Cosa SiamoDiventati?

12 Ottobre 2012 2 Di Life

– DI FRANCESCO GRILLO-

Ho sempre pensato che – nonostante le semantiche alle quali sono abituato –l’area che uno studioso dovrebbe investigare per capire cosa sta diventando la società degli umani ed, in particolare,
quella che chiamiamo civiltà occidentale è quella dei rapporti personali. È per questo motivo che con Maria Rotolo stiamo scrivendo questo libro su “la famiglia del futuro”.

Ed è per questo che trovo straordinariamente capace di raccontare l’episodio di ieri: il bimbo arrestato dalla Polizia per essere condotto dal padre in ossequio ad una sentenza peraltro correttamente applicata e probabilmente persino giusta.
Violenza che si somma a violenza. Su un bambino che non può fare nulla per difendersi. Violazione di diritti umani, che diventano ancora più sacri quando di mezzo c’è un bimbo, alla quale si risponde con altre violazioni. Nel cuore di un Paese che tanto tempo fa ha conquistato libertà civili e che li sta progressivamente perdendo per inerzia. Mentre sto partendo per Londra. Con la sensazione di avere forse la testa nel futuro. Ma il resto del corpo intrappolato in una pozzanghera di fango, ignoranza, pigrizia.

Quello che sorprende di più non è la perdita dell’innocenza che abbiamo perso da tempo in un cinismo che sembra aver spazzato via qualsiasi entusiasmo;non è neanche la mancanza di tenerezza e di amore visto che siamo confusi dai suoi tanti surrogati tra i quali giriamo senza meta e senza senso; quello che mi spaventa è la perdita – che prima è stata progressiva e che adesso sta diventando definitiva – dell’idea stessa della vita come progetto. Fatto di pazienza, di capacità di ascoltarsi, di affidabilità, di incontro. Fatica. E, prima di ogni altra cosa, di condivisione. Condivisione. Persino tra due persone che non siano più legate da rapporto esclusivo. Ed invece in maniera tragica e comica sempre di più capita di sentire gli altri e noi stessi dire che non riusciamo a concepire progetti per mancanza di tempo: curioso davvero visto che come società stiamo sprecando quantità crescenti di tempo, appunto, e siamo incapaci di aggiungere a noi stessi qualsiasi valore. Persino gli indicatori del benessere sono stagnanti o in declino. Siamo sempre più poveri ed incapaci però di dedicare tempo vero alle cose più importanti – la conoscenza, gli affetti.

Ed invece decidiamo noi per gli altri perché siamo infastiditi dall’idea di doverci confrontare. Di metterci in discussione. E se la decisione unilaterale non ci va bene rispondiamo con violenza. Tutti. All’interno di rapporti di coppia. Tra genitori e figli. Tra livelli istituzionali per disegni di legge di modifica costituzionale. All’interno delle imprese e nei rapporti di forza tra quelli che ancora chiamiamo mercati e che sono invece scontro tra posizioni dominanti. E soprattutto dilaga la malattia finale che – più del cambiamento climatico o della crisi finanziaria o del terrorismo globale o dell’inverno nucleare – rischia di essere davvero la nostra fine: la logica del consumismo applicata ai rapporti personali. Che ci fa diventare sempre più soli. Disperatamente soli. A volte orgogliosi di essere soli. Magari stando dietro lo schermo di un computer. Inventandoci amici immaginari. Un mondo nel quale non dovremo prenderci l’incombenza di guardare il nostro prossimo negli occhi. Anche se è evidente che questa è l’anticamera del nichilismo. Anzi del nulla.

“Cosa è l’amore?” mi chiedevo con Chiara un po’ di tempo fa. La risposta non è cambiata: è condivisione, quella cosa senza la quale persino la felicità (come dice il protagonista di un grande film che si ritrova nella solitudine totale di un ambiente ghiacciato) è nulla.
Sono per il merito. Per la competizione. Come bussola fondamentale per allocare le risorse in maniera più efficiente e magari per lavorare tutti di meno e avere molto di più. Dovremmo però anche rigorosamente stare insieme. Per la democrazia e l’essere comunità. Per la difesa completa di chi è più piccolo. In maniera sostanziale e non ipocrita. Investendoci tempo, tenerezza, complicità. E soprattutto la nostra intelligenza. Se ancora c’è. Del resto l’intelligenza è la cosa che rende gli occhi delle persone dolci: come quelli di alcuni miei maestri.
E questa è una questione radicalmente politica. Eminentemente politica. Che dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni di chi voglia davvero essere leader.

A volte mi sembra di camminare in un mondo senza amore. Dunque senza entusiasmo. Senza gli spiriti animali di cui avremmo bisogno per progredire. Persino senza sensualità. Ormai senza tanta intelligenza anche se circondato dai prodotti più arditi che l’intelligenza ha prodotto e ciò crea la contraddizione più pericolosa. Senza vita, in definitiva. A volte la paura è che magari questa non umanità potrebbe aver contagiato anche te. E ti senti un po’ mancare le forze. E tuttavia dobbiamo continuare a combattere. Anche perché non abbiamo alternative. Pensando e scrivendo e parlando con gli altri, ad esempio.