Il PD e la politica “nazional-popolare”
20 Luglio 2010La discussione che si sta sviluppando intorno a un comunicato stampa del Sindaco, mi invoglia a ritornare a parlare di Berlusconi (ammetterete che non lo faccio da tempo).
Le mie osservazioni in merito al “Piano sanitario” le ho già allegate in coda ad un comunicato della segretaria (divenuta insolitamente loquace negli ultimi tempi) e sarebbe quindi ripetitivo riproporle qui.
Berlusconi, a dire il vero, è solo il pretesto per tornare a parlare del PD e della “sinistra” più in generale (cosa che non ho mai smesso di fare).
Lo spunto vero, in effetti, me l’ha fornito Life con la seguente affermazione: “…fino a quando ci saranno “comunicati politici nazional-popolari” non ci sara’ un buon uso della politica.”
Mettiamola così: i comunicati “nazional-popolari” (che credo stiano per “demagogici”) sono considerati l’essenza, tanto a destra quanto a sinistra, del fare politica. Si tratta dell’unico strumento a disposizione di una politica rimasta a corto di idee e, soprattutto, non disposta a dover ammettere di non essere più in grado di leggere la realtà (ammettendo che qualche volta ci provi. Il che è tutto da dimostrare). Vediamo cosa ne esce.
Il contenuto dei comunicati si somiglia spaventosamente, in maniera del tutto indipendente dall’area di provenienza. Sembra che esistano due copioni soltanto: uno per quanti sono al governo e l’altro per l’opposizione. Se una qualsiasi competizione elettorale sancisce lo scambio dei ruoli (chi fino a quel momento era al governo passa all’opposizione, e viceversa), ci si scambiano i copioni. E la giostra continua tale e quale.
Dato questo meccanismo bloccato, permanere il più possibile al governo (quello centrale, come quello di quartiere) implica che si riesca a fare almeno in parte anche quanto previsto dal copione in mano all’opposizione: per fare due esempi, ai tempi di Prodi era la sinistra radicale a farsene carico; oggi ci provano la Lega e, novità assoluta, lo stesso presidente del Consiglio.
Ecco individuata la novità che riesce a dar conto della maggior durata dei governi guidati da Berlusconi: la “magia” di Berlusconi consiste nel mostrare fugacemente il meccanismo sul quale si regge la politica italiana e, successivamente, convincere che il ruolo dell’opposizione è del tutto superfluo. All’opposizione, quella fatta per davvero, ci pensa lui! Così sostiene e così riesce a far credere.
Ma la questione non è capire se Berlusconi riesca o meno a fare anche l’oppositore.
No, la questione è capire che davvero il ruolo dell’opposizione è superfluo; almeno in un sistema come quello descritto.
All’esordio della sua carriera politica, Berlusconi volle interpretare il ruolo che era sempre mancato nel panorama politico italiano: quello di una destra seriamente liberale e disponibile a dare un taglio netto con le politiche statalistiche e compartecipative del passato. Qualcuno gli credette: alcuni ex fascisti dell’MSI (Tatarella e Fini) e i liberali seri à la Antonio Martino. Ma i primi sospetti nacquero quando personaggi come Tremonti, candidati ed eletti nel centro-sinistra, cambiarono immediatamente casacca. Solo i ciechi non furono in grado di intuire che Berlusconi stava mandando a puttane tutte le belle promesse fatte.
Berlusconi non è mai stato un liberale e non lo sarà mai. La genialata fatta da Berlusconi è consistita nel farsi accreditare come tale. Al resto ci ha pensato il centro-sinistra agitando lo spauracchio del Berlusconi liberista! A quel quel punto, il centro-sinistra s’è fregato con le sue stesse mani.
Il sistema politico italiano non è mai cambiato, ma oggi abbiamo chi vive di rendita affermando che lui ci prova a cambiarlo (Berlusconi), e chi si è condannato (lo capite da soli di chi sto parlando) a rappresentare da solo la somma di tutti i mali che affliggono il Paese.
Il risultato paradossale di tutto questo gran polverone è che il liberalismo continua ad essere guardato con sospetto: a destra, Tremonti e la Lega sono visti come una sorta di assicurazione contro le (presunte) derive liberaleggianti di Berlusconi e, a sinistra, si confida in parolai come Vendola.
Andiamo alle conclusioni.
Sono il primo a dubitare che un popolo abituato a mangiare pane e Stato possa premiare una politica sinceramente liberale ma, nonostante creda questo, mi rendo pure conto del cul de sac in cui si è infilata la sinistra italiana.
Quando, controvoglia, decisi di aderire al PD lo feci con la seguente motivazione: avendo chiaro (almeno così speravo) il quadro appena descritto, confidavo nel fatto che le incoerenze in esso contenute sarebbero immancabilmente venute alla luce. E così è stato. Fatevi una chiacchierata con un qualsiasi militante di destra e poi con uno di sinistra e scoprirete che non sono più in grado di distinguere tra le rispettive posizioni in campo economico. Entrambi invocano semplicemente più assistenzialismo, in barba ad ogni discorso sulla effettiva sostenibilità di tale assistenza.
A mio parere esistevano le condizioni perché, almeno nel PD, venisse sancito il fallimento definitivo delle politiche assistenziali e corporativistiche. Gli elettori interessati a tali politiche, ormai, guardano fiduciosi solo a Berlusconi. Ne costituiscono prova le estinzioni dei partiti della “sinistra storica”.
Ma anche nel PD, finora, sembrano spuntarla le sacche di “resistenti”. Qual è la soluzione?
Aspettare, attendere che nei circoli si completi quel processo di svuotamento progressivo che è già a buon punto. Arriverà il momento in cui anche i “resistenti” si stancheranno di raccontarsi cazzate.
Mimmo Forleo