AGENZIA DELLE ENTRATE, I TROPPI RILIEVI PRIVI DI FONDAMENTO E LA “POSTA APPETITOSA” DEL PREMIO DI PRODUTTIVITÀ. OSSERVAZIONI E PROPOSTE
23 Maggio 2010di Cleto Iafrate
In occasione della prima “Giornata Celebrativa della Giustizia Tributaria” è emerso che ogni 10 rilievi eseguiti dal personale dell’Agenzia delle Entrate, almeno 4 sono privi di fondamento e si concludono con la soccombenza della Pubblica Amministrazione.
La percentuale sarebbe più alta se ricomprendesse pure i contenziosi che si sono estinti strada facendo (a seguito di condoni oppure per decorrenza dei termini).
Ed ancora più alta se tenesse conto anche di tutte quelle cartelle di pagamento in cui il ricorrente avrebbe avuto ragione sull’Amministrazione, se avesse ricorso, ma ha reputato antieconomico intraprendere la via tortuosa ed in salita del contenzioso, preferendo pagare la sanzione presumibilmente non dovuta (gli addetti ai lavori sanno, infatti, che se la cartella esattoriale non supera almeno 2.000,00 euro è sconveniente fare ricorso; ciò in quanto, anche in caso di vittoria, si uscirebbe dal contenzioso economicamente sconfitti).
Si è appreso, inoltre, che il numero dei ricorsi giacenti è in continua crescita: al 30 giugno 2009 erano ben 656 mila i contribuenti “in attesa di giudizio”.
La dilatazione dei tempi della giustizia tributaria, provocata dall’aumento delle giacenze, spiana la strada anche a fenomeni di elusione fiscale.
Tutti quegli evasori che, piuttosto di pagare subito il dovuto, intraprendono una lunga lite “temeraria”, beneficiano, in effetti, di una dilazione delle imposte (elusione), in attesa o della decorrenza dei termini oppure di un condono (negli ultimi anni non è stato mai negato a nessuno).
I giudici tributari ritengono che l’elevato numero di soccombenze e di giacenze siano causati dall’Amministrazione Finanziaria, in quanto i rilievi mossi non sempre sono sostenibili ed i contenziosi vengono curati distrattamente.
L’Amministrazione finanziaria, dal canto suo, si difende sostenendo che un giudice non togato, qual è quello tributario, non offre le necessarie garanzie di imparzialità perché esposto a rischi di conflitto di interesse.
La Magistratura Tributaria, però, non è la sola esposta a tali rischi.
Mi spiego meglio.
In caso di danno provocato da un dipendente pubblico è lo Stato a risarcire il cittadino danneggiato e solo successivamente lo Stato può rivalersi sul dipendente. La rivalsa non potrà mai essere esercitata nei casi di colpa lieve o comune, ma è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave.
Pertanto, un dipendente dell’Agenzia delle Entrate che effettua un rilievo “temerario” (cioè di dubbia fondatezza) ma lo fa con una negligenza minima (per esempio, lo esegue senza conformarsi al Massimario, oppure invertendo l’onere della prova a suo vantaggio) non incorre in alcuna responsabilità amministrativa, poiché la sua negligenza è considerata lieve.
Ciò in quanto si presume che il funzionario delle imposte, nello svolgere gli accertamenti, non tutela un interesse personale né pensa al suo profitto, ma persegue un interesse assolutamente pubblico.
Ma è veramente così? L’articolo 3, comma 165, della legge 350/2003, stabilisce che il 2% di tutte le somme riscosse a titolo definitivo a seguito dell’attività di accertamento tributario e della lotta all’evasione fiscale venga ripartito tra i dipendenti delle Agenzie Fiscali (paradossalmente, la Guardia di Finanza è stata sempre lasciata fuori dalla spartizione di questa torta, alla cui lievitazione ogni anno contribuisce con oltre un miliardo di euro).
Il cosiddetto “premio antievasione”, ovvero “premio produttività”, è un riconoscimento economico che si matura solamente se si raggiungono determinati obiettivi assegnati all’ufficio (in base al complesso sistema SIRIO con cui sono valutati i pubblici dipendenti). Tale premio arriva persino a sfiorare i 19 mila euro all’anno per i dirigenti di prima fascia, ed 11 mila euro per quelli di terza fascia (totalmente pensionabili).
E’ evidente che la posta in gioco è appetitosa per chi consegue i risultati prefissati! Esiste persino un sistema interno “di redistribuzioni di eccedenze di obiettivi raggiunti” che evita penalizzazioni per chi si trova in uffici meno redditizi per il fisco.
Orbene, non bisogna mai dimenticare che la democrazia sta in equilibrio grazie ad un delicato sistema di pesi e contrappesi. Pertanto, quando una norma pone determinati poteri nella tentazione di straripare in “orticelli privati”, bisogna prevederne sempre un’altra per arginarli; altrimenti il sistema risulterebbe sbilanciato e non sarebbe più democratico.
Il ragionamento che induce in tentazione è molto semplice. “Intanto accerto il maggior reddito, che è il presupposto per il raggiungimento degli obiettivi dell’ufficio (e quindi un futuro probabile “dividendo”); poi sarà il Giudice a decidere nel merito e lo Stato, eventualmente, a risarcire”.
LE CONTROVERSIE PENDENTI, NEL FRATTEMPO, CONTINUANO AD AUMENTARE E, CON ESSE, I CASI DI SOCCOMBENZA DELLO STATO!
Si è mai pensato di elargire il premio ad un dato ufficio, al netto delle spese di soccombenza sostenute per gli atti prodotti da quell’ufficio? Oppure di prevedere anche per il pubblico dipendente delle ipotesi di responsabilità per “rilievo temerario” così come già avviene nei confronti dei contribuenti in caso di lite temeraria?
Tali piccole riforme, sicuramente, provocherebbero una riduzione dei casi di soccombenza dello Stato.
Qualsiasi ipotesi di riforma della giustizia tributaria non può prescindere da un’adeguata riflessione sul seguente dilemma: “Si riceve un premio di produzione per aver raggiunto determinati obiettivi, oppure si raggiungono determinati obiettivi per ricevere un premio di produzione proporzionato?”.
CLETO IAFRATE
iafrate70@libero.it
sabato 15 maggio 2010 – www.ficiesse.it