QUANDO IL PCI AFFONDERA’…

23 Giugno 2010 0 Di Life

“…verranno a galla tutti gli stronzi.”.
La leggenda vuole che a pronunciare queste parole sia stato Alfredo Reichlin quando il PCI esisteva ancora, evidentemente.
Questa frase, conservatasi in qualche recesso della mia memoria, deve aver ispirato il senso di quel commento di cui davo conto un articolo fa.
Non ho mai saputo a cosa volesse esattamente riferirsi Reichlin quando parlava di stronzi, ma voglio ipotizzare che ce l’avesse con quel gruppo di personaggi che, ai tempi in cui la frase fu proferita, dirigeva i movimenti giovanili del PCI e della DC: D’Alema, Veltroni, Fassino, Franceschini, Bindi, Follini e via dicendo.

Perché ipotizzo ciò?

Be’, il primo motivo che mi viene in mente deriva dal constatare che in oltre 40 anni passati a “far politica”, a quel gruppo non è possibile addebitare una cosa, che sia una, di positivo: non hanno mai vinto un’elezione, non hanno mai prodotto un’analisi politica decente, non hanno mai azzeccato una previsione. Insomma, quel gruppo è stato capace di inanellare solo fallimenti: elettorali, politici e progettuali.

Eppure, eppure, quel gruppo è ancora lì: si mantiene a galla. Non c’è nessuno che li metta in discussione o, come sarebbe più opportuno, li cacci via a pedate.

Nel resto d’Europa si sono susseguite e via via scomparse dalla scena almeno tre generazioni di politici: quelli dei ’70, degli ’80 e perfino dei ’90. Qui da noi sono bloccati oltre che i meccanismi collettivi di decisione politica, quelli attraverso i quali si elegge il parlamento, anche i meccanismi di selezione interni ai partiti. Sembriamo condannati a dover sopportare in eterno qualsiasi personaggio in grado di divenire una cariatide.

Come mai?

Per trovare la risposta occorre rifarsi alla storia del nostro Paese (quel paese che qualcuno amabilmente definisce col nome di “Patria”) e a quella dei suoi due principali soggetti politici dal dopoguerra agli inizi dei ’90: il PCI e la DC.

E’ una storia fatta di progressivo svuotamento del naturale significato liberale che la politica del Novecento ha assunto dappertutto nel mondo occidentale, meno che in Italia.

Se la DC nel corso degli anni divenne anche rifugio dei pochi liberali che resistevano, il PCI sin da subito si caratterizzò per essere la casa comune di quanti il liberalismo lo ripudiavano apertamente: i sinceri democratici e gli stalinisti, gli amici di Mosca. A fare da collante tra i due gruppi fu l’esperienza resistenziale al fascismo. Al fascismo, si badi bene, politico, quello anti-democratico. Ché con le dottrine sociali avanzate dal fascismo si ritrovarono, e avrebbero continuato a ritrovarsi anche nel dopoguerra.

Sin dagli inizi, “democratici” e “stalinisti” si divisero il PCI. Ai primi spettava il compito di apparire e di parlare agli elettori, i secondi tenevano in mano le leve della “selezione” interna al partito, le sezioni. I primi erano liberi di teorizzare le loro fantasie senza costrutto (si pensi al successo che ebbero quanti propugnarono il modello sociale alla don Milani), i secondi facevano emergere soltanto coloro che si dimostravano fedeli, obbedienti e incapaci di pensare con la loro testa. Solo i mediocri, insomma. Il partito stalinista perfetto era realizzato!

Chi pensa che lo stalinismo sia fatto solo di “purghe” e di gulag e, non ravvisando questi ingredienti nel PCI, tende ad escludere che il PCI sia stato un partito stalinista, ebbene, non ha capito un cazzo. La vera essenza dello stalinismo è la mediocrità, la promozione della mediocrità.

Il PCI arrivò agli anni ’70, quelli di Berlinguer, già stremato intellettualmente nella sua dirigenza.

Apparteneva al passato l’era dei grandi leader: Togliatti e Longo si erano fatti largo sì grazie alle loro capacità di essere servili e obbedienti, ma avevano pure dovuto lottare per sopravvivere alle contingenze “esterne”. Togliatti aveva dovuto imparare a sopravvivere nella Mosca di Stalin, Longo per non soccombere al fascismo aveva dovuto fare il “generale” nella resistenza. Loro due un processo di selezione vero avevano dovuto affrontarlo.

Con Berlinguer la “selezione” che avviene nei corridoi e nelle sezioni è già a buon punto. S’inizia l’era della mediocrità al potere e mediocre risulterà Berlinguer. Ve l’immaginate un Togliatti o un Longo andare a tenere un comizio davanti ai cancelli della FIAT, per “parlare” a una classe operaia che sta per mandarli allegramente a cagare? Io no.

Giungiamo quindi ai giorni nostri passando per un evento cruciale, quello che si dà sul finire degli ’80: il tracollo del socialismo reale, che si traduce nel tracollo dei “castelli di carta” messi in piedi dai teorizzatori senza necessità di costrutto di cui dicevamo all’inizio dell’articolo.

A quella data emerge la necessità di dover fare a meno anche delle chiacchiere che “nobilitavano” lo squallido lavorio di selezione che si realizzava nelle sezioni.

Dovendo rinunciare a cotanti teorizzatori, adesso tocca ai “selezionati” nei corridoi farsi avanti e accollarsi per intero la responsabilità del potere. E’ in quel momento che appaiono pubblicamente e pubblicamente devono misurarsi i vari “giovani” alla D’Alema, Franceschini ecc.

Subito si fanno notare per le cretinate di cui si dimostrano capaci, cito letteralmente uno che del PCI berlingueriano ha fatto parte:

“Quando arriva il tracollo il meccanismo di autosalvaguardia dei “giovani” (hanno tutti 60 anni ora) della sinistra democristiana (Franceschini) della FGCI (tutti quanti) degli “enti” locali (Bersani) prende il sopravvento e il potere, il poco che c’è da prendere, facendo scemenze strabilianti e dovendo cedere su punti non banali che si rivelano fatali, la principale fu quella di allearsi a cretini (Pecoraro Scanio), venditori di fumo (Bertinotti), demagoghi (Di Pietro) e arrivisti (Mastella). Questi sono i fatti.”

Al momento, mi pare che bastino questi fatti per chiudere il presente articolo.

Mimmo Forleo