TROPPO MERCATO, POCO SOCIALE!

4 Maggio 2004 Off Di Life

Sono educatrice e coordinatrice di una Comunit? Educativa che da circa 30 anni ? presente sul territorio erogando servizi rivolti ai minori in situazioni di disagio e allontanati dalla famiglia con provvedimento del Tribunale.

Questi appunti, messi gi? in modo informale, sono il frutto di una personale esperienza in un campo lavorativo che di solito poco interessa se non agli ?addetti ai lavori? ma che tanto ha da dire e da dare.
Sar? una strada che percorreremo insieme con quanti saranno interessati a conoscere il ?dietro le quinte? della vita di tutte quelle persone considerate ?disagiate? dalla societ? ma che di questa nostra societ? sono sicuramente la parte pi? vera.

Approdata al sociale quasi per caso, come d?altronde la maggior parte degli ?addetti ai lavori?, (mi riferisco a coloro che ogni giorno umilmente si rimbocca le maniche e opera al di l? delle istituzioni), oggi mi ritrovo a fare una professione che difficilmente potr? mai essere racchiusa in stereotipi ben definiti e che altrettanto difficilmente potr? mai essere definita.
Una riflessione nasce dalla testimonianza che in prima persona posso fare a sostegno di quanti come me si impegnano per offrire un futuro di certezze e tanto amore, a ragazzi cui la vita ha riservato disagi, sofferenze e, talvolta, abbandono.
Parlo del lavoro degli operatori sociali, lavoro che se pur gravoso ?, spesso, nella sua gravit?, generoso e insostituibile.
L?ambivalenza del lavoro dell?operatore sociale mostra, nella realt?, due volti, quello che nasce dall?esterno (dove ? molto ammirato, ma poco considerato) e quello alimentato dall?interno (dove ? molto chiuso in se stesso e ?disperatamente capace? di darsi ragione del suo progetto).
Di solito chi si occupa dei sofferenti e disagiati, da un lato ? fatto oggetto di ammirazione (provate, ad esempio, a dire a qualcuno che ?lavorate nel sociale?, vi diranno: ?Ah, che bel lavoro! Interessante! Io per? non ci riuscirei a lavorare con chi soffre! Poverini, per?!!!!); dall?altro, per?, ? marginalizzato, insieme alle problematiche di cui si occupa, da quello stesso Welfare State che, di fatto, poco o niente fa per attivare interventi a sostegno del lavoro sociale e di una realt? (purtroppo male conosciuta), e sviluppare un lavoro di rete tra le istituzioni (Tribunale per i Minori, Servizi Sociali, operatori di Comunit? di accoglienza e quanti operano a sostegno delle varie realt? sociali, anziani, tossicodipendenti, disabili fisici e psichici).

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Per compiere ogni giorno, insieme, scelte giuste e concrete nella tutela, il rispetto e la qualit? della vita dei diritti dei pi? deboli e della silenziosa richiesta d?aiuto, di cure, d?amore, penso che si debba lavorare in modo collaborativo, per verificare l?efficacia dell?azione intrapresa, migliorare le metodologie d?intervento al fine di offrire ad ogni persona in difficolt? la risposta pi? opportuna.
Quando poi le ?vittime? delle contraddizioni, dei grandi cambiamenti dell?economia e dei tagli sullo Stato Sociale, sono i minori, il problema dell?isolamento culturale, economico e ambientale, della crisi del Welfare State, che costringe ad operare in un clima di risorse limitate e di domande in crescita, diventa insostenibile anche dal pi? umile degli operatori che ogni giorno cerca di sopravvivere, barcamenandosi nella giungla delle istituzioni.
Sembra una contraddizione in termini, ma oggi nella societ? del benessere, il disagio, soprattutto minorile, ? in aumento. Il numero dei minori in difficolt? ? crescente. Abbiamo da un lato una moltiplicazione delle forme e della quantit? del disagio e dall?altro meno risorse economiche, perch? (e la motivazione c?? sempre!) pi? di tanto non si pu? spendere nei servizi sociali.
Mi piacerebbe sapere a quanto ammonta quel ?tanto??  E perch? gli stanziamenti non crescono con il crescere delle forme e della quantit? del disagio?

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Mi chiedo?forse ci sono meno risorse perch? si nutrono meno speranze di risolvere i ?problemi??  Ma se ai cosiddetti ?problemi? assegniamo il nome di minori, anziani disabili, tossicodipendenti e quant?altro, pensare di ?non risolvere i problemi? equivale a sentenziare una condanna!
Chi sta dentro i servizi, chi lavora, come me nelle Comunit?, sa bene che non si possono avere risultati immediati, soddisfacenti, risolutori, definitivi di modificazione totale delle situazioni. E, quindi, si trova a lavorare tra queste contraddizioni: tra qualcosa che cresce e qualcosa che diminuisce. Ai servizi alle Comunit?, in particolare a quelle che si occupano di bambini e adolescenti, viene chiesto di dare risultati maggiormente visibili, pi? mirati, pi? consistenti, in un certo senso, per dire una brutta parola, viene chiesto d?essere pi? produttivi.
Ma se ? vero che le Comunit? sono Servizi tra i Servizi, allora dobbiamo ?reimmaginare? i Servizi e adoperarci perch? si possa finalmente attivare quel rapporto di collaborazione tra le istituzioni.
Potrebbe sembrare un discorso utopistico ma non lo ?. Se non c?? uno Stato che raccoglie le tasse e ne destina parte alla spesa sociale, diventa difficile parlare di diritti e ancora pi? difficile parlare dei diritti dei pi? deboli.
?Investire nel sociale?, dunque, non significa solo riconoscere e tutelare i diritti dei cittadini pi? deboli e nemmeno solo accogliere la loro ?diversit?? per metterli in condizione di divenire ?uguali? agli altri, a tutto vantaggio della collettivit? intera.
?Investire nel sociale? significa fare in modo che la giustizia che si vuole costruire non diventi alibi per sprecare denaro pubblico o pretesto per risparmiare sulle difficolt? di chi ? gi? reso povero. Significa, in altri termini, adottare anche un?ottica ?economica?, vale a dire costruire gerarchie d?intervento in grado di tenere insieme centralit? della persona, bene comune, costo ed efficacia del servizio!

Che cos?? il lavoro sociale, dunque? L?aiuto a chi ha bisogno? L?azione del Welfare State? Una forma di promozione della qualit? della vita?

Leggevo qualche giorno fa un interessante articolo sul lavoro sociale, pubblicato sul mensile ?Animazione sociale???.. Un ?lavoro ? sociale se implica scambi, se attiva comunicazioni, non chiusure. Se genera risorse, e non le consuma. Se non degenera nella beneficenza, come aiuto a chi ha bisogno. Se non diventa intervento statale, come assistenza ai bisognosi attraverso leggi che definiscono quanto e cosa dare, a chi e in quali condizioni?.
?Nel sociale, nonostante una certa retorica, ? difficile ricreare condizioni di scambio analoghe a quelle che si ritrovano sul mercato. Il sociale non funziona secondo il gioco della domanda e dell?offerta. La matrice dello scambio nel lavoro sociale, pu? permettere di uscire dal concetto di beneficenza (nella beneficenza non c?? reciprocit? ma separazione tra chi d? e chi riceve), ma anche dal burocratismo legato alla logica dei diritti/doveri (nemmeno nei servizi c?? reciprocit?).
Siamo troppo abituati a pensare il lavoro sociale come un palcoscenico dove chi sta bene e ha le risorse, aiuta chi sta male e ha le carenze e le disabilit??

La verit? ? che tutti fatichiamo a considerarci portatori di domande ed offerte e non riusciamo a riconoscere che nell?aiutare gli altri aiutiamo anche un po? noi stessi!

Maria Sasso