La Nuova Atlantide (II parte)
26 Agosto 2010Nel mio primo post ho apertamente fatto trasparire il mio orientamento favorevole alla tesi, di Caprara e altri, che vuole ci sia stata una soluzione di continuità lungo il corso della storia riguardante l’abitato di Palagiano.
Qui tenterò di fornire alcuni elementi di supporto a tale tesi, in aggiunta a quello che a me pare essere inoppugnabile di per sé: la relazione tra la diffusione, rilevabile ancora oggi, della talassemia e i fenomeni di impaludamento.
Per farlo, mi baserò sulle osservazioni di Luigi Putignano concernenti l’antico sistema viario e alcune considerazioni tanto di carattere antropico quanto economico. Luigi Putignano ci suggerisce alcune osservazioni interessanti: l’orientamento verso nord dell’androne di accesso al “kastellion”, dunque in direzione di Mottola; la deviazione, sempre in direzione di Mottola, fatta subire alla antica Via Appia in prossimità della gravina di Petruscio; lo stato rovinoso in cui, ancora nel 1500, si conservavano i resti della odierna Chiesa dell’Immacolata.
Dall’orientamento verso nord, tanto del “kastellion”, quanto della principale e forse unica via di accesso all’abitato di Palagiano, Luigi fa discendere che l’abitato sia sempre stato popolato e che, a un certo punto, sia diventato sub-feudo di Mottola.
Io propendo per un’altra ipotesi. La presenza di accessi rivolti solo al nord e il cattivo stato di conservazione dei fabbricati, ancora riscontrabile in pieno 1500, potrebbero indicare soltanto il permanere di alcuni fabbricati risalenti ad epoche precedenti ma ormai disabitati. In altre parole, sono convinto che l’economia agricola e pastorizia del paese fosse stata costretta a trasferirsi a monte dell’abitato, tra la vecchia Palagiano e Mottola, per via del sopraggiunto impaludamento di quelle che erano state le zone più ricche poste tra il paese e il mare, ma che si siano conservati a lungo – per tutta la durata dell’impaludamento – i contatti con l’abitato natio. Forse solo durante i periodi coincidenti con la necessità di concentrare in prossimità dei campi coltivati e dei terreni riservati a pascolo un numero consistente di braccianti e di pastori. La mia ipotesi, insomma, considera che l’antico abitato sia stata utilizzato come ricovero occasionale di persone e armenti, oltre che come deposito di messi e di altre produzioni agricole derivanti dalla coltivazione di terreni posti nelle immediate vicinanze.
A confortare tale mio convincimento intervengono le modifiche fatte subire all’asse viario che portava da Taranto verso la Basilicata e oltre. Trovo insensato, infatti, che nel medioevo si sia scelto deliberatamente di far correre la Via Appia lungo la gravina di Petruscio riducendola, per di più, ad una mulattiera, quando appena poco più a valle si apriva una comoda pianura che, come testimoniato dall’esistenza di Parete Pinto, già i romani avevano preferito come sede della più importante arteria viaria.
La scelta di deviare il percorso della Via Appia, allora, deve essere stata sicuramente condizionata da alcuni fattori: l’insalubrità dovuta all’impaludamento della vecchia sede viaria e la “riconquista” forzata degli antichi insediamenti demici che insistevano a sud di Mottola. La soluzione di continuità che ci fa dire che l’abitato di Palagiano sia stato per lungo tempo disabitato e in stato di abbandono, infatti, potrebbe combaciare con l’altra soluzione di continuità fin qui troppo trascurata: quella relativa al rifiorire della presenza umana in zone poste a poca distanza da Palagiano e che erano state abbandonate per un lunghissimo periodo.
Non saprei dire se effettivamente i territori della vecchia Palagiano siano finiti infeudati a Mottola, certo è che una popolazione che aveva conosciuto i “vantaggi” derivanti dall’esistenza di un autorità centrale, mai avrebbe potuto permettersi di rivoluzionare il proprio assetto socio-amministrativo; neppure nel caso, verificatosi, di una propria dispersione in zone fino ad allora abbandonate.
Si spiega così, a mio parere, l’effetto di “centri di attrazione” esercitato dai due abitati posti a più vicina distanza: quello di Palagianello e quello di Mottola. L’attrazione esercitata da Palagianello sarà stata così forte da consentire la recisione di ogni residuo legame con l’antico borgo di provenienza; questo per due motivi: i palagianesi, giungendo in quella che sarebbe divenuta Palagianello, vi avranno trovato una popolazione numericamente inferiore a quella che insisteva su Palagiano e, per ovvie ragioni dovute alla distanza e alla differente morfologia del suolo, un territorio che non permetteva quella continuità colturale che le terre poste appena a nord di Palagiano potrebbero avere invece consentito. Questi due elementi, fatti agire insieme, potrebbero aver provocato quella differenziazione culturale che avrebbe poi portato le popolazioni originarie di Palagiano e trasferitesi a Palagianello, ad “emanciparsi” dalle tradizioni e dalla storia del paese natio.
In maniera del tutto differente, invece, potrebbero essere andate le cose per i nativi che si sarebbero dispersi nell’arco che si estende a sud di Mottola. Questi potrebbero aver conservato il legame con il loro passato per via dello sfruttamento, colturalmente simile a quello sempre praticato, che i terreni a nord di Palagiano consentivano. Di qui, quel senso di autonomia relativo che avrebbero potuto conservare nei confronti di Mottola per tutta la durata della loro cattività e che, successivamente, quando l’impaludamento è regredito, ha consentito loro di riguadagnare i terreni e l’abitato che erano andati persi per un periodo più o meno lungo.
Spiegata così, la storia di quel periodo, rende meno fantastica l’ipotesi di una popolazione che, dopo qualche centinaio d’anni di forzata diaspora, ritorna ai luoghi natii conservando intatto il proprio patrimonio storico e le proprie tradizioni.
Mimmo Forleo