Il racconto vincitore
2 Dicembre 2005Luca Franchetti
Modena
?L?OROLOGIO D?ORO?
?L?uomo si sedette su un sasso. Sollev? il piede destro appoggiando il tallone sul ginocchio sinistro. Con un gesto distratto tir? via il calzino e rimase a guardarsi il piede nudo arrossato e gonfio. Poi gir? la testa sul collo e dette uno sguardo alla campagna intorno: risaie, pioppi impolverati, vacche che si cacciavano le mosche con la coda. Un orizzonte piatto e afoso. Non vedeva un villaggio da almeno tre giorni. Che avesse sbagliato strada?
Sul fondo della strada di terra vide una nuvola gialla che turbinava su se stessa. Guard? meglio e gli parve di scorgere una carrozza nera che veniva tirata da due, forse quattro cavalli che per? si vedevano male, quasi fossero dello stesso colore della polvere? Doveva muoversi da quel sasso se non voleva diventare come una statua di sale, pens? l?uomo e si accinse a rimettere velocemente il piede nella scarpa.
Ma prima che avesse il tempo di infilare il calzino fu investito da un vortice di terra mista a sabbia che quasi lo soffoc?. Come poteva una carrozza, per quanto tirata da cavalli galoppanti, correre cos? tanto? Cerc? di vedere al di l? della polvere e cap? che si trattava di una vettura a motore. Era la prima automobile che vedeva in vita sua. Ne aveva ammirate parecchie sulle pagine dei giornali, ma mai gli era capitato di incontrarne una vera, dal vivo. Accidenti che corsa! disse fra s?.
Ma non era finita. La polvere, che aveva appena finito di dissolversi, come per un incantesimo, stava tornando ad avvolgerlo, penetrandogli con prepotenza negli occhi, nel naso. Il rumore del motore si era rifatto vicino e palpitante. Chiuse la bocca e serr? le palpebre per proteggersi.
Quando le riapr?, vide gli alettoni di una macchina enorme, scoperta, lucida e nera che borbottava come una pentola che bolle. Affacciata al finestrino, con un braccio nudo appoggiato ad angolo, vide una donna che sorrideva ironica. Non sent? cosa gli chiedesse quella voce che gli parve subito fresca e argentina… Il suo sguardo si fiss? sul minuscolo orologio d?oro che riconobbe immediatamente come qualcosa di conosciuto. Ma dove l?aveva visto e quando? Non riusciva a ricordare. Rimase l? imbambolato mentre la donna, con voce un poco impaziente, gli ripeteva la domanda?.
Dacia Maraini
Applausi.
Facce compiaciute, facce ansiose, facce annoiate.
Altri applausi.
La voce pavida dell?Organizzatrice spicc? all?improvviso il volo per riportare il silenzio.
Altri applausi per far tacere gli applausi.
Silenzio, finalmente.
?Bene, questo era il meraviglioso incipit della nostra Autrice, che ancora ringraziamo per essere qui con noi, stasera. E ora? direi di passare alla lettura dei racconti vincitori.
Applausi.
Quando anche l?ultimo premiato ebbe lasciato il palco, stringendo in grembo l?assegno, la targa dorata e altre gloriose cianfrusaglie, con ancora intagliato in volto un sorriso cos? vero da sembrare finto, allora il Concorrente si alz? in piedi e parl?.
Non aveva vinto, lui. Anzi, non aveva neppure partecipato, perch? insomma, spedire ad un concorso letterario ben quattro cartelle rigorosamente bianche, ad eccezione, s?intende, della numerazione a pi? di pagina, non lo si poteva definire partecipare. Era, semmai, una candida, rumorosa rinuncia.
?Vorrei dire due cose?.
Pensoso, s?avvicin? al tavolo delle autorit?, come contando i passi. La sala intera represse gli sbadigli; e anche le sedie, in quello strano momento, parvero avere orecchie.
Si ferm? accanto al vincitore e gli assest? una robusta pacca sulla spalla, sollevando dalla giacca scozzese una nube fragrante di forfora e naftalina.
Poi, ignorando la querula protesta del Presidente di Giuria, fiss? l?Autrice dritto nei grandi occhi cerulei. L?aria frizzava di eccitazione e irragionevole attesa.
?Chi voleva prendere in giro??
Brusio, mascelle allentate, sghignazzi sputati dentro i baveri delle giacche, occhi in libera uscita. E poi un silenzio radente, come prima del terremoto, quando il cielo basso rimbomba dell?abbaiar dei cani.
Il Presidente di Giuria si alz? di scatto. Era cos? rosso e gonfio che persino il Critico,
l?ascetico monarca di tutti i talk-show, sent? l?obbligo di venirgli in soccorso.
Se non altro perch? i malati, per non dire i morti, gli facevano impressione.
?Non certo ? questa la sede??
L?Autrice lo ferm? con un gesto leggero della mano sottile, grinzosa quanto basta per una candidatura al Nobel.
?Lasciatelo parlare? espettor? carismatica, con quella sua voce impastata di Mentos e Muratti; e infine sorrise, lenta ed ammaliante, mentre un paio di flash le esplodevano in faccia, scavandole nelle orbite la fatica dell?essere artista.
Il Concorrente, allora, disse.
?Quello era un incipit, secondo lei? Mi scusi, ritiro la domanda. Certo che lo era. Tecnicamente. Lungo e stravagante magari, di sicuro non bello; ma questa, lo sappiamo, ? cosa di poco conto, come sempre, del resto, quando si chiacchiera di letteratura.
Cosa le sia passato per la testa, io non lo so. Per?, vorrei almeno ricacciare il sospetto che lei, gentile Autrice, abbia voluto umiliarci, punirci per il nostro sconsiderato ardire. Del resto non ha torto, ognuno faccia il suo mestiere o l?anarchia ci inghiottir?. E quanto a noi, se ci guarda ora, potr? vederci per quello che siamo davvero. Padri di famiglia, mariti, impiegati, benzinai, giocatori di calcetto, collezionisti di film porno, fuoricorso, hobbisti assortiti. Ma bastano in fondo cinque parole per definirci tutti: noi, insieme, siamo la vita. E per? indegni, ai suoi occhi, di parlarne, della vita. Di pensarla, di raccontarla, di scriverne. Dobbiamo invece scrivere di un tizio senza scarpe che mangia polvere seduto su un sasso, proprio noi che la polvere la mangiamo tutti i giorni mentre fingiamo di non accorgercene, noi tosti e disperati, noi stanchi e indebitati, noi soli. Noi che rinunciamo a vivere, pur di sopravvivere.
Noi che non siamo scrittori, noi che per tirar su una frase facciamo fatica davvero, fatica fisica, davanti al computer per ore, a tarda notte, e c?? chi sogna la gloria, chi gi? calcola le royalties e si fa il conto di centomila copie vendute e quattordici ristampe, il caso letterario dell?anno. E tutti ci sentiamo un po? pi? grandi, mentre il nostro ego prima si gonfia e poi si buca come un materassino da spiaggia, mentre di l? le mogli dormono sole, in compagnia di sogni che non conosciamo. Voleva forse salvare le nostre famiglie? In questo caso, grazie.
E il bello? il bello ? che lo sappiamo che non siamo capaci, perch? se lo fossimo? beh, a quest?ora staremmo noi dall?altra parte del tavolo, a lucidare con la nostra fama le assi tarlate di questo teatro di provincia.
La nostra inadeguatezza, l?assenza di talento, gli sprofondi della fantasia, gli abissi della sintassi, sappiamo tutto. Solo non ditecelo, per favore, siamo terminali di mediocrit? incurabile e vogliamo morirne in pace. Il pi? tardi possibile, s?intende. Perch? poi si fa sempre in tempo a diventare Tomasi di Lampedusa o Camilleri o chiss? chi. E invece. Costretti (costretti, s?, perch? scrivere ? se ne ricorda, vero? ? non ? mai una scelta, semmai una dolorosa, inestinguibile necessit?) ad inseguire la sua fantasia d?autore tra viaggi nel tempo, perdite di memoria, mondi post-atomici, universi paralleli, deliri ecologisti, nostalgie d?eremitaggio e tutte le altre cazzate cui ci siamo arresi, alla fine, pur di essere qui, stasera, a fingere di essere come lei, meglio di lei, solo un po' meno fortunati.
Io sono quello che ha mandato le quattro pagine bianche. Dice che l?idea ? scopiazzata dall?ultimo libro di Dave Eggers? Bene, lo ammetto, ma poich? la mia vita, a quarant?anni, ? proprio questo, una pagina ancora bianca, una novella non scritta, allora la mia unica colpa ? la sincerit?. Non ho fatto altro che essere me stesso. Di certo con la sincerit? non si va lontano, l?ho capito persino io che sono tardivo, lento di riflessi e perci? socialmente marginale. Avrei fatto meglio a continuare col mio notturno delirio di romanzesche farneticazioni.
Tipo: chi sar? mai il personaggio scalzo sul sasso, un?automobilista in fuga dalla Salerno-Reggio Calabria, uno scafista braccato dalla Polizia, un clandestino scappato dal centro d?accoglienza? Oppure, perch? no, un nuovo povero in comode rate, un disoccupato reso flessibile dalla vitalit? darwiniana del capitalismo moderno, un project manager disperso durante un corso di sopravvivenza, un Famoso dell?Isola ormai inabile alla vita civile, un tifoso dell?Inter nella tarda serata del cinque maggio 2002, un anchorman multimilionario nominato in qualche lista di proscrizione, l?uomo accanto al busto di Cesare in un rebus dell?Enigmistica o, forse, un angosciante simbolo dell?Occidente bolso e decadente?
E la graziosa ragazza il cui ironico sorriso si specchia nel prezioso metallo dell?orologio, beh lei da dove viene, da uno stage per veline, dalle pareti annerite di un'officina, dal ristorante di un noto centravanti, da una convention del Partito di Governo, dal toglietemi tutto ma non il mio Breil, da dove? Epper? parla, la ragazza: e quel che non dice, che l?uomo scalzo non sente, che lei ci tace, ?, tanto di cappello, la pi? bella metafora dell?essere moderni. Perch? c?? stato un tempo in cui ci mancavano le risposte. Ora, non ci escono pi? neanche le domande?.
Il Concorrente tacque, imbronciando il viso magro in una smorfia di stanchezza e rassegnazione.
Vide le facce devastate dei membri della Giuria assorbire l?improvviso silenzio come un balsamo. Solo l'Autrice continuava a sorridere ed era persino bella, nella consapevolezza radiosa di quel sorriso. Si alz?, gir? intorno al tavolo fino a trovarsi faccia a faccia con il Concorrente.
?Mi spiace se non sono stato abbastanza cattivo? le disse lui.
?Ci ha almeno provato? rispose calma l?Autrice. ?Venga, andiamo a berci qualcosa?.
Una sbronza terribile, decisamente non reggeva l'alcool. Aveva la testa piena di nebbia e le gambe molli. Il che poteva forse spiegare perch? se ne stesse scalzo, seduto su quel sasso in mezzo alla campagna, tra le mucche e le sterpaglie, piantato come l'aratro in mezzo alla maggese. Che avesse sbagliato strada? Eppure, aveva una strana sensazione, come di d?j?-vu. Poi, l?enorme macchina, nera e lucida lo raggiunse, ricoprendolo di una fitta nube di polvere e dubbi. Al volante, una donna che gli pareva di conoscere lo guardava sorridendo, affacciata al finestrino, con il braccio sinistro appoggiato ad angolo. Il suo sguardo si pos? sulle piccole mani sottili, appena grinzose, che riconobbe immediatamente come qualcosa di conosciuto. La voce suadente di lei era impastata di Mentos e Muratti: ?Vuole salire? Le offro un caff??.
Per chi fosse interessato, gli altri racconti premiati si possono leggere su
http://www.laltralibreria.it/admin/linkappuntamenti/1premio.htm
…peccato per il nostro racconto…