Perché gli errori della politica deve pagarli il contribuente?

17 Novembre 2011 0 Di Life

Ovvero, quello che Vendola, Bersani e Di Pietro non proveranno mai a spiegarvi.

Utilizzo questo articolo di Ugo Arrigo (di cui raccomando fortemente la lettura) per evidenziare due cose: la prima, più che nel pieno di una crisi economica, in Italia, siamo ai saldi delle minchiate (come quelle che provano a venderci i convinti assertori della patrimoniale); la seconda, oltre che stupidi, i predetti soggetti sono anche pericolosamente truffaldini, tanto da rendere praticamente indistinguibile la differenza che dovrebbe esistere tra loro e Tremonti. Per non dire di Berlusconi.

Non ho citato a caso i nomi dei leader delle tre forze politiche che, più di altre, si stanno spendendo per la patrimoniale, o per partito preso. È sì vero che ai loro nomi andrebbero aggiunti quelli dei sindacati (comprendendovi anche Confindustria) e di “autorevoli” esponenti della cd. classe dirigente italica, ma è altresì vero che loro risultano essere i responsabili principali del presente disastro, che è tutto politico e che, quindi, ai politici bisognerebbe far pagare. In che modo? Stiamo appunto per vederlo.

Patrimoniale. Sarebbe sufficiente citare il precedente citato nell’articolo di Ugo Arrigo per comprendere quanto sia ad altissimo rischio anche il solo invocarla. Inoltre, per avere l’esatta contezza della stupidità dei nostri politici, è sufficiente pensare al fatto che abbiano sponsorizzato più o meno tutti la presenza di Amato all’interno del nuovo governo. Amato, colui che inventò la patrimoniale del 1992, con gli esiti sciagurati che sappiamo, o dovremmo conoscere.

Era il 1992 e l’Italia della Lira versava nelle stesse condizioni, all’incirca, in cui versa l’Italia dell’Euro. Le differenze erano date dal fatto di poter contare sulla sovranità monetaria e dal venire da un periodo, quello durato per quasi tutti gli anni ’80, di crescita. Sottacendo sul fatto che quella “crescita” fosse stata poco più che apparente; infatti, era stata quasi per intero assorbita dall’alto indice inflattivo, che durava dagli anni ’70.

Il rischio corso per tutto il primo semestre del 1992 era stato quello dell’espulsione della Lira dallo Sme (Sistema monetario europeo), qualcosa di prodromico all’Euro, stanti i ripetuti attacchi speculativi nei confronti della nostra moneta e del nostro debito pubblico, il cui spread nei confronti di quello tedesco aveva superato di poco la soglia dei 500 punti nel mese di luglio.

Proprio a luglio si ebbero le alzate d’ingegno di Amato: il prelievo straordinario del 6 per mille sui depositi bancari e l’imposta straordinaria sugli immobili (ISI, poi diventata ICI) al 4 per mille. Le due misure, aventi entrambe carattere patrimoniale, sortirono come unico effetto quello di consentire il rastrellamento di 30.000 miliardi di lire – poiché nulla poterono contro gli attacchi speculativi, che continuarono portando lo spread a quasi 600 punti e facendolo schizzare, nei mesi successivi, alla ragguardevole soglia di 800 punti! – e preparare una manovra autunnale, “lacrime e sangue”, di 93.000 miliardi.

L’inutilità della patrimoniale, dunque, è testimoniata da questo precedente storico; ma a questa constatazione possiamo tranquillamente aggiungere la sua scarsa, o nulla, praticabilità concreta, per via dei motivi ottimamente spiegati da Ugo Arrigo: Confidustria chiederebbe l’esclusione dei patrimoni delle persone giuridiche (le imprese); gli altri sindacati, l’esclusione dei patrimoni di alcune persone fisiche (le case dei lavoratori); alcuni patrimoni (quelli non registrati e quelli privati detenuti in forma societaria) ne sarebbero esclusi in via oggettiva. Cosa rimarrebbe da tassare? Ben poco e con aliquote particolarmente penalizzanti, laddove si volessero comunque raggiungere introiti consistenti.

Chi deve pagare? Ovviamente, chi è stato causa dei mali presenti: politici e politica.

Al fine di escludere ogni dubbio circa le loro colpe, è bene ricordare che oggi la cd. “crisi del debito” è solo in parte dovuta alle dimensioni del debito stesso. In Italia le dimensioni del debito, in rapporto al PIL, si mantengono pressoché costanti da due decenni, ma solo adesso hanno assunto le sembianze di un macigno in grado di portarci a fondo e non farci risalire. Perché?

I motivi sono essenzialmente due, se si vuole restringere il campo della discussione al solo argomento del debito. I mercati hanno ormai chiara la percezione che la spesa pubblica italiana segue dinamiche sue proprie (o, meglio, cresce costantemente perché così vogliono politici incoscienti); inoltre, percepiscono pure che l’unico “freno” che dovrebbe tenerla sotto controllo, la sostenibilità dell’imposizione fiscale, si è rotto da tempo senza che nessuno se ne desse pensiero. Anche sotto i governi “neo-liberisti” di Berlusconi, che pure aveva promesso tagli alla pressione fiscale, sono cresciute tanto le tasse quanto la spesa.

Le due percezioni di cui sopra, messe insieme, si traducono in un unico dato: il contribuente italiano, per opera del famelico potere politico, sta per subire una trasformazione: non sarà più considerato pecora da cui prendere il latte e la lana, ma agnello da sgozzare e sacrificare sull’altare dell’ingordigia.

Quando questa operazione si sarà perfezionata, cadrà malamente anche l’ultima pietosa bugia inventata da Tremonti e prontamente avvalorata dai suoi degni epigoni “di sinistra”: quella che dipinge un paese indebitato pubblicamente ma ricco nel privato. Le pecore stanno per lasciare i loro ovili e saranno presto condotte ai mattatoi. Questo i mercati l’hanno capito da tempo, ma la politica non vuole e non può rinunciare a parlarci d’altro: dell’ingordigia dei mercati, piuttosto che della sua.

Come deve pagare la politica? Esiste un solo modo per fargliela pagare: ridurre al minimo il suo potere d’intervento e lasciar fare alla società (quella vera, fatta di persone in carne e ossa, e non quella che spunta fuori dai manuali di sociologia).

Non amo particolarmente Nozick e la sua teoria dello Stato minimo, gli preferisco di gran lunga Rothbard con la sua richiesta di abolire del tutto lo Stato, ma allo stato attuale mi rendo conto che sarebbe chiedere troppo. Troppe persone sono ancora convinte che lo Stato serva realmente a qualcosa, ma, quelle stesse persone, messe in condizione di constatare praticamente, attraverso una reale riduzione dei suoi poteri, quanto lo Stato sia inutile e addirittura dannoso, probabilmente comincerebbero a ricredersi.

Mimmo Forleo