Buon Natale e lasciate in pace Scrooge, una volta tanto
25 Dicembre 2012Apologia di Scrooge
Michael Levin
Siamo di nuovo a Natale, il tempo in cui si celebra la trasformazione di Ebenezer Scrooge. Conoscete il rituale: fischiare il bisbetico, inizialmente descritto nel Canto di Natale da Charles Dickens, per poi acclamare il tenerone in cui si è trasformato alla fine. Non è affatto giusto che nessuno abbia notato il punto a favore delle ragioni del bisbetico — anzi, per onestà, i diversi punti a favore.
Per apprezzarli, è necessario, inizialmente, distinguere la visione che Scrooge ha della vita dal suo sgradevole personaggio. Dickens, infatti, lo descrive con un naso adunco ed una voce aspra, ma non tutti gli uomini d’affari sono dotati di così lamentevoli caratteristiche, così come non tutti hanno nipoti inetti (vi ricordate di Fred?) sempre “belli e maledetti”, forniti di mogli bellissime. Questi tocchi d’artista servono solo ad influenzare il giudizio.
Dunque, osserviamo senza pregiudizi l’impiegato di Scrooge, presumibilmente sottopagato, Bob Cratchit: se le abilità da questi impiegate valessero più dei 15 scellini che Scrooge gli paga settimanalmente, ci sarebbe stato qualcuno felice di offrirglieli. Considerato, però, che nessuno si è mosso in tal senso – e che il capo di Cratchit, così attento alla massimizzazione del profitto, appaia un uomo che difficilmente paga per niente – si desume che il lavoro svolto da Bob debba valere esattamente la sua paga attuale.
Non si dubita che Cratchit necessiti —ovvero, voglia — un maggiore reddito per provvedere alla sua famiglia e prendersi cura del Piccolo Tim. Tuttavia, Scrooge non lo forza a divenire un padre che si trova in difficoltà nell’allevare la prole. Se Cratchit ha avuto dei figli, pur sospettando di non poterli sostentare al meglio, è necessario che si assuma la totale responsabilità della loro condizione, senza imputare a Scrooge colpe che questi non ha. Inoltre, se non avesse calcolato quanto costoso sarebbe stato mantenerli, perché mai Scrooge si dovrebbe addossare l’onere del suo errore di valutazione?
Così come il pezzo di carbone che Scrooge gli concede non fa altro che rimarcare il fatto che nessuno lo ha incatenato alla sua fredda scrivania. Se rimane lì, dimostra col proprio comportamento che preferisce il suo attuale pacchetto paga-più-comfort ad ogni altro che possa trovare o che suppone di poter raggiungere con le proprie capacità. Le azioni parlano più forte dei borbottii ed il lettore potrà difficilmente lamentarsi per quello che Cratchit, evidentemente, trova soddisfacente.
Ancora più note delle sue misere azioni sono le ciniche parole di Scrooge: “Non ci sono più prigioni?”, schernisce quando viene sollecitato a fare la carità: “O case di mendicità sindacali?”.
Terribile, non è vero? Si tratta di mancanza di compassione?
Non necessariamente. Come osserva il nostro Ebenezer, questi supporta tali istituzioni tramite le sue tasse. Essendo già costretto ad aiutare coloro che non possono, o non vogliono, aiutarsi da soli, non è irragionevole per lui essere riluttante all’idea di versare volontariamente altri fondi per una loro comodità in più.
Scrooge è scettico sulle preferenze individuali per una morte in ospizio e rimane inamovibile nel descrivere la tristezza delle case di mendicità; e fa bene a mantenere tale posizione, dato che le provvigioni per i più poveri devono essere… “dickensiane”. Più piacevole sarà l’alternativa di un impiego redditizio, più grande sarà il numero di persone che la seguiranno e minore sarà il numero di impiegati produttivamente. Se la società desidera che tutti lavorino, il lavoro deve risultare molto più attraente dell’ozio.
L’uomo d’affari, abitualmente taciturno, si lascia leggermente andare quando Bob accenna al desiderio di avere il giorno di Natale pagato. “Questo non è corretto”, obietta Scrooge, un costo non calcolato dalla palesemente irrilevante protesta di Cratchit sul Natale – che viene soltanto una volta l’anno. E ingiusto rimane, poiché, inversamente, l’impiegato protesterebbe di certo alla richiesta di un giorno di lavoro non retribuito; “e poi”, come osserva astutamente Scrooge, “non voglio che tu pensi che io sia diventato pazzo nel pagare il salario senza ricevere prestazioni di lavoro in cambio”.
Sembra che Bob abbia, apparentemente, dimenticato la regola aurea (a meno che non si creda che il tirannico Ebenezer possegga così tanto in più, rispetto a Cratchit, al punto da doverla disattendere; questi, dal canto suo – e giustamente, non la pensa affatto così; altresì, non dovrebbe avere anche lui voce in capitolo?).
Il primo datore di lavoro di Scrooge, il buon vecchio Fezziwig, era molto più “libertino”, dato che era uso regalare ai suoi impiegati, durante la festa di Natale, una ghinea per ciascuno. Ciò che lo Spirito del Natale che Fu non spiega, però, è come Fezziwig potesse permetterselo. Riusciva a caricare il costo aggiuntivo sul consumatore finale? Oppure quella ghinea veniva ugualmente pagata dal giovane Ebenezer, che lavorava per un minore ricavo marginale?
La più grande tra le Grandi Bugie su Scrooge coincide con l’inutilità del suo inseguire il profitto. “A lui la ricchezza non serve. Non ci fa niente di buono”, opina il rubicondo nipote Fred.
Sbagliato su entrambi i fronti. L’uomo d’affari, apparentemente, presta denaro, dunque per scoprire se e cosa fa di buono, basta semplicemente chiedere ai suoi debitori. Qui abbiamo un proprietario di una casa con un tetto nuovo, là troviamo un mercante che potrà finanziare una spedizione di tè, ottenendo profitto per sé e felicità per coloro che berranno il tè; tutto grazie a Scrooge.
Dickens non menziona tali clienti soddisfatti, ma si presume siano stati in abbondanza, al punto da renderlo ricchissimo.
Si narra di quanto Scrooge sia instancabile nell’inseguire i propri debitori al punto che — come sarà in grado di mostrargli lo Spirito del Natale che Sarà — una coppia indebitata gioirà della sua morte. Il mero posticipo del tempo necessario a trasferire il loro debito avrebbe evitato la perdita che Ebenezer aveva imposto loro.
Questa è una fandonia bella e buona, per almeno tre motivi.
Primo: un uomo d’affari acuto come Scrooge, per proteggere il proprio investimento, avrebbe preferito consentire il ritardo del pagamento piuttosto che prendere possesso di una garanzia reale probabilmente inutile (nessuna banca vuole che i produttori falliscano per poi rimanere orgogliosamente proprietaria di un centro commerciale costruito per metà).
Secondo: la piagnucolosa coppia aveva appreso e accettato i termini del contratto sui quali l’uomo d’affari aveva insistito. Sottraendosi al patto, essi hanno effettivamente innestato il furto.
Terza considerazione (probabilmente la più importante): viene completamente ignorata, sia dallo Spirito sia da Dickens, la presenza di persone che avrebbero sperato di poter prendere in prestito da Scrooge proprio quel denaro restituito in virtù di quei vecchi affari. Questi si trova nell’impossibilità di prestare il denaro che Caroline ed il suo innominato marito non restituiranno, dunque non otterrà un penny a meno che non metta a frutto i soldi dopo averli riavuti.
Il caso più arduo, ovviamente, è un pagamento dovuto da Bob Cratchit, che necessita di quei soldi per un’operazione d’emergenza per il Piccolo Tim (qui esuliamo un po’ dalla storia, ma i personaggi di Dickens ci sono così familiari che possono persino essere immaginati in situazioni meno comuni). Se ritenete sia meschino che Scrooge domandi del debito al povero Bob, si pensi a Malaticcio Sid, il quale necessita di quella operazione più urgentemente di Tim e il cui padre sta aspettando di finanziare l’intervento prendendo in prestito i soldi che Cratchit è tenuto a ripagare.
La vita di Tim è più importante di quella di Sid solamente perché lo abbiamo conosciuto? E come dovremmo spiegare al padre di Sid che suo figlio non potrà operarsi, dopotutto, poiché Scrooge, per generosità natalizia, ha permesso al suo dipendente di rinegoziare il debito? Il nostro Ebenezer non fa circolare i propri soldi perché altruista, questo è certo; tuttavia i suoi motivi, qualunque siano, sono congruenti con il bene comune.
Ma parliamo, appunto, di questi motivi. Scrooge non sembra trarre molta soddisfazione dai servizi che, magari inavvertitamente, elargisce alla comunità; e questo riteniamo essere pertinente al ragionamento di Dickens. Eppure chi, a parte l’Autore, sostiene che Scrooge non apprezzi ciò che fa? Spende tutto il suo tempo dedicandosi agli affari – contando i propri soldi ad esempio – e non mostra interessi di altro tipo.
Allo stesso tempo, Ebenezer non appare affatto incupito, non mostrando, altresì, segni di depressione o di conflitto interiore. Che lo sperasse o meno, resta il fatto che Dickens ha reso il perfido uomo d’affari il personaggio decisamente più intelligente della sua storia, pur non avendo nessuna intenzione di creare qualcosa di “piacevole” in lui. Pertanto, possiamo concludere: coi suoi modi riservati, Scrooge rimane comunque produttivo ed estremamente soddisfatto di sé stesso: potremmo, addirittura, considerarlo… felice.
Non intendiamo contrastare la volontà di Dickens, tesa a dimostrare i vantaggi spirituali dell’Amore. Tuttavia, riteniamo pretestuoso porre al centro della sua lezione un imprenditore, le cui idee e azioni recano beneficio ai suoi impiegati, a gran parte della società e a sé stesso. Può un uomo del genere non aspettarsi di più che morire solo e disprezzato? A nostro avviso, queste sono solo immotivate speculazioni.
Articolo di Michael Levin su Mises.org
Traduzione di Filippo Martini
http://vonmises.it/2012/12/24/apologia-di-scrooge/