ANCHE LE PIATTAFORME PETROLIFERE DEVONO PAGARE LE IMPOSTE COMUNALI – Il dibattito che ha preceduto la sentenza n. 70/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Chieti – di Cleto Iafrate
2 Agosto 2018- PREMESSA
Anche le piattaforme petrolifere devono pagare l’ICI e l’IMU, ma non anche le sanzioni applicate sulle imposte non versate. Lo ha stabilito la Commissione tributaria provinciale di Chieti, seconda sezione, con la sentenza n. 70 del 6 febbraio 2018[1]. Le sanzioni sono state eliminate, in ragione del fatto che in passato è stato a lungo dibattuto l’inquadramento e la classificazione catastale delle piattaforme.
Di seguito, alcuni dei momenti salienti del dibattito fra gli enti impositori e i soggetti possessori delle piattaforme, la cui conflittualità è stata via via alimentata da sempre nuovi argomenti.
- IL DIBATTITO SULLA TASSABILITA’ DELLE PIATTAFORME
La querelle inizia nel 1999, quando il comune di Pineto chiede ai rappresentanti legali dell’ENI il pagamento delle imposte comunali sulle piattaforme per l’estrazione di idrocarburi situate, entro le 12 miglia marine, nel tratto di mare antistante il Comune stesso.
Ma la commissione tributaria provinciale di Teramo prima (2001) e quella della Regione Abruzzo poi (2003) danno ragione all’ENI. Avverso tale sentenza il Comune di Pineto presenta appello ribadendo la sussistenza del proprio potere impositivo e la correttezza del suo operato. La Corte di Cassazione (sent. n. 13794/2005) cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo.
Nel frattempo altri comuni seguono l’esempio di Pineto ed emettono avvisi di accertamento nei confronti dei rappresentanti legali delle piattaforme che insistono sulle acque territoriali prospicenti il territorio comunale.
Nel 2009, però, arriva un’altra doccia fredda: la Commissione tributaria dell’Abruzzo dà nuovamente ragione all’ENI, ritenendo gli impianti «non accatastabili» perché mancano i riferimenti geografici per individuare le unità immobiliari.
In sintesi, le piattaforme sarebbero sì soggette al versamento delle imposte comunali, al pari di ogni altro immobile industriale produttivo di reddito; ma la loro ubicazione a mare ne impedirebbe l’accatastamento. Tale impedimento renderebbe le piattaforme “intassabili”.
Un bel rompicapo!
E’ a tutti evidente che l’assenza di accatastamento -dipendente da ragioni squisitamente tecniche (l’inesistenza di “carte catastali nautiche”) e non certo sostanziali- non può essere condizione legittimante la sottrazione alle imposte comunali di fabbricati industriali.
Nell’estate del 2015 si inserisce nel dibattito la Guardia di Finanza di Siracusa e pare trovare una soluzione al rebus. I finanzieri accedono nei locali della più grande piattaforma petrolifera presente nei mari italiani gestita congiuntamente da Edison ed Eni, la piattaforma Campo Vega[2], e contestano al rappresentante legale il mancato pagamento dell’ICI (prima) e dell’IMU.
Il rilievo si basa sul presupposto che le piattaforme rientrino nel gruppo catastale di classe D (fabbricati costruiti o adattati per speciali esigenze di un’attività industriale) e che la mancanza di rendita catastale non costituisce in assoluto un problema, in quanto la base imponibile –cioè, il valore catastale delle piattaforme- è rinvenibile anche dai dati di bilancio. Tale ragionamento consente la quantificazione e contestazione dei tributi locali dovuti dai petrolieri. Il verbale ammonta a circa 30 milioni di euro[3], compresi arretrati e sanzioni. Si crea e si rafforza, così, un precedente per tutti gli altri impianti estrattivi (un centinaio) presenti entro le 12 miglia marine dalle coste italiane. In ballo c’è un tesoretto dal valore di circa due miliardi di euro, compresi arretrati, sanzioni e interessi. Un bella boccata d’ossigeno per tutti i comuni interessati, di cui potrebbero avvantaggiarsene i residenti, in termini di riduzione delle aliquote.
Dall’Eni fanno subito sapere: «in passato la giurisprudenza ci ha sempre dato ragione»; e dall’Edison precisano: «ci risulta che si tratti soltanto di accertamenti e sappiamo d’altronde che la materia si presta a contenziosi[4]».
I giganti del petrolio, infatti, non si danno per vinti e cercano in tutti i modi di sottrarsi al pagamento delle imposte comunali; lo fanno muovendosi su più fronti e con diverse argomentazioni.
Ad alimentare e rendere più fecondo il dibattito sull’imponibilità delle piattaforme interviene anche un atto di sindacato ispettivo indirizzato ai Ministri dell’economia e delle finanze e dello sviluppo economico[5].
Gli interroganti, relativamente al verbale di constatazione redatto dai finanzieri siciliani, ritengono indubitabile che le opere in questione concretizzino un “insediamento produttivo” di tipo industriale; essendo le stesse costituite da costruzioni di rilevanti dimensioni (sino a 5 piani di altezza sul livello del mare) e composte tra l’altro da “locali di servizio e di alloggio”. Aggiungono gli istanti che la mancata imposizione sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza e creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altri casi aventi identiche caratteristiche.
Gli interroganti portano come esempio la piattaforma che assunse la denominazione di “Isola delle rose”, realizzata (e poi demolita con l’uso di esplosivi) a circa 11,5 chilometri dalla costa in prossimità di Rimini, che venne adibita a ristorante con un annesso ufficio postale, con richiesta di impianto di un negozio di souvenir, di un piccolo albergo, di un bar, di un night club, di una stazione radio e persino di un casinò.
Con la Legge di stabilità 2016, poi, “si riesce” addirittura a far introdurre nuovi criteri per l’individuazione della rendita catastale dei fabbricati iscrivibili nei gruppi catastali D ed E, escludendo “dalla stima ai fini del calcolo del valore, i macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo[6]”. Da qui l’ENI tenta di sostenere che le piattaforme petrolifere rientrino nella nozione legislativa di “macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo”, di cui all’art. 1, comma 21 della Legge n. 208 del 2015. Cioè, prova a far passare la tesi secondo cui le piattaforme sono da considerarsi “complessi unitari e inscindibili univocamente caratterizzanti il ciclo produttivo riconnesso all’attività estrattiva degli idrocarburi”.
Un tale riconoscimento avrebbe comportato, come conseguenza, l’esclusione dalla stima catastale delle piattaforme stesse.
Sarebbe come sostenere che i macchinari sono un tutt’uno con i fabbricati industriali e dal momento che l’IMU non si paga sui macchinari, allora anche i fabbricati sarebbero esentati dal pagamento. Il che è evidentemente assurdo.
Nel dibattito in esame si inseriscono a questo punto ben due pronunciamenti della Corte di Cassazione, giunti a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro: la sentenza nr. 3618 del 24 febbraio 2016 e la nr. 19510 del 30 settembre 2016. Entrambi stabiliscono univocamente che le piattaforme petrolifere, essendo fabbricati destinati allo svolgimento di attività industriale, sono soggette al pagamento delle imposte comunali al pari di ogni altro edificio industriale.
Emessa la prima sentenza, pareva che la questione fosse definitivamente conclusa, se non fosse per il fatto che subito dopo –nell’arco temporale che intercorre tra le due sentenze- “si registra l’intervento di segno contrario del Ministero dell’Economia e Finanze operato con la risoluzione del 1° giugno 2016, n. 3/DF[7], che si impernia sulla valutazione di sussistenza del presupposto impositivo con il rigore e l’esclusività delle definizioni recate dall’art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992[8]”.
Il ministero stabilisce: “Facendo la norma riferimento esplicito al catasto edilizio urbano, si deve concludere che per applicare i criteri di calcolo del valore contabile di cui all’art. 5, comma 3, del D. Lgs. n. 504 del 1992 occorre uno specifico intervento normativo atto a consentire non solo il censimento delle costruzioni (dotate di autonomia funzionale e reddituale) site nel mare territoriale, anche con riferimento alla relativa delimitazione, georeferenziazione e riferibilità ad uno specifico Comune censuario ma anche l’ampliamento del presupposto impositivo dell’IMU e della TASI.”
In buona sostanza, l’organo di alta direzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze sembra ribadire che la non accatastabilità delle piattaforme le renderebbe intassabili.
Dopo qualche mese, come detto, interviene nuovamente la Cassazione per dire il contrario (sent. n. 19510 del 30 settembre 2016).
All’interno di un tale quadro di riferimento, le Commissioni tributarie non sono sempre state univoche nelle loro posizioni. E come avrebbero potuto!
3.CONCLUSIONI
Nel panorama appena descritto, va salutata certamente con favore la recente decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Chieti, in quanto rafforza la tesi che le piattaforme petrolifere, essendo fabbricati destinati allo svolgimento di attività industriale, devono pagare i tributi comunali al pari di ogni altro immobile industriale produttivo di reddito che insiste sul territorio comunale. I giudici tributari, a tal proposito, scrivono: «deve ritenersi esistente anche una potestà degli enti locali nell’ambito del mare territoriale, fino ad una distanza di 12 miglia marine».
Si spera che la questione possa ora considerarsi definitivamente risolta. Ad ogni modo, onde evitare che in futuro ulteriori mosse dei petrolieri possano creare altre incertezze e disorientamenti, sarebbe auspicabile un chiaro intervento normativo che confermi la soggezione alle imposte comunali delle piattaforme petrolifere, o più in generale dei cespiti che, sebbene non presenti in catasto fabbricati, possiedano requisiti sostanziali di accatastabilità.
Cleto Iafrate
Per leggere gli altri contributi dello stesso autore, clicca QUI.
[1] Fonte: “Piattaforme soggette a IMU”, di Sergio Trovato – ITALIA OGGI, ediz. del 9/03/2018, p. 35.
[2] Fonte: http://espresso.repubblica.it/affari/2015/11/04/news/le-piattaforme-petrolifere-devono-versare-l-imu-1.237332
[3] Fonte: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/08/06/finanza-allattacco-le-piattaforme-petrolifere-devono-pagare-ici-e-imu26.html
[4] Ibidem.
[5] Atto n. 3-02132 (con carattere d’urgenza), pubblicato il 3 agosto 2015, nella seduta n. 496.
Per leggere il documento clicca sul seguente link: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=17&id=937807
[6] Tali criteri sono illustrati nella circolare n. 2/E del 1° febbraio 2016 dell’Agenzia delle entrate.
[7] http://www.finanze.it/export/sites/finanze/it/.content/Documenti/Varie/1-06-16-Assomineraria-Piattaforme-petrolifere-Imbullonati-vers-non-accatastabilita-Definitiva-SITO.pdf
[8] FONTE: Azienditalia, Fin. e Trib., 2017, 1, 48 – PER LE PIATTAFORME PETROLIFERE SI CONFERMA LA TASSAZIONE di Nadia Bertolini, Responsabile Ufficio Associato Contenzioso Tributario e Consulenza fiscale del Comune di Reggio Emilia.