Quando democrazia e Costituzione diventano optional
7 Gennaio 2011Posto quest’oggi la prima parte del promesso articolo sulla “vicenda Fiat”. Aspetto, quindi, le obiezioni sicure (?) di Giuseppe Scarano, coordinatore della CGIL palagianese, e di Tito Anzolin, segretario provinciale di RC; rivolgo una preghiera a Tito, quella di non copia-incollare articoli “di risposta” per affrontare la lettura dei quali sarebbero necessari una laurea in filosofia, una in sociologia e un corso accelerato in storia dell’operaismo.
Avverto i gentili lettori che entrerò “nel merito” della questione alla mia maniera; quindi, aspettatevi un articolo composto da più parti. La cosa si rende necessaria per via della grande quantità di incrostazioni mistificatorie che, grazie a sindacati e sinistra, si sono accumulate lungo il tortuoso cammino dei contratti di lavoro.
Le prossime due parti saranno dedicate, rispettivamente, agli accordi di Pomigliano e Mirafiori.
Se si vuol comprendere quanto sta succedendo è necessario rifarsi all’accordo interconfederale del 1993 (Governo Ciampi). In quell’accordo, a differenza di quanto previsto nello Statuto dei lavoratori, era consentito anche a chi non sottoscriveva i contratti di lavoro di poter presentare liste per le rappresentanze sindacali. Dunque, l’accordo risultava essere apparentemente più democratico rispetto allo Statuto.
Perché dico “apparentemente più democratico”? Perché lo Statuto, all’art. 19 non ancora modificato dal referendum che si sarebbe tenuto nel 1995, continuava a recitare in questo modo:
“Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito:
a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva.
Nell’ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento.”
Se facciamo caso ai punti a) e b), di fatto, le tre maggiori confederazioni sindacali escludevano dal diritto di rappresentanza tutti quei sindacati non considerati “maggiormente rappresentativi sul piano nazionale” e che rifiutavano di sottoscrivere contratti collettivi. Tale regola, ovviamente, non valeva per nessuna di loro. Purtuttavia, continuavano a parlare di “democrazia” e a dirsi “democratiche”.
Nel 1995, come ricordato, interveniva un referendum promosso dai radicali che sparigliava le carte in tavola. Grazie a quel referendum, venivano cassati dallo Statuto l’intero punto a) e parte del b); l’art. 19, così modificato, da quel momento recitava:
“Rappresentanze sindacali aziendali possano essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nella unità produttiva.
Nell’ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento.”
Quindi, grazie alle modifiche intervenute, si apriva uno spazio che consentiva a tutti i sindacati di poter rientrare nel gioco, anche a quelli meno rappresentativi. Questo, in ossequio all’art. 39 della Costituzione che recita:
“L’organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.”
Mi scuserete per la digressione, ma credo valga la pena spendere qualche parola su questo articolo costituzionale rimasto – grazie ai sindacati che si dicono “democratici e rispettosi della Costituzione” in ogni occasione che capita – lettera morta.
In barba alla Costituzione, infatti, i sindacati italici non hanno mai voluto assolvere all’obbligo della registrazione. Spalleggiati, in questa loro “scelta”, da quella stessa sinistra che non esita a coprirsi di ridicolo tutte le volte che le sembra bello ed edificante appellarsi alla Costituzione (l’episodio che ha visto Franceschini “giurare” su di Essa, allorquando divenne segretario del PD, mi pare esemplare).
Il motivo di tale “scelta” è presto detto. I sindacati sanno benissimo di non essere organizzazioni strutturate su base democratica e che non sarebbero mai in grado di superare il “test di ammissione” previsto costituzionalmente.
Conseguenza diretta di questo modo di agire è che i sindacati non rappresentano l’universalità dei lavoratori ma, a voler essere di manica larga, solo i loro iscritti. Nonostante ciò, i sindacati hanno sempre ritenuto vincolanti erga omnes (cioè per tutti) i contratti che via via stipulavano. Alla faccia della democrazia!
Concludo qui questa prima parte consapevole di aver raggiunto un primo scopo: i vari Bertinotti, Cofferati, Ferrara, Gallino… adesso sanno cosa farsene della loro “civile indignazione”.
Mimmo Forleo