Brevi considerazioni sul voto nel Trentino

20 Maggio 2010 0 Di Life

Un brevissimo post sul voto amministrativo nella regione più ostica al Cavaliere.
Sono sedici anni che, pur provandole tutte, Berlusconi non riesce a spuntarla nel Trentino.
Oggi, con felice intuizione, Repubblica ha stabilito un paragone tra questa regione e il villaggio di Asterix (l’unica enclave in suolo gallico in cui i romani di Cesare non prevalsero).
Penso sia utile, a questo punto, chiedersi le ragioni che stanno a monte dello strano fallimento di Silvio e, cosa che appare ancor più strana, dei ripetuti successi del centrosinistra.

Facciamoci innanzitutto un’idea del Trentino-Alto Adige.

E’ certamente regione nordista geograficamente parlando, ma è anche regione molto differente rispetto al resto del Nord.

Qui, a differenza che altrove, a dominare il paesaggio non è la piccola impresa privata. Se si vuole l’identikit del cittadino trentino medio, occorre recarsi negli uffici pubblici oppure nella miriade di aziende cooperative e casse rurali nate dall’associazionismo cattolico. Sono ben 13.000 i dipendenti pubblici della sola provincia di Trento e l’agricoltura si è da tempo contaminata col turismo.

A ben vedere, il quadro che ne emerge è sostanzialmente distante da quello della pedemontana che vota Lega. Infatti, anche per la Lega qui sono soltanto dolori.

Storicamente, il Trentino ha ereditato quei caratteri che facevano dell’amministrazione asburgica (quella risalente a Giuseppe II e a sua figlia Maria Teresa) l’amministrazione più efficiente d’Europa.
Ancora oggi, per esempio, non si hanno notizie che consentano di estendere anche ai colletti bianchi del Trentino i poco lusinghieri giudizi che in altre parti d’Italia costituiscono la norma.
Lo stesso discorso è possibile riferirlo a quanti si occupano di politica.

Quindi, a far da “vaccino” contro il centrodestra sembrano esserci due elementi: la notevole diffusione dell’impiego pubblico e il buon funzionamento (oltre che dell’amministrazione pubblica) delle forme associative in economia.

Ma occorre non tralasciare un fatto di non poca importanza: il Trentino è regione a statuto speciale.
I maggiori trasferimenti finanziari che, grazie a tale status, si ottengono dall’amministrazione centrale dello stato, consentono maggiori spese sul fronte del pubblico impiego.
Dico questo per sgomberare subito dal campo eventuali sogni “sinistri”: in tutte le altre regioni che non godano del medesimo status, ciò si tradurrebbe in un significativo aggravio della pressione fiscali sugli abitanti delle regioni stesse.
Quindi, cari amici di sinistra, toglietevi dalla testa di poter fare come in Trentino (o in Sicilia)!

Ad escludere, poi, la seconda opzione (quella riguardante l’efficientismo, tanto al livello politico quanto a quello economico) mi pare che ci pensi la storia: al tempo dei Borbone, poiché neppure loro si fidavano delle prove di efficienza che la pubblica amministrazione avrebbe potuto fornire (sic), si ovviò al problema rendendola molto leggera. Tanto che, al momento dell’unificazione, lo stato borbonico risultava essere l’unico con i conti a posto e con l’imposizione fiscale più mite.

I Savoia che, essendo di origine francese, avevano un’idea dello stato molto centralistica, tolsero di mezzo il meccanismo della sussidiarietà valso fino ad allora (nello stato borbonico, ad es., ad occuparsi di istruzione e di pubblica assistenza era la Chiesa, con risultati neppure disprezzabili per l’epoca) e diedero avvio al disastro che conosciamo bene: conti pubblici perennemente inguaiati e diffusione a macchia d’olio dell’inefficienza statalistica. Ambedue, caratteristiche ben radicate nello stato Savoia.
Che poi qualche buontempone abbia voluto convincerci del contrario, beh, questa è un’altra storia.

Mimmo Forleo