Come confezionare la non-notizia
14 Marzo 2013«L’alta marea fa galleggiare tutte le barche» (W. Churchill).
Quanti seguono Palagiano.net avranno senz’altro avvertito qualcosa di antico e familiare nell’aria all’apparire di questa “notizia”: «Italia regina europea delle diseguaglianze».
Si tratta del refrain utilizzato ultimamente anche da gli Indignati, per controbattere a un mio commento in cui chiedevo dove e quando si sarebbero date politiche neo-liberiste negli ultimi anni, in Italia. È un modo come un altro per addossare al liberismo ogni nefandezza possibile perché, si dice, sarebbero autoevidenti quelle nefandezze e per di più sarebbero disponibili in notevole quantità correlazioni attestanti il legame che passa tra loro e il neo-liberismo. E chi non ci crede è un fascista!, concludo io.
Ho già spiegato che una o più, in molti casi, correlazioni non fanno necessariamente una causalità, ma è forse utile tornare a spiegarlo ancora. Se, come nel caso che analizzeremo, si dà una relazione tra una crisi economica in atto e l’aumento del differenziale tra redditi “bassi” e “alti”, non è assolutamente detto che la colpa sia imputabile a un modello economico (quello liberista) al quale viene imputata anche la stessa crisi. Potrebbe benissimo dipendere dallo stato di crisi in cui versa un altro modello economico (quello welfarista e post-socialista), che potrebbe altrettanto bene aver provocato anche la crisi economica.
Dovrebbe essere evidente che tanto in un caso quanto nell’altro occorrono prove ben più sostanziose delle banali correlazioni qui mostrate, per poter con certezza affermare da cosa dipendano e l’aumento di differenziale tra fasce di reddito e, ancor prima, la stessa crisi economica.
Prima di addentrarci nella concreta disamina del problema, però, vale la la pena di evidenziare alcune curiosità che fanno luce intorno alla professionalità (sic) con la quale vengono trattati questi temi e le conseguenze da essa provocate a livello di opinione pubblica. L’occasione ci è offerta, appunto, dall’articolo del Corriere della Sera.
L’articolista mette in evidenza sin dal titolo che l’Italia sarebbe “regina” in Europa in tema di disparità sociali. Il perché è facile da capire laddove si tenga presente dove si vuole andare a parare: i presunti danni provocati dal neo-liberismo. Quale occasione migliore per “dimostrarlo” di quella offerta da un governo “delle destre” (che nella fantasia popolare sarebbe il governo “liberista” per antonomasia), con in più a capo l’odiato Silvio Berlusconi? E fa nulla se il suo ministro dell’economia rispondeva al nome di Tremonti, celebre socialista sin dai tempi di Craxi!
Inoltrandosi nella lettura dell’articolo, anche senza sapere cosa sia e come funzioni il “coefficiente di Gini”, si scoprono però alcune verità sottaciute nel titolo: l’Italia ha sì un coefficiente (31,9) superiore di circa un punto a quello medio europeo (30,7), ma non è assolutamente vero che sia prima della classe! A precederla vi sono paesi come Spagna, Portogallo e Grecia, il cui coefficiente si aggira intorno a 34 e risulta dunque superiore di 2 punti a quello italiano e di ben 3 a quello medio europeo. A noi risulta che politicamente e perfino geograficamente quei tre paesi sarebbero ancora europei, ma evidentemente per l’articolista del Corriere la realtà in certi casi è diversa da come appare. Sento però di poter sostenere che non la pensa allo stesso modo quando si tratta di ragionare su indici e correlazioni di tipo economico: in quei casi i dati che la realtà sembra fornirle li prende manco fossero oro colato!
Proseguendo con l’analisi, molto sommaria e superficiale a dire il vero, dei dati in possesso dell’articolista, notiamo che nel mondo la situazione si presenta molto variegata e in forte cambiamento. Si parte dagli “impressionanti” (per l’articolista) coefficienti vantati da Sudafirca (60 e oltre) e Brasile (50 e oltre), si passa per quello ancora “inquietante” degli USA (40 e oltre) e si giunge a quelli “tranquillizzanti” dei paesi Scandinavi (intorno a 24).
Prima di darvi conto di quali cambiamenti si stiano dando nel mondo, e in quali direzioni, voglio porvi però una domanda: Potendo scegliere di essere “poveri” negli USA (che hanno coefficiente 40, e quindi forte disparità tra i più “ricchi” e i più “poveri”) o in Italia (che ha coefficiente 32 e quindi maggiore “giustizia sociale”), quale dei due paesi scegliereste?
In attesa di vostre eventuali risposte, vi dico cosa sceglierei io. Senza dubbio alcuno gli USA! È vero che lì sarebbe parecchio ampia la forbice che mi separerebbe da un Warren Buffet o da Bill Gates, ma è anche vero che darei dei punti al Mimmo Forleo “straccione” rimasto in Italia, che dovrebbe accontentarsi di essere meno distante da Berlusconi di quanto il suo omologo americano lo sarebbe da Gates.
In sintesi, se me ne frego di quel che fanno gli altri e bado ai fatti miei, mi va benissimo l’America; se viceversa sono roso dall’invidia sociale e non dormo la notte al pensiero di quanto Berlusconi sia più ricco di me, Italia per tutta la vita. E chi si ne frega se sto condannando anche i miei figli a conoscere un unico sentimento, l’invidia!
Per concludere, mi permetto di avanzare anch’io qualche conclusione sulla base dei dati in nostro possesso. Nulla di scientifico, ovvio, ma comunque un tantino meglio fondata di quelle prodotte a sinistra.
La serie dei dati storici consente di poter affermare che i cambiamenti più interessanti, considerando il coefficiente di Gini, stiano avvenendo in Brasile e in Svezia. L’aspetto curioso di questi cambiamenti, però, è dato dal fatto che stanno seguendo direzioni di marcia inverse; mentre in Brasile il coefficiente tende ad abbassarsi (e quindi tendono a livellarsi le differenze di ricchezza), in Svezia (la civilissima Svezia!) sta accadendo il contrario. Perché?
Se fossi socialista non avrei dubbi in proposito: in Brasile il governo è socialista, mentre in Svezia è di destra. E non sarei manco nel torto. In effetti, i governi di quei due paesi indossano rispettivamente proprio quelle casacche! Ma è tutta qui la ragione?
No. Mi dispiace per i socialisti ma la ragione è più complessa di come appare. Intanto bisogna dire che il “socialista” Lula, quando era presidente, si è battuto sia all’interno che all’esterno (più all’esterno che all’interno, a dire il vero) del proprio paese per una concreta liberalizzazione dei mercati. Se oggi il Brasile appare come un’economia in forte crescita lo si deve a quelle liberalizzazioni; ed è grazie a quella crescita, che ha consentito l’aumento della ricchezza complessiva, che oggi può permettersi politiche redistributive che in passato era possibile solo sognare.
A questo punto i socialisti direbbero: Abbiamo trovato l’uovo di Colombo! Si liberalizza per innescare la crescita e, quando questa è innescata, si socializzano i guadagni.
Questo è vero e storicamente pure possibile, ma – c’è un “ma” purtroppo – è anche vero che a colpi di socializzazione si finisce con l’ammazzarla, la crescita. È quanto rischiava di accadere in Svezia, e proprio per questo gli svedesi, senza pensarci due volte, a metà degli anni ’90 hanno mandato a casa i governi socialisti che si succedevano ininterrottamente dal dopoguerra e hanno “svoltato a destra”. Avevano capito che l’età della cuccagna stava per finire e occorreva ritornare all’economia concreta; quella che non risulta affatto adatta a romantici e sognatori, ma che con i suoi guadagni consente la sopravvivenza anche di romantici e sognatori.
Mimmo Forleo