Dalla sponda di uno stagno
9 Agosto 2009E’ l’immagine di uno stagno quella che mi viene di associare con naturalezza al Pd palagianese.
Sarà perché molto di quello che mi è capitato di osservare finisce col confluire verso un unico punto: il mantenimento di uno statu quo che non si capisce bene a cosa, e a chi, possa servire.
Un recente articolo di Donato Piccoli, PD, congresso e la debolezza di un partito, elencava i difetti insiti nel Pd e i rischi politicamente connessi a quei difetti.
Si può condividere o meno l’analisi prodotta da Donato, io sono tra quelli che ne condividono anche le virgole, ma è lecito aspettarsi qualcosa di diverso da una gratuita accusa di ingenuità da parte di coloro che dicono di non poterla condividere.
Per non parlare, poi, dell’ennesima latitanza su tali questioni messa in mostra da chi, in quanto Segretaria, dovrebbe avvertire perlomeno il peso della responsabilità politica e, all’occorrenza, fornire le risposte “correttive”: a Donato stesso, nel caso in cui la sua analisi non dovesse convincerla; al partito, nel caso inverso.
Ora, a parte il ricorso a termini come “ingenuo” e “qualunquista”, neppure una parola è stata spesa dal Pd palagianese a proposito delle accuse mossegli da Donato. Accuse tanto più pesanti, laddove si consideri che Donato è dirigente del partito e persona investita da ruolo amministrativo per conto dello stesso.
Si è cercato invece di erigere, per l’ennesima volta, il solito muro di gomma confidando nel fatto che, non affrontandolo, il problema passi subito tra le cose dimenticate o da dimenticare.
Dimenticare sembra essere diventato lo sport preferito nel Pd palagianese. Tutti dimenticano tutto.
Vi è chi dimentica di tener fede a impegni presi volontariamente: promesse di verifiche da tenersi allo scadere del primo anno di un mandato, accettato senza neppure avere l’idea approssimativa di ciò che si andava ad accettare; minacce di regolamenti di conti da tenersi solo all’indomani di un appuntamento elettorale, e non c’è bisogno di un genio per capire il perché di tanta prudenza: la disfatta appariva sicura e, dato che un padre putativo quella disfatta poteva trovarlo in chi scrive, si considerava più prudente lasciarla almeno orfana di madre. Così non è stato, quindi, meglio dimenticare e cercare di mettere a profitto, per se stessi, un risultato inatteso.
C’è pure, però, chi non dimentica e se ne è stato, finora, pazientemente in attesa che si materializzassero, tanto le promesse, quanto le minacce.
Ma anche la pazienza ha un limite. E il limite, contrariamente a quanto grossolanamente lasciato intendere, non è nella corsa al posto di ammiraglio (ché, come dice il titolo del presente articolo, solo uno squilibrato può ambire a fare l’Orazio Nelson di uno stagno), ma nella volontà di mettere la parola fine a una commedia dell’assurdo degna di uno Ionesco avvinazzato.