MOTTOLA (TA). Il viaggio come fuga, possibilità di cambiamento o scoperta del nuovo. L’Arci e lo Sprar Siproimi di Palagiano incontrano gli studenti del liceo
28 Febbraio 2020Il viaggio come bisogno di libertà, voglia di cambiamento o come necessità per fuggire da qualcosa o da qualcuno, da forme di violenza anche familiari o da vessazioni sociali. Se n’è parlato a Mottola con i ragazzi del “Lentini – Einstein”, nella biblioteca della scuola, grazie a un incontro organizzato da SvegliArci Palagiano e Sprar Siproimi Koinè sempre di Palagiano, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.
Prima il saluto del dirigente scolastico Pietro Rotolo, che ha invitato a non farsi prendere “dal panico, dalla paura di viaggiare a causa del Coronavirus”.
Dalle parole di Angela Surico, coordinatrice Sprar Palagiano, è emerso come “quella di ricorrere al viaggio sia sempre stata un’esigenza dei popoli per scappare, per trovare nuove terre in cui insediarsi o semplicemente per cercare un cambiamento. Sicuramente, dietro ogni spostamento, c’è sempre il sogno di una vita migliore, tranne che si tratti di scappare dalle guerre: in questi casi si cerca solo di sopravvivere”.
Nel mondo, lo dicono i dati dell’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ci sono 70 milioni di persone costrette a mettersi in viaggio a causa di guerre, condizioni climatiche avverse o per scarsa disponibilità di acqua. Di questi, 40 milioni vivono come sfollati nel proprio paese, 27 milioni sono rifugiati fuggiti all’estero e tre milioni richiedenti asilo. Insomma, “una drammatica situazione – ha rimarcato la Surico – cui si aggiungono le vicende della Siria con sei milioni di sfollati e cinque milioni di persone fuggite all’estero. E poi, la fuga di 2 milioni e mezzo di afghani, dei somali e degli eritrei che lasciano il Corno d’Africa per conflitti e dittature sanguinarie.
Conteh Modou oggi mediatore culturale e Mubbashr Khuram beneficiario dello Sprar Siproimi Koinè Palagiano hanno raccontato la loro esperienza di fuga, il loro viaggio.
Modou, in Italia da sei anni, è andato via dal Gambia. Ha raccontato dalla difficoltà di dover bere, di dover sopravvivere al sole, cercando ombra sotto il camion rovente che li trasportava come merce. Poi, l’esperienza del carcere, il non essere compreso neanche nel suo malessere fisico, dovuto alle condizioni di viaggio e di sopravvivenza: stenti e cattive condizioni igieniche. Khuram, pakistano, scappato dalla propria famiglia, è laureato e nel suo paese insegnava informatica. In Italia è stato costretto a ricominciare. Il suo è stato soprattutto un viaggio di emozioni: l’unico modo per andare avanti è stato quello di affidarsi al “gruppo” che è diventato, poi, la sua famiglia.
Ma il viaggio, può essere anche una forma di scoperta di territori e diversi modi di vivere, così come lo sono tutti i viaggi raccolti in “Mesoamerica”, edito da Antonio Dellisanti, che l’autore Gaetano Appeso, ufficiale di Marina, nella stessa occasione ha voluto descrivere agli studenti. Il suo messaggio? “Ovunque si vada, il viaggio non è mai solo geografico, è anche interiore. Un’esperienza che costringe ad affrontare paure, difficoltà e incertezze, da cui se ne trae un prezioso insegnamento: viaggiare non solo è scoprire il mondo, è anche scoprire se stessi”.