Un giudizio sulla Manovra “voluta dall’Europa”

2 Giugno 2010 0 Di Life

Non so quanti di voi hanno colto due aspetti che rischiano di passare inosservati nella discussione di questi giorni sulla Manovra finanziaria da 26 miliardi di euro.

Il primo aspetto è una vera e propria “finezza” retorica: tutti coloro che hanno parlato a nome del governo a proposito della manovra, si sono affrettati a dire che “la vuole l’Europa”.
Quasi a dire che, fosse per loro, continuerebbero ben volentieri a sostenere che “la crisi non c’è, è un’invenzione dei comunisti”. Via, allora, con l’ottimismo e confidando sull’amore (che vince sempre sul male).

Il secondo è che Berlusconi è quasi sparito dai media nei giorni più imbarazzanti.
Berlusconi si è eclissato e ha preferito mandare allo scoperto Gianni Letta (certo il “venditore di sogni” di Arcore non è la persona più adatta per annunciare le lacrime e il sangue promessi da Letta), per poi ricomparire ieri insieme a Tremonti e dare l’impressione che al governo di questo paese sia tornata la coppia Prodi-Visco.

Ma questi sono problemi sui quali dovrebbero interrogarsi ora i giubilanti elettori del centrodestra, visto che erano altri a sostenere che i miracoli in economia non esistono e che chi li annuncia è un venditore di tappeti (usati e malmessi).

Tocca dunque agli altri, ancora una volta, provare ad essere realisti in un paese che, forse, comincia a credere di meno nelle favole. Anche a quelle che vuole raccontare un certo Epifani e di cui dirò alla fine.

Per essere realisti, occorre subito dire che la manovra appena varata sarà sicuramente insufficiente.
Non serve essere profeti per capirlo; è sufficiente conoscere l’abc dell’economia e saper fare due conti per comprendere che i soli tagli (quelli presenti in manovra) non bastano e che c’è urgente necessità di far ripartire a un ritmo più spedito la crescita del Pil (con buona pace dei sostenitori della “decrescita”, venditori di fumo anche loro).

Cosa ci dice l’abc?

Ci dice innanzitutto che i mercati non sono entità astratte, sono invece fatti di persone in carne e ossa che, quando qualcuno gli chiede in prestito del denaro, si domandano quanto sia affidabile quel qualcuno (nel nostro caso, gli Stati).

Chi come l’Italia diceva di “guadagnare” 46 e di spendere 44 (uso il passato perché questo è quanto accadeva ancora nel 2008, ai tempi degli esecrati Prodi e Visco), ipotizzando che il Pil sia uguale a 100, poteva sperare di ottenere un prestito (magari lo pagava salato, ma lo otteneva) per far fronte al pagamento degli interessi sui debiti complessivamente accumulati.

Oggi accade che il Pil (complice la crisi) sia passato da 100 a 95.
Cosa è accaduto ai “guadagni” (in realtà le entrate tributarie) e alle spese?

Le entrate sono si sono ridotte in rapporto al diminuito Pil (sono il 46% di 95, quindi sono diventate pari a 43,7) e le spese sono rimaste invariate in termini assoluti (continuano ad essere pari a 44).

Ricapitolando:
nel 2008 le entrate (46) meno le uscite (44) davano +2, nel 2010 danno (43,7 – 44) -0,3.
Anche il più avventato degli investitori comprende che riottenere indietro i soldi prestati è diventato più complicato.

Siccome i politici sono abituati ad ottenere tutto e gratis, l’investitore riottoso (con buone ragioni! come abbiamo visto) per loro si è subito trasformato in “speculatore”, una specie di orco cattivo che si diverte a vedere lo spettacolo di alcuni stati che vanno in malora.

Prontamente, è apparso sulla scena chi (Tremonti) ha puntato l’indice contro gli “speculatori” aspettandosi gli applausi del pubblico.
E applausi sono stati, soprattutto da parte di quella sinistra che quando si parla di mercato e di denaro non sa assolutamente di cosa si stia parlando, ma dice comunque di avere le idee più chiare di tutti in proposito.

Torniamo però ai famosi “tagli”.

In realtà, Tremonti & C. non hanno tagliato un bel niente. Nella maggior parte si tratta di “congelamenti” di stipendi (quelli degli statali), di differimento di qualche spesa (la riduzione delle “finestre” pensionistiche) e di tagli (questi ci saranno davvero) ai bilanci degli enti locali. E’ la solita storia, il governo dice di “non voler mettere le mani nelle tasche degli italiani”, ma consente agli enti locali di mettercele come e quando vogliono.

Il risultato è che la spesa dei prossimi due anni si ridurrà di circa 1 punto (da 44 scenderà a 43).
Rifacendo i conti fatti prima, col Pil fermo a 95, si avranno le entrate a 43,7 e le uscite a 43.
Quindi, da un -0,3 si passerà a +0,7.
Basterà questo striminzito risultato agli investitori per tornare ad avere fiducia nell’Italia?

Crediamo di no, sapendo che i “tagli” non saranno permanenti (ma limitati ad un biennio), e soprattutto riflettendo sul fatto che la manovra non contiene nulla che possa far sperare in una ripartenza robusta della crescita del Pil.

Cosa servirebbe per far ripartire il Pil?

Beh, diverse cose.

Intanto un forte intervento teso a ridurre la pressione fiscale.
Hanno ragione a questo proposito quanti sostengono, come Epifani della CGIL, che i tagli colpiscono solo i redditi da lavoro e lasciano inalterato il trattamento di favore concesso alle rendite.
Se quindi l’attuale governo volesse per una volta far seguire dei fatti alle tante chiacchiere vendute, dovrebbe quanto prima mettere mano a quella riforma fiscale di cui parla da ben 16 anni!

E’ vero quello che dice Epifani, il quale sostiene che una crescita del Pil la si ottiene anche “stabilizzando” i 400.000 mila precari che lavorano nel settore pubblico. Ma così facendo, i dipendenti pubblici diventerebbero quasi 4.000.000 (quattro milioni!) aggravando in maniera insostenibile il fronte delle uscite. Sarebbe la via più rapida per correre verso quel disastro che si prova ad evitare!

Poi, occorre evitare il ripetersi di fenomeni tipo Alitalia.
Il governo attuale ne ha in cantiere già due: Banca del Mezzogiorno e Finto Federalismo Fiscale.

Infine, occorrono tagli permanenti di alcuni costi.
Sono le cosiddette “riforme strutturali”. Per ottenere le quali c’è una sola via: riduzione consistente e in via definitiva dell’interventismo statale (che si traduce in interventismo della politica).

Mimmo Forleo