Nucleare? Il rischio viene dalla politica
1 Marzo 2009Lo si fa oramai ciclicamente, ancora una volta, tra paure reali o indotte si ritorna nuovamente a discutere di nucleare. Va detto che rispetto a 20anni fa, la tecnologia è decisamente progredita e si hanno idee molto più chiare sui consumi energetici, sulle fonti rinnovabili, e sui tempi di esaurimento delle riserve di materiali fossili. E forse la nostra società, oggi, è orientata su posizioni più aperte nei confronti dell’atomo. Da parte mia, più che della perplessità sulla sicurezza degli impianti e dello smaltimento delle scorie radioattive, mi preoccuperei dello sconquassato sistema politico italiano. Di chi, in buona sostanza, andrebbe a gestire l’eventuale avventura nucleare.
Noi siamo l’Italia, non è necessario essere preveggenti. Facile immaginare come, la progettazione di ottime centrali, alimenterebbero lo scontro politico all’ennesima potenza e perderebbero efficacia tra le mani di appaltatori giulivi. Poi, vi sarebbe la lunga schiera dei politici riciclati, gli amici degli amici, parenti, cognati e amanti, pronti all’assalto della diligenza. Li vedo già in ginocchio davanti al reggente di turno a piagnucolare per una nomina. A questo bisogna mettere in conto il pericolo malavita che, in quanto a fiuto negli affari, ha sempre dimostrato di avere la vista lunga. Basti pensare come negli Stati Uniti 75 reattori di ultima generazione sono costati 145 miliardi di dollari, e che in Inghilterra lo smantellamento delle vecchie centrali pesano sui contribuenti per circa 92 miliardi di euro, per comprendere quali interessi economici colossali vi ruoterebbero attorno. Troppo alto il rischio. Se in Italia, specie al sud, per scarso senso civico e eco estremismo ideologico, spesso in odor di mafia, non decolla nemmeno la raccolta differenziata figurarsi se si trova una soluzione allo smaltimento delle scorie radioattive di uranio e plutonio. Gli Stati Uniti ci hanno messo 20anni per metterle in sicurezza.
Resta il fatto che quasi l’80% del fabbisogno energetico italiano è importato; il triplo rispetto a quei Paesi che dispongono dell’energia nucleare da fissione. A fronte di questa situazione, secondo l’Associazione Nucleare Italiana le forme alternative di energia solare rinnovabile, dall’eolica al fotovoltaico, dalla solare termica ai biocombustibili, complessivamente produce meno del 2% dell’energia che consuma. Nel breve e medio periodo, dunque, non vi sarebbero ragioni sostanziali per sostenere che la solare possa offrire contributi significativi al soddisfacimento del fabbisogno energetico mondiale. In quei Paesi dove negli ultimi anni s’è investito molto il contributo energetico delle fonti alternative è assai modesto. In Germania, ad esempio, 15mila turbine ivi istallate producono solo il 3% di energia elettrica rispetto al 30% prodotta dal nucleare. Sul fotovoltaico poi, pare che le favole e le illusioni si sono sprecate. Per produrre l’1% di energia in pannelli, occorrerebbe spendere la proibitiva cifra di 10miliardi di euro. In conclusione, giusto continuare con la ricerca, però senza farsi prendere da isterismi eccessivi, vale la pena riflettere seriamente sull’eventuale ritorno al nucleare. Nonostante l’Italia.
Rispettosamente, barracuda