“E ora, chi si occupa di Rifondazione? Caruso?”

24 Aprile 2006 Off Di Life

Il gesto appare nobile. Ma il sacrificio politico che impone ? alto. L'amarezza personale che comporta ? tanta. “Mi dispiace – spiega il presidente diessino – ma in questo tunnel devastante ci siamo stati tutti troppo a lungo. Era ora che qualcuno si prendesse la briga di uscirne fuori, e compisse un gesto di responsabilit?…”. Ancora una volta quel qualcuno ? un Ds. Anzi, ? il leader che pi? di ogni altro ne rappresenta, nel tempo lungo della politica, la forza e il limite.

A un'analisi sommaria, si potrebbe dire che da questo primo, aspro conflitto interno alla nuova maggioranza esce sconfitto proprio lui, D'Alema. E proprio il suo partito, la Quercia. Ma sarebbe un giudizio sommario e ingeneroso. Lui stesso prova a negarlo. “Adesso – racconta in un baccano di stoviglie e di chiacchiere da tavola – non parlate di disastri e di disfatte. Io sono sereno: sto qui, in un ristorante a Milano Marittima, a mangiare il pesce con un po' di amici e con il nostro neo-senatore Mercatali, che per inciso voter? diligentemente per Franco Marini. Mi impegner? e ci impegneremo, come sempre, per il bene dell'Ulivo…”.
Eppure, da questo primo test sulla tenuta del centrosinistra che ha vinto per un soffio le elezioni escono male un po' tutti. Le persone, innanzi tutto. Romano Prodi ? arrivato a questo appuntamento su un abbrivio di sondaggi che davano l'Unione vincitrice al voto del 9 aprile gi? da dicembre dello scorso anno. Avrebbe dovuto affrontare questo delicato snodo istituzionale non solo con un programma, ma anche con un organigramma. Non solo concordato, ma di fatto gi? blindato. Non ? stato cos?, e i risultati si sono visti. Fausto Bertinotti ha portato all'incasso il suo successo elettorale in modo alquanto discutibile. Non su una grande questione politica come la nazionalizzazione dell'energia. Ma sulla lottizzazione degli incarichi. Non sulla guerra in Iraq. Ma sulla guerra delle poltrone.

Ma il bilancio ? squilibrato anche dal punto di vista delle politiche. La legislatura, formalmente non ancora cominciata, nasce simbolicamente con un atto che mortifica la componente riformista dell'alleanza, e premia invece quella antagonista. Alla Camera l'Ulivo, anche se non ha esaltato le masse, esce comunque dalle urne con un non disprezzabile 31,3% di consensi. Rifondazione, anche se ha migliorato la sua performance, non ha comunque superato il 5,8%. I rapporti di forza hanno pur sempre un loro significato.

Questa palese sproporzione tra l'esito elettorale e il “dividendo” istituzionale non ? un buon viatico per l'alleanza. Soprattutto alla luce di un risultato che dimostra che questa Unione, nonostante la vittoria, non riesce a sfondare nell'elettorato del Nord produttivo e del ceto che un tempo si sarebbe detto “borghese”. Il centrosinistra non ha molto da guadagnare ma ha invece tutto da perdere, se nel discorso pubblico comincia a passare il mito e il rito dei “luned? di Massa Martana”: i pranzi riservati tra Prodi e Bertinotti, in cui si stabilizza in modo unilaterale l'asse politico della coalizione. Proprio come i “luned? di Arcore”, quando Berlusconi e Bossi decidevano tutto nelle loro ricche cene a due, mentre a Roma digiunava l'anoressico sub-governo Fini-Follini.

D'Alema segnalava questo pericolo, paradossale e speculare, gi? da un pezzo. Marted? scorso aveva lanciato il suo primo allarme con Fassino: “Caro Piero, le cose stanno prendendo una piega che non mi piace. Io, che non chiedo niente e non mi candido a niente, rischio di ritrovarmi ingaggiato in un duello rusticano assurdo con Fausto. Rischiamo di uscirne con le ossa rotte. Non solo io, che sarebbe il male minore, ma tutto il partito…”. Anche se il responso elettorale ? stato di poco superiore al minimo storico del 2001, la Quercia ? e resta pur sempre il primo partito del centrosinistra. Possibile che resti fuori dall'intera “geografia istituzionale” del Paese?

Possibile. Lo riconosce anche Fassino: “Avevamo gi? capito da due giorni, che il film sarebbe finito cos?…”, diceva ieri sera il segretario. Per questo D'Alema aveva meditato il clamoroso passo indietro, gi? dall'inizio della settimana, quando aveva visto le esitazioni di Prodi e le rivendicazioni di Bertinotti. “Lo confesso – si sfogava mercoled? scorso – sono piuttosto disgustato. Non cerco incarichi, non voglio poltrone. Perch? mi devo trovare in questo tritacarne? Se dovessi seguire il mio istinto, manderei tutti a quel paese, subito…”.

Invece ha provato a resistere. E con lui Fassino, nella convinzione che, alla fine, il Professore avrebbe convinto il leader del Prc. Sulla base di un ragionamento politico, non certo di un interdetto personale. “Se Fausto la spunta, il primo segnale politico che diamo ? che siamo un'altra volta ostaggio dei post-comunisti. Come nel '96…”. Non solo: “Vi rendete conto o no del rischio che corriamo?”, si chiedeva il presidente Ds: “Se Bertinotti fa il presidente della Camera, chi si occupa di Rifondazione? Con tutto l'affetto e il rispetto, ci porta Caruso e Luxuria in Parlamento, e poi tocca a noi gestirli?”.

L'altro ieri sera ? tornato a spiegare a Prodi le sue ragioni. Eccole: “Noi siamo una forza responsabile. In questi anni abbiamo dato il sangue a questa coalizione e al partito democratico. Personalmente ho sostenuto Romano in tutta la sua battaglia, comprese le primarie e la lista unitaria. Decida lui. Ma sappia che la scelta non ? indolore. E sappia che stiamo dando un'immagine disastrosa agli elettori. Siamo ancora in campagna elettorale, se il Polo ci strappa Milano, la Sicilia e qualche altra citt? sono dolori veri…”. Fassino ? stato ancora pi? duro: “Romano sa come stanno le cose: i patti erano chiari, ben undici mesi fa avevamo raggiunto un accordo sul fatto che, se avessimo vinto le elezioni, la presidenza della Camera sarebbe andata a Massimo, per ragioni di equilibrio politico e di prestigio personale. Possibile che non mi posso pi? fidare? Possibile che serva il notaio anche tra di noi?”.

Visti i fatti, possibile. Ancora una volta. “Fausto ci ha trascinato in un vicolo cieco – masticava amaro D'Alema, nelle sue riflessioni dal ravennate – o la presidenza della Camera o il ministero degli Esteri o l'appoggio esterno. Era un gioco al massacro folle. Non si poteva reggere. Ho perso la partita? Non credo. Sicuramente ci ho guadagnato in dignit?. Per me la politica ? fatta anche di altre cose, non ? mai stata questione di poltrone…”. Fassino era ancora pi? drastico: “Fausto ci ha messo di fronte a un ricatto. La Farnesina, poi… Con tutto il rispetto, mandavamo lui a fare i vertici con Condoleezza Rice?”.

La vulgata vuole dunque che alla fine tutte la colpe ricadano un'altra volta sul “cashemere di lotta e di governo”. ? cos?? Forse no. Forse non basta. Il presidente diessino, in questi giorni, ha allargato spesso e volentieri il suo giudizio critico: “Devo essere sincero? Mi pare che tutta la gestione di questa fase sia stata professionalmente catastrofica…”. Tutti i leader hanno qualcosa da farsi rimproverare. Forse lo stesso D'Alema, che conoscendo da 15 anni la testarda ostinazione del pansiano “Parolaio Rosso” doveva prevedere lo show down, ed evitare di tirare la corda fino alla rottura.

Resta da chiedersi che succede adesso. Che faranno i Ds? C'? chi racconta di un presidente e un segretario avvelenati, e pronti a consumare ogni tipo di vendetta su Prodi e sugli alleati, magari rimettendo in discussione la stessa candidatura di Marini alla presidenza del Senato. “Purissime idiozie – sibila D'Alema – chi pensa che noi stiamo qui a covare complotti ? solo un cretino. Lavoreremo per rimettere insieme i cocci del centrosinistra, piuttosto. Come abbiamo sempre fatto, d'altra parte…”. La questione ? se per la Quercia, dopo il danno e la beffa, esiste un risarcimento tollerabile e possibile. C'? chi ipotizza il ministero degli Esteri proprio per D'Alema, magari. “Non esiste al mondo – taglia corto lui – chi dice che abbiamo gi? concordato una nuova spartizione degli incarichi di governo ? solo un mascalzone. Io nel governo non ci entro manco morto. Non ? una ritorsione, sia chiaro. ? giusto che ci entri Fassino, invece…”.

Qualcuno, pi? audace, si spinge a immaginare che l'unico “indennizzo” accettabile, per il Baffino di Ferro piegato ancora una volta dalle logiche di coalizione, sia l'ascesa sul Colle pi? alto. D'Alema sbotta: “E no, adesso basta con questo giochino! Fatemi il favore, non associate pi? il mio nome a nessuna carica. Non vorrei essere costretto a un altro diniego preventivo…”. Fassino, da Roma, ? corrosivo: “Massimo al Quirinale? Meglio non parlarne. Se gestiscono la questione come hanno fatto per la Camera, buona notte…”. Appunto. Se questo ? l'inizio, viene in mente giusto quel gran film di George Clooney: buona notte, e buona fortuna.