PD, congresso e la debolezza di un partito.
4 Agosto 2009Parlare del Partito Democratico in questo periodo, in una fase congressuale da cui scaturirà la versione forse definitiva di quello che si è definito il Partito nuovo, induce a molta cautela e particolare riflessione.
Cautela, in quanto le alleanze in corso di definizione spingono a misurare le parole per non correre il rischio di essere smentiti un momento dopo; tuttavia, pare evidente quella che è la polarizzazione che si sta determinando intorno ai due candidati “forti” Franceschini e Bersani, con il primo in grado di attrarre l’ala più centrista della vecchia margherita e la componente ex-ds che, a cominciare da Veltroni, ha maggiormente creduto nel progetto dell’Ulivo, lontano 1996, nonchè nella possibilità di dare a questo Paese un sistema politico estremamente semplificato, sino a credere nell’utopia dell’eventuale bipartitismo all’americana.
Sul versante Bersani, invece, hanno trovato la loro naturale sponda quanti, come la Bindi, hanno avuto come connotazione genetica una forte dose di autonomia di pensiero rispetto alle indicazioni provenienti dalla gerarchia vaticana, per quel che riguarda il mondo cattolico e contemporaneamente, tra gli ex-ds, quelli che risultano essere maggiormente vicini e legati alle posizioni della sinistra tradizionale, meglio dire la sinistra c.d. radicale.
Nonostante le dichiarazioni di facciata, tese a tranquillizzare tutti coloro che nel PD hanno trovato la loro casa, pare evidente il rischio di una lacerazione profonda post-congressuale, sino al rischio estremo di una scissione, dovuta soprattutto alla incapacità di raggiungere una sintesi politica che ha connotato i primi due anni di vita del PD.
A ciò occorre aggiungere il rischio di provocare una disaffezione della base; rischio reso ancor più concreto da quanto si è verificato a livello periferico nel Partito, con una forte inclinazione, se non addirittura un vero e proprio fanatismo, verso la valorizzazione di quella che viene definita la c.d. società civile.
Probabilmente per suscitare la passione di quanti, per le più svariate ragioni, erano fino a quel momento rimasti alla “finestra” della politica attiva, intesa come militanza ed appartenenza ad un movimento politico, si è deciso di coinvolgerli direttamente nella gestione del Partito, a volte con incarichi apicali, senza la benché minima individuazione di criteri di selezione.
Il risultato? Sicuramente una classe dirigente locale rinnovata e non associabile, almeno direttamente, al passato; tuttavia, il prezzo che è stato pagato è stato quello di un’eccessiva leggerezza politica.
Cosa ancor più grave, il difetto di inesperienza che ha accompagnato l’attuale classe dirigente periferica del PD non ha riguardato soltanto il tatticismo politico o la strategia partitica, cosa che sarebbe stata completamente giustificabile, ma ha inciso su quello che probabilmente è il cuore della vita partitica stessa; la capacità di sapersi dare un vero e proprio indirizzo politico e soprattutto di saper misurare l’effettivo peso delle scelte che sia il PD in quanto tale che i suoi rappresentanti istituzionali sono chiamati a fare oggi ed in futuro.
Da iscritto al Partito devo osservare, con estremo rammarico, che quanto argomento è confortato da quanto accaduto nei circoli territoriali nel corso dell’ultimo anno e mezzo; Segretari di Partito eletti alla guida dello stesso e immediatamente candidati alle elezioni parlamentari, perché rappresentanti la novità territoriale, per finire dimissionari in un battito di ciglia.
Circoli territoriali che non sono stati in grado di presentare liste del PD per le elezioni amministrative tenutesi nel 2008 e che oggi vivono nell’anonimato più assoluto.
Circoli fortemente dilaniati da faide intestine che, come accaduto in tempi recenti, hanno portato all’espulsione di alcuni componenti del partito senza che nessuno fosse in grado di esercitare una mediazione tra i contendenti.
Per finire, giusto per non annoiare i lettori, Circoli territoriali politicamente muti, incapaci di esprimere la benché minima posizione su alcuna delle vicende che stanno traversando il nostro tempo e che, se non affrontate con coraggio, rischiano di rappresentare il primo passo verso un inesorabile declino.
Lo ripeto; posso giustificare l’assenza di esperienza che può indurre a sbagliare un’alleanza, piuttosto che un’altra. Ciò che, invece, non è giustificabile e va condannato è l’incapacità di saper cogliere quelli che sono i “temi” del momento.
Quando una sezione locale non è in grado di esprimere nessuna presa di posizione su alcuno degli argomenti che possono interessare la vita della propria comunità, allora vuol dire che quella sezione ha completamente fallito la sua “missione”.
Ciò determina una duplice evidente conseguenza; da un lato, infatti, vi è la perdita di ogni capacità attrattiva nei confronti di quello che successivamente, come è ovvio che sia, potrà essere il proprio elettorato. In altre parole, il cittadino non individua più in quella sezione un punto di riferimento in grado di saper formulare le proposte e le risposte alle richieste di intervento provenienti dalla cittadinanza.
Non prendere alcuna posizione su quelle che sono le tematiche dell’occupazione, in un periodo di profonda crisi economica, sull’ambiente, in un periodo in cui è fortemente avvertita l’incidenza dell’inquinamento sulla salute dei nostri cittadini, sulla scuola, con i tagli del Governo che determinano un progressivo impoverimento di quello che è un serbatoio per lo sviluppo di una Comunità, vuol dire abdicare completamente alla propria funzione politica delegando ad altri, allo stesso tempo, il compito di porre in atto azioni ed iniziative.
Un Partito che vuol definirsi realmente politico non può e non deve limitarsi all’inutile e sterile produzione di comunicati stampa a sostegno di tesi sostenute da altri se poi, come spesso accade, non è in grado di tradurre l’adesione a quelle tesi in azione politica concreta.
Dall’altro lato, poi, l’ulteriore conseguenza derivante da una simile situazione è rappresentata dal progressivo isolamento delle rappresentanze istituzionali che il Partito si trova ad esprimere, con un progressivo indebolimento della propria forza propositiva ed un costante svilimento della qualità delle azioni intraprese ai diversi livelli delle Amministrazioni.
Dire che il Partito Democratico esprime la migliore delle classi possibili di rappresentanti istituzionali equivale ad un inutile esercizio retorico se, poi, il Partito stesso non dimostra la capacità di porsi alle spalle dei propri rappresentanti al fine di rafforzarne le posizioni.
Anche in questo caso l’azione cui faccio riferimento non è una semplice operazione mediatica ma, al contrario, un’azione sostanziale in grado realizzare una dialettica Partito-Rappresentanze Istituzionali, finalizzata a porre sul tavolo problemi concreti e a studiarne le concrete soluzioni.
Se il Partito Democratico esiterà ancora su questa strada, consentendo l’affermarsi di forze politiche alternative che poco o nulla effettivamente rappresentano nel campo del riformismo-democratico, il rischio sarà quello di vedere tanti naviganti a vista, ognuno con la propria rotta, ognuno con la propria solitudine.
Un saluto
Donato Piccoli
Ps: Probabilmente questo è un periodo sfortunato.
Tante, tra le persone che conosco, si trovano a vivere direttamente o per mezzo di familiari il dramma di un tumore.
Forse non vuol dire nulla oppure, anche se personalmente spero di sbagliarmi, vi è qualcosa di preoccupante sul nostro territorio.
Penso che sarebbe il caso di iniziare a sollevare la testa dalla polvere e a chiedere di diradare le nebbie che avvolgono tutte le tematiche connesse alla salubrità del nostro Paese.
Chi vuol intendere intenda; poi non si dica che mancano le tematiche su cui fare Politica. (e la P maiuscola non è casuale).
Donato Piccoli