LE BELLE BANDIERE
2 Ottobre 200827 settembre, parco Brin: i nostri qui e ora*
L’applauso più lungo e partecipato, con le mani battute a ritmo come in un corteo, come ad accompagnare uno slogan, arriva quando Nichi Vendola esclama, alzando improvvisamente la voce: “Basta con gli annunci. Basta col dire che abbiamo deciso che decideremo. Noi dobbiamo aprire qui e ora i cantieri della nuova sinistra. Dobbiamo iniziare qui e ora il percorso costituente”. Qui e ora…
Qui. A Roma, Parco Brin, Garbatella, quartiere un tempo periferico, oggi di gran moda in virtù delle sue magnifiche ex case popolari, e tuttavia in larga misura ancora abitato da quelli che ci sono andati a vivere quando, qualche decennio fa, dire Garbatella, nella capitale, significava intendere periferia estrema. Sotto un tendone che non ce la fa a coprire da qualche sporadico scroscio di pioggia le circa milleduecento persone arrivate per verificare se davvero stavolta c’è il caso che a sinistra nasca qualcosa di nuovo, riparta una speranza, si apra una possibilità di impegno reale, o se siamo, tanto per cambiare, all’ennesima sventagliata di parole.
Qui. Nella prima assemblea dell’area “Rifondazione per la Sinistra”, nata la sera stessa della sconfitta della mozione Vendola al congresso del Prc di Chianciano ma con l’ambizione di andare oltre i suoi confini, di non restare una corrente di partito, sia pur fortissima (il 47,3% di Rifondazione), ma di dar vita a un’area tanto interna quanto esterna a quel partito. Il nucleo fondante di un nuovo soggetto politico.
Ora. Il 27 settembre del 2008, anno di grazia che a sinistra nessuno dimenticherà mai. L’anno dell’uragano. L’anno di una catastrofe che ha spazzato via tutto quel che c’era e che pareva solidissimo. Una tempesta devastante i cui effetti hanno appena cominciato a dispiegarsi e che minaccia di cancellare anche le ultime tracce della sinistra italiana.
Di questa sconfitta, delle sue ragioni profonde, delle sue radici e del quadro desolato che ci ha consegnato, avevano già parlato in molti. Maria Luisa Boccia, nella sua ricchissima relazione introduttiva. Scipione Semeraro, soffermandosi sul fronte del lavoro, Massimo Serafini, piazzando sotto l’obiettivo l’ambiente. Ma ci torna più e più volte anche Vendola, perché nulla oggi è più pericoloso e scioccamente rassicurante, del fingere di aver già capito tutto di quel disastro, o del convincersi che non ci sia niente da capire. Colpa nostra. Non siamo stati abbastanza combattivi. Basta tornare in piazza, ricollocarci nei territori, urlare forte, manifestare qualche volta, rinominarci “partito sociale” e l’incubo svanirà, tutto tornerà come prima.
Non è così. Perché la sconfitta non è solo faccenda “di flussi elettorali”. Prima di quei flussi, a determinarli, c’è stata la capacità della destra di imporre “un sistema di sogni di incubi, sino a far condividere a quella che viene di solito definita ‘opinione pubblica’ i suoi di diseguaglianza e i suoi incubi securitari”. Non è così. Perché ancor prima di quell’offensiva, culturale ancor più che politica, della destra italiana, viene una trasformazione del processo produttivo che ha reciso gli antichi e costitutivi legami della sinistra storica con il lavoro.
Non son cose che si possano affrontare proclamandosi partito sociale e urlando forte per darsi coraggio, come bimbi persi nel buio. Occorre molto di più. Una capacità di mettere in moto contemporaneamente nuove analisi e nuove forme organizzative, entrambe capaci di liberarsi dai condizionamenti del passato, entrambe adeguate ai tempi con i quali la sinistra è chiamata e obbligata, pena la scomparsa, a confrontarsi.
“C’è una sinistra – dice Vendola – che vuole dissolversi usando il vocabolario delle compatibilità. C’è una sinistra che vuole seppellirsi usando il vocabolario della testimonianza. Sono due facce della stessa medaglia”.
Tra questi due estremi falsamente antagonisti c’è l’oceano in cui dovrà muoversi il nuovo soggetto della sinistra italiana ed europea, le pagine bianche da riempire inventando un nuovo vocabolario. Questo e non altro è il suo compito.
Ma le gente che ha passato il suo sabato alla Garbatella non attende solo analisi. Aspetta qualche indicazione concreta, qualche segnale sul che fare. Dentro Rifondazione, la parola scissione non la pronuncia nessuno ma la pensano tutti. Qualcuno auspicandola, qualcuno temendola, qualcuno, i più, oscillando incerti. “Invece di chiederci come ci collochiamo, se dentro o fuori Rifondazione – suggerisce Nichi Vendola – domandiamoci cosa facciamo, come intrecciamo i fili della sinistra”.
La sua indicazione è secca. Iniziare subito un tesseramento dell’area, aperto anche a chi non faccia parte del Prc. Non è una scissione. E’ un passo reale, però, e di quelli che non prevedono retromarce possibili. Gli applausi scrosciano di nuovo. Come quando Claudio Fava, qualche ora prima, aveva affermato che non si può ripetere in eterno che “abbiamo fatto il primo passo”. Siamo già oltre, e non ha senso chiedersi “se debba venire prima il contenuto o il contenitore. Il contenuto del nuovo soggetto siamo noi. Sono quindici di anni di lotte a sinistra della sinistra”. O come quando Alfonso Gianni, in mattinata, aveva ripreso l’intervista di Fabio Mussi a “Liberazione” per dire chiaro, per una volta senza giochi di parole, che serve un nuovo partito. Nulla di meno.
Fava ha tutte le ragioni. L’assemblea di ieri a Roma non è un primo passo. Non apre una fase. Al contrario, ne chiude una. E’ l’ultima scena di un prologo, l’ultima sede nella quale si potessero fare annunci, esprimere auspici. Il soggetto di cui parliamo da mesi, nelle prossime settimane, dovrà passare la prova del fuoco, che è sempre e solo quella dei fatti. Dovrà darsi una fisionomia, cioè dar vita a un coordinamento comune tra tutte le aree che compongono, iniziare il tesseramento annunciato da Vendola, moltiplicare le iniziative comuni, aprire, ovunque possibile, le case della sinistra, forse trovare una sede centrale che dia il senso, anche simbolicamente, della comparsa in campo di una soggettività nuova. E alla fine riuscire a imporre una presenza condizionante, egemonica, nelle manifestazioni del prossimo autunno, da quella dell’11 ottobre allo sciopero generale della scuola.
Se non ci riusciremo più che di belle bandiere si dovrà parlare, e non per la prima volta, di belle parole. E le parole, fossero pure le più belle, profonde, intelligenti e analiticamente ben attrezzate, stavolta proprio non possono bastare.
*dalla redazione di RifondazionePerLaSinistra
Quello che mi ha portato il 27 settembre ad incamminarmi per Roma verso “Le Belle Bandiere” in compagnia della segretaria del circolo di Palagiano del PRC Carmen Santamaria ed altri amici e compagni è stata la voglia e quel bisogno di una SINISTRA che abbraccia tutte le sue culture ed esperienze e lì erano tutte rappresentate. Gli interventi che durante l’assemblea si susseguivano facevano salire l’emozione di tutti ,di tutta la variegata platea fatta di gente di SINISTRA ,da associazioni e movimenti a partiti,di militanti e dirigenti, da rifondazione a sinistra democratica dalla cgil all’arci ,dai verdi al pdci……e da chi ha bisogno della SINISTRA. La conclusione dal nostro Presidente Nichi Vendola è stata molto chiara e forte,i cantieri della Costituente di Sinistra sono aperti e non si torna indietro. Dobbiamo trovare forme collettive che ci restituiscano la bussola e l’orizzonte, mettere insieme un popolo che si sente interamente rappresentato. La SINISTRA deve nascere dal LAVORO, perché i lavoratori sono diventati individui soli, perduti in un mercato che li stritola, incapaci di darsi un nome ,perché a fine del ‘900 il capitalismo ha sconfitto il lavoro riuscendo ad espellere il conflitto e a mantenerlo seppellito attraverso il lungo ciclo del neoliberismo ,di un’economia di corte, una crescita fondata sul debito e sull’emarginazione; ma ora è esplosa la crisi americana che fa vedere molto più vicina la fine dell’affabulazione liberista. Ma non si devono dimenticare gli insegnamenti di Gramsci, infatti bisogna stare attenti alla crisi del capitalismo, perché riesce ad essere forte anche in tutta la sua fase di crisi, facendola diventare il suo inizio, scaraventandola su di noi attraverso la società della paura; una fabbrica di paure ed egemonia, questa è la destra, un mondo senza socialità dove esiste solo l’individualità e l’incubo: dell’ immigrato, dell’essere precario, povero……,omosessuale. Parlare per categorie è una barbarie,dall’ immigrato al precario non sono colpevoli della loro condizione, non bisogna combattere le persone(così come fanno le destre creando una società di paure),ma i fenomeni; si deve sradicare questo metodo del capro espiatorio, ci dobbiamo ribellare a questo scempio di vite. E per farlo c’è bisogno di unitarietà e compattezza, c’è bisogno della SINISTRA ,che deve iniziare a parlare di meno e ad ascoltare di più ed agire realmente.
Stefano Tamburrano (Sinistra Democratica)