Agame’, nun ce prova’
17 Gennaio 2009Scusandomi anticipatamente con i lettori di pal.net, mi trovo costretto a dare qui una risposta a un tal sedicente Agamennone.
Agamennone, ogni qualvolta perde il proprio Achille, vaga di qua e di là come un re senza corona e, in tanto girovagare, non disdegna il frequentare posti poco, o per nulla, raccomandabili.
Come Agamennone ben sa, non ho mai amato confodermi con la teppa e, probabilmente, per questo motivo ha ritenuto di dover far scivolare le proprie sottili insinuazioni negli ambienti che lui non trova affatto disdicevoli.
Ma veniamo al sodo.
Stando a quanto Agamennone racconta in giro (sul “giro” ci siamo già capiti), chi scrive, pur di non guardare in faccia la realtà palagianese (a parere suo e di lo ascolta, soltanto “orrida”), preferirebbe prendersela col “Santo Padre”.
Insomma, mi darei da fare, pur di nascondere qualche trave, nel cercare paglia o pagliuzze in casa altrui.
Per chi conosce la psicologia di Agamennone, questa insinuazione merita di essere aggettivata come “sottile”.
Fatta in questo modo, da una persona che, fosse lesta di mente quanto risulta esserlo con le mani non avrei problema alcuno nel definire geniale, devo effettivamente ammettere che la si può anche accettare.
Ma Agamennone è persona capace pure, in certi casi, di attingere dal sentimento triviale, magari non rendendosi neppure conto di quali tasti va così a toccare.
Dedicandosi così ad una operazione che, insieme alla compagnia che frequenta, ritiene di facile portata per sé, oltre che di facile presa su quanti si preoccupano di dargli retta, e non considerando invece quanto possa rivelarsi utile o dannosa a seconda dell’obbiettivo che si intende prendere di mira; Agamennone, come tutti coloro che ritengono a torto facile un bersaglio, finisce con lo spararsi sui piedi.
Senza saperlo, Agamennone ha toccato un tasto che chiamasi amicizia.
Ora, Agamennone ha una concezione dell’amicizia molto singolare.
Anzi, singolare. Nel senso che ignora la duplice attitudine che l’amicizia può rivestire.
Se ci rivolgiamo a considerare al passato un’amicizia, se ne possono ricavare due modi differenti di valutare l’operato della persona della quale ci si dice, o della quale ci si è detti, amico.
Uno consiste nel rinnegare quella amicizia allorquando si ritiene che dalla persona in questione non si possa ricavare più utile alcuno.
Un altro, pur ritenendo che neppure in futuro si possa sperare di ricavarne qualche utile, tiene conto comunque del valore che quell’amicizia conserva. Perché continua a trovare motivo di soddisfazione in quello che quel dirsi amici rappresenta. Al di là di ogni considerazione che abbia carattere puramente materiale.
Agame’, so che il discorso può apparirti difficile da comprendere; ché ricordo ancora bene quando ci stupisti per il complesso argomentare presente in un tuo commento, rivelatosi poi frutto di un copia-incolla, ma stavolta ti dico: provace Agame’.