Lo Stato siamo noi?
23 Maggio 2010Stimolato da alcuni articoli scritti allo scopo di obiettare ad alcune convinzioni (coltivate tanto a destra quanto a sinistra) che, chi le fa proprie, ritiene non abbiano alcun bisogno di essere dimostrate – tanta è, così si presume, la speculazione filosofica e tanto pregevole, da parte di illustri pensatori che ci hanno preceduto (come non ricordare l’introduzione, di punto in bianco e del tutto gratuitamente, di Aristotele da parte di un fantomatico “esperto di sistemi economici”?) –, vengo a presentarvi un saggio di Murray N. Rothbard (il padre del c.d. “anarco-capitalismo”), Anatomia dello Stato, contenuto in una sua opera del 1974, “Egualitarismo come Rivolta Contro Natura e Altri Saggi”.
Mi piacerebbe riportarlo integralmente, ma mi limiterò a proporvi solo alcuni paragrafi (a mio parere) più significativi.
Sperando di fare cosa utile, mi auguro che segua ampia e feconda discussione.
Lo Stato è quasi universalmente considerato un’istituzione di servizio sociale. Alcuni teorici venerano lo Stato come l’apoteosi della società; altri lo considerano un’organizzazione apprezzabile, anche se spesso inefficiente, per raggiungere scopi sociali; ma quasi tutti lo considerano un mezzo necessario per raggiungere gli scopi dell’umanità, un mezzo da schierare contro il “settore privato” e spesso vincitore in questa competizione di risorse.
Con l’ascesa della democrazia, l’identificazione dello Stato con la società è stata raddoppiata, tanto che è comune ascoltare l’espressione di sentimenti che violano quasi ogni principio di ragione e di senso comune quali “il governo siamo noi”.
L’utile termine collettivo “noi” ha reso possibile che un travestimento ideologico fosse gettato sulla realtà della vita politica. Se “il governo siamo noi”, allora qualunque cosa un governo faccia ad un individuo non solo è giusta e tutt’altro che tirannica ma anche “volontaria” da parte dell’individuo interessato.
Se il governo si è gravato di un ingente debito pubblico che deve essere pagato tassando un gruppo per il beneficio di un altro, la realtà di questo gravame è oscurata dicendo che “siamo debitori di noi stessi”; se un governo chiama alla leva un uomo, o lo manda in prigione per dissenso d’opinione, allora “lo sta facendo a se stesso” e quindi nulla di deplorevole è accaduto.
Secondo questo ragionamento, tutti gli ebrei uccisi dal governo nazista non furono uccisi; al contrario, essi devono essersi “suicidati”, poiché il governo erano loro (un governo democraticamente scelto), e quindi qualunque cosa il governo facesse loro era volontaria da parte loro.
Si potrebbe pensare che non sia necessario insistere su questo punto, e tuttavia la schiacciante maggioranza della gente sostiene, in minore o maggior misura, questa credenza errata.
Dobbiamo quindi sottolineare che “noi” non siamo il governo; il governo non è “noi”. Il governo, in nessun senso preciso, “rappresenta” la maggioranza del popolo (1). Ma, anche se così fosse, anche se il 70 per cento del popolo decidesse di uccidere il restante 30 per cento, ciò sarebbe ancora un omicidio e non un suicidio volontario da parte della minoranza trucidata (2). A nessuna metafora organicistica, a nessuna banale e irrilevante osservazione che “noi siamo tutti parte l’uno dell’altro”, deve esser concesso di oscurare questo fatto basilare.
Se quindi lo Stato non è “noi”, se non è “la famiglia umana” radunata per decidere dei problemi reciproci, se non è la riunione di una loggia o di un circolo sportivo, che cos’è?
In breve, lo Stato è quell’organizzazione della società che tenta di mantenere un monopolio nell’uso della forza e della violenza in una data area territoriale; in particolare, è la sola organizzazione nella società che ottiene le sue entrate non con contributi volontari o in pagamento di servizi resi ma con la coercizione.
Mentre gli altri individui o istituzioni ottengono il loro reddito con la produzione di beni e servizi e con la pacifica e volontaria vendita di questi beni e servizi agli altri, lo Stato ottiene il suo reddito con l’uso della costrizione, cioè con l’uso e la minaccia della prigione e delle baionette (3).
Avendo usato la forza e la violenza per ottenere il suo reddito, lo Stato generalmente prosegue col regolare e imporre le altre azioni degli individui suoi sudditi. Si potrebbe pensare che la semplice osservazione di tutti gli Stati attraverso la storia e in ogni parte del globo sia una prova sufficiente di questa affermazione; ma il miasma del mito ha aduggiato così a lungo sull’attività dello Stato che si rende necessaria una elaborazione.
(1) Non possiamo sviluppare in questo capitolo i molti problemi e le fallacie della “democrazia”. Basta qui dire che il vero agente o “rappresentante” di un individuo è sempre soggetto agli ordini dell’individuo, può essere revocato in ogni momento e non può agire contrariamente agli interessi e desideri del suo principale. Chiaramente il “rappresentante” di una democrazia non può mai soddisfare queste funzioni di agente, le uniche consone a una società libertaria.
(2) I socialdemocratici spesso replicano che la democrazia – la scelta a maggioranza dei governanti – implica logicamente che la maggioranza deve lasciare certe libertà alla minoranza, affinché la minoranza possa diventare un giorno maggioranza. Lasciando da parte altri difetti, questo argomento ovviamente non tiene dove la minoranza non può diventare la maggioranza, per esempio quando la minoranza appartiene a un gruppo razziale o etnico differente dalla maggioranza.
(3) Joseph A. Schumpeter, Capitalism, Socialism, and Democracy, New York, Harper and Bros., 1942, p. 198: «L’attrito o antagonismo fra settore privato e settore pubblico è stato accentuato dal fatto che […] lo stato è vissuto di cespiti prodotti nella sfera privata per scopi privati, e che da questi bisognò distrarre con ricorso alla forza pubblica. La teoria che costruisce le imposte sull’analogia delle quote d’iscrizione a un circolo o dell’acquisto dei servizi, poniamo, di un dottore, prova soltanto come questa parte delle scienze sociali sia lontana dall’abito mentale scientifico»; trad. it. Capitalismo, socialismo, democrazia, Milano, Etas Kompass, 1967, p. 191 e n. 10. Cfr. anche Murray N. Rothbard, The Fallacy of the ‘Public Sector’, «New Individualist Review», Summer 1961, pp. 3-7 [ora in Rothbard, The Logic of Action II, Cheltenham, Edward Elgar, 1998, pp. 171-179; trad. it. La fallacia del settore pubblico, in La libertà dei libertari, a cura di Roberta A. Modugno Crocetta, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000, pp. 69-80].