Don Turturro a Palagiano: una lezione di fede, di coraggio, d’amore
9 Settembre 2010Alcuni anni fa ascoltai Carmelo Bene, uno degli artisti più grandi che il teatro abbia mai avuto, in una delle sue partecipazioni al Maurizio Costanzo Show, partecipazione così intensa da essere oggetto anche di una tesi di laurea. Molte le domande che gli vennero rivolte, quasi a tutte rispondeva con delle associazioni di idee che, il più delle volte, spiazzavano i suoi interlocutori. Sembrava che sfuggisse la domanda, perché rispondeva con emozioni e ricordi personali, e c’era una logica in tutto questo: offrire concetti non già preconfezionati, ma momenti di riflessione e di sana provocazione. Inutile cercare nelle sue parole la risposta diretta, ma tutti i suoi interventi erano legati fra loro da un filo conduttore che, una volta intuito, faceva comprendere il tutta la sua forza il suo messaggio. Emozione che ho riprovato ascoltando poche sere fa, nell’Auditorium comunale, Don Paolo Turturro, del quale molto si è parlato per le sue vicende personali, e della sua lotta contro la mafia.
Bene e Turturro: due dialettiche simili, con un fine diverso: stimolare la cultura per il primo, stimolare le coscienze per il secondo. Incipit della serata, dove veniva presentato “L’apocalisse del cuore”, raccolta di poesie di Don Paolo, un messaggio letto da Katia Tinella: “Se un prete parla di pace e amore dal suo altare, non fa notizia; se, invece, chiama a bruciare le armi giocattolo in piazza, fa scandalo! Se si occupa delle vecchiette della parrocchia, tutto normale; se invita i bambini a consegnare le bustine di droga di cui sono corrieri, rischia! Se si limita a ‘tre pater e un gloria’, ben per lui; se attacca senza remore politici corrotti e mafiosi locali facendone nomi e cognomi, allora no! E allora, qualche sparo di avvertimento, una bomba sotto la macchina, la scorta…”.
Subito dopo, il Sindaco di Palagiano Rocco Ressa ha scavato nei suoi ricordi personali, parlando della prima volta che incontrò Don Paolo, al campo di lavoro Pax Christi alla Boara. “Verso la metà degli anni ’90, ha proseguito, io claustrofobico prendo un volo per Palermo per andarlo a trovare. Durante la messa mi passò il microfono per fare io la predica, in una chiesa simbolo della lotta contro la mafia. Don Paolo e chi stava con lui ha rischiato la propria vita, perchè invita a reagire, invita i ragazzi a consegnare armi e droga, ecco perché dà fastidio, e questa gente o la si ammazza fisicamente o nell’anima: con Don Paolo lo hanno tentato nell’animo”. Parole di benvenuto da parte di Maria Grazia Mellone, consigliere delegata alla Cultura, che ci tiene a ricordare come “la rivoluzione culturale che nasce dalla rivoluzione dell’amore, è il volano che ci può portare in alto. Grazie per la tua presenza in mezzo a noi, una presenza che parla da sè e ci aiuta a scrivere una straordinaria pagina di cultura e di amore, e Don Paolo è intelligenza, passione, amore e coraggio. Quello di stasera possa segnare nel cammino di educazione alla legalità una tappa molto forte”. Impresa ardua per il cronista prendere appunti durante il messaggio del 59enne sacerdote di Giovinazzo, parroco della Chiesa Santa Lucia a Borgo Vecchio, e cappellano del carcere Ucciardone. I suoi concetti sembrano all’improvviso spezzarsi, procedere per altre vie, per riannodarsi poco più avanti. “Feci affiggere, ha detto tra l’altro, un manifesto con due frecce: una verde, con la scritta ‘meglio qui’, indicante la Chiesa, ed una freccia nera, ‘che lì’, indicante il carcere. Scandalo! mi arrivò una lettera di cento detenuti, che mi pregavano di togliere quel manifesto”. Parla della sua amicizia con Alda Merini (“mi manca molto Alda”) e del Cardinale Pappalardo. “Oggi non sparano perché siamo morti, continua, perché hanno ucciso la Chiesa, il Vangelo, hanno distrutto e accecato gli occhi per non vedere la verità. Io non ho perso la memoria, chi ha coscienza fa male a chi non ha coscienza, è questa la nostra sconfitta, è questa la nostra vittoria. Se tu non credi alla coscienza, all’intelligenza, ai valori, alla tua carne di spirito, sei morto. Cristo si è vestito di sudario perché prima o dopo è risorto, ed anche noi oggi, vestiti di sudario, dobbiamo risorgere. Non regalate questo libro, dopo che lo avete letto datelo ad un altro cuore, e dopo che quel cuore l’ha letto, datelo ad un altro cuore, perché solo così, alla fine, si può leggere la frase di Alda Merini: ‘Di te non ricordo niente o crocifissione, di te non ricordo niente o sepolcro, sono soltanto un Uomo risorto’”.
Giuseppe Favale
Quando mi arrenderò
si annienterà il dubbio
che mi inquieta l’anima.
Anche per te pensare al creato
è un quotidiano perire.
Sono il poeta
che canto il tuo fallire.
(Tratta dal libro “L’apocalisse del cuore”)