto la tedesca e da un debito che si riteneva sostenibile. Oggi quella scelta si rivela vincente dal lato economico e apparentemente anche da quello del debito, temo però che a breve quest’ultimo si rivelerà insostenibile anche per gli inglesi.
Fino ad oggi la sterlina ha potuto sfruttare, al pari del dollaro, il suo apparire alla stregua di un “bene rifugio”, tanto è stata scarsa la fiducia riposta dai mercati nell’euro, ma questo non potrà durare ancora a lungo. Si comincia a temere per la sostenibilità del debito americano, nonostante il dollaro rappresenti tuttora la “moneta delle monete”, figurarsi per quello britannico.
Mimmo Forleo