Ormai siamo come l’Argentina, ma la cosa a qualcuno piace

Ormai siamo come l’Argentina, ma la cosa a qualcuno piace

17 Gennaio 2013 0 Di Life

Cominciamo con un esempio facile. Immaginiamo una famiglia che sia proprietaria di una piccola azienda nella quale risultino occupati tutti i suoi componenti. Quella famiglia durante l’anno realizza delle entrate derivanti dalla vendita dei prodotti della sua azienda (export) e delle uscite dovute agli acquisti aggregati effettuati da ogni suo componente (import).

Immaginiamo adesso di poter confrontare i dati di vendita aziendali e gli acquisti effettuati dai componenti della famiglia relativi a tre anni consecutivi: nel primo anno, l’azienda di famiglia ha venduto prodotti per 100.000 euro e i componenti della famiglia hanno effettuato acquisti per 80.000 euro. Risulta dunque che l’export ha superato di 20.000 euro le importazioni, ovvero, l’import è stato pari all’80% dell’export.

Nel secondo anno, l’export si riduce a 90.000 euro e la famiglia effettua comunque acquisti per 80.000 euro. La differenza tra export e import continua a presentare un saldo attivo, anche se si è ridotto di 10.000 euro; le importazioni rappresentano non più l’80% delle esportazioni ma l’89, l’export si è contratto del 10%; l’import è rimasto invariato.

Alla fine del secondo anno, un osservatore imparziale delle vicende familiari direbbe che a fronte di una contrazione dell’export, la famiglia, continuando a mantenere intatto il suo tenore di spesa, ha dimostrato di avere fiducia nel futuro e non si preoccupa della contrazione delle vendite aziendali, che interpreta come passeggera.

Andiamo al terzo anno. Purtroppo la famiglia aveva interpretato male il dato delle vendite e queste sono sì cresciute ma solo di 1.000 euro, attestandosi a 91.000 euro e crescendo soltanto dell’1,1%; poiché la famiglia si è accorta del suo errore di previsione sui dati di vendita, in risposta decide di contrarre il suo livello di spesa riducendolo immediatamente da 80.000 a 60.000 euro. Le importazioni allora, che l’anno prima erano state pari all’89% dell’export, nel terzo anno risulteranno pari al 66%.

L’osservatore imparziale come interpreterà questi dati? Correttamente, dirà che la famiglia era entrata in recessione l’anno prima, quando l’export si era ridotto da 100.000 a 90.000 euro, ma interpretando come passeggero quel dato aveva deciso di non sacrificare il suo reddito guardando speranzosa all’anno successivo. Purtroppo le speranze si sono mostrate vane, atteso che l’export è cresciuto l’anno dopo solo di uno striminzito 1,1%, e ha saggiamente deciso di sacrificare una parte importante del proprio reddito per recuperare l’errore di valutazione fatto l’anno prima. La famiglia sa bene infatti, e qui introduco un dato nuovo, che la capacità della sua azienda di continuare a produrre profitti dipende dal risparmio, ovvero, dalla quantità di capitale che la famiglia mette a sua disposizione perché possa investirla in macchinari nuovi e ricerca.

La situazione finora descritta è quella appartenente al mondo reale e alla quale si adegua ogni imprenditore sano di mente. Anche l’osservatore imparziale al quale abbiamo fatto analizzare le vicende relative a tre annualità è sano di mente, tanto da aver sempre interpretato in maniera corretta le azioni intraprese dalla famiglia.

Introduciamo adesso due nuove figure: un manager assunto dal governo, che deve preoccuparsi di mantenere alto il livello di export di tutte le famiglie del paese, e il governo stesso.

Proviamo allora a indovinare quali saranno le loro dichiarazioni nel corso dei tre anni appena visti.

Primo anno. L’export va bene se confrontato con l’import e lo supera di ben 20 punti percentuali. Il manager dirà quasi sicuramente che i lusinghieri risultati dell’export saranno stati senz’altro dovuti anche all’eccellente lavoro di assistenza svolto dall’agenzia pubblica di cui è a capo; il governo si dirà d’accordo col manager e sottolineerà quanto sia stato intelligente pensare a un’agenzia che si occupasse di assistere gli imprenditori nelle loro vendite.

Secondo anno. L’export ha subito un tracollo, si è ridotto infatti di dieci punti percentuali, e l’import, dall’80% che era l’anno prima rispetto all’export, adesso gli si è pericolosamente avvicinato raggiungendo quota 89%. Il manager dirà che siamo al cospetto di una crisi internazionale che ha fatto arretrare gli acquisti e dunque anche l’export, ma possiamo stare tranquilli in quanto la sua valente agenzia ha già in mente come superare questo problema. Il governo si dirà di nuovo d’accordo col manager e, oltre a tornare a sottolineare quanto sia stato intelligente e previdente pensare a un’agenzia che dimostra di avere le idee chiare anche in tempi di crisi, aggiungerà che va tutto comunque bene in quanto il mancato contrarsi dei consumi è lì a dimostrare quanto sia ancora alta la fiducia delle imprese nel futuro e nella previdente azione svolta dal governo.

Terzo anno. Nonostante le belle idee che saranno senz’altro passate per la testa dell’agenzia condotta dall’eccellente manager, l’export è cresciuto di pochissimo (1,1%) e la famiglia ha pensato bene di non illudersi eccessivamente riguardo al futuro, riducendo notevolmente le sue spese.

Vediamo comunque cosa diranno manager e governo.

Il primo dirà che, nonostante la crisi, i risultati ottenuti possono considerarsi eccellenti: l’export è tornato a crescere, ma senza dirci di quanto, e il rapporto import/export ha raggiunto quota 66%, un risultato addirittura migliore di quello già buono (80%) verificatosi nel primo anno! L’agenzia, dunque, dimostra di saper svolgere bene il proprio lavoro e ha già pronte nuove idee, ancora migliori, per il futuro.

Il governo, da parte sua, oltre a dare manforte al manager e ricordare che solo grazie al governo stesso l’agenzia è ancora in vita, visto che qualche imbecille la voleva chiudere, aggiunge di avere un’altra idea meravigliosa in cantiere: la nascita di una banca, governativa, in grado di rifornire di capitali le famiglie in difficoltà per via della contrazione dell’export ed evitargli ogni sacrificio consistente nella riduzione, davvero fastidiosa, del proprio reddito per rispondere a quella crisi.

Torniamo adesso a sentire cosa ne pensa di questa nuova situazione il nostro osservatore imparziale.

Intanto si chiede se per caso gli imbecilli non siano proprio il manager e il governo, che sono pure lautamente stipendiati per essere solo… imbecilli.

Osservando i dati relativi all’export infatti, che nel terzo anno sono ancora sideralmente distanti da quelli del primo anno (91.000 euro contro 100.000), non comprende affatto come si possa attribuire qualche merito all’agenzia governativa, stante un risultato tanto sconfortante.

Inoltre, non si spiega come mai il dato relativo all’import che nel secondo anno, quando si era mantenuto costante, era stato considerato ottimo per valutare la fiducia delle imprese nel futuro, adesso che si è ridotto drasticamente diventa improvvisamente buono per esaltare l’ottimo rapporto import/export. Se il suo mantenersi costante nel secondo anno, nonostante la crisi, era stato giudicato positivamente, non lo si dovrebbe giudicare negativamente adesso che si è contratto e pure di parecchio? Non starebbe forse a indicare che la fiducia delle famiglie nel futuro è diventata scarsa? Boh!, misteri della scienza governativa…

Ma la cosa che lo fa letteralmente imbufalire è la proposta di creare una banca che rischia di far rimbecillire anche le famiglie, che fino a quel momento, l’abbiamo visto, avevano correttamente interpretato i segnali lanciati dal mercato e dimostrato di saper correggere da sé eventuali errori di valutazione; come quando avevano mantenuto alta la propria fiducia nel futuro (secondo anno) ma erano prontamente corse ai ripari (terzo anno) dopo essersi accorte che il futuro poteva essere nero ancora per qualche tempo.

Istituendo la sua banca, il governo non rischia forse di distorcere i segnali del mercato? E non rischia forse di indurre a spendere famiglie che, correttamente, dovrebbero invece risparmiare e attendere per capire se la diminuzione dell’export della propria azienda sia dovuta a fattori esogeni (crisi economica) oppure endogeni (la propria azienda non è più in grado di produrre profitti e va dunque chiusa)?

Il primo scenario l’avevo definito appartenente al mondo reale, come definire invece questo nuovo? Forse come appartenente alla fantascienza?

Purtroppo la fantascienza qui c’entra ben poco, la verità è che questo nuovo scenario è ancora più “reale” del primo. Controllate qui e ditemi se non ho ragione.

Mimmo Forleo

P.S. Nella foto che introduce il post è raffigurato il ministro Corrado Passera.