Carlo Giuliani eroe come Falcone e Borsellino? Vendola non spari cazzate!
20 Luglio 2010
Avevo appena finito di discutere con un amico, di centro-destra, sull’importanza dell’uso appropriato delle parole, in particolare della parola eroe, e di come alcuni termini non possano essere in alcun modo utilizzati per riferirsi ad alcune persone e situazioni.
Io condannavo l’uso dell’appellativo eroe per Mangano, lo stalliere mafioso, da parte di Dell’Utri; il mio amico, da parte sua, condivideva il fatto che il termine eroe debba essere usato in maniera appropriata ma, contemporaneamente, giustificava parzialmente Dell’Utri osservando che la sua affermazione andava contestualizzata in un quadro ed in una prospettiva di carattere più generale.
La sua spiegazione non mi ha pienamente convinto perché vi sono parole che assumono, come il termine eroe, una connotazione che non ne permette alcuna contestualizzazione, consentendone un uso limitato in quanto intrinsecamente esprimenti un giudizio di valore. In altri termini, il termine eroe esprime, nell’immaginario collettivo, un giudizio etico-morale positivo su di un determinato soggetto e sui suoi comportamenti e come tale non risulta possibile un uso del termine “nella prospettiva di”.
Purtroppo, stamattina apro i giornali e trovo le deliranti dichiarazioni del Presidente Vendola al meeting delle sue fabbriche: «Vincere per le donne e gli eroi dei nostri giorni — declina il suo pantheon Vendola — come Falcone, Borsellino e Carlo Giuliani».
Questa affermazione mi ha fatto rabbrividire, non mi nascondo dietro un dito, per la sua demagogica equiparazione, a fronte di un pubblico sicuramente plaudente, tra chi la propria vita l’ha sacrificata davvero e chi, invece, la propria vita l’ha avuta spezzata per un gioco troppo più grande.
Caro Vendola, comprendo perfettamente che quelle parole sono state pronunciate di fronte un pubblico che la pensa più come te che come me; capisco anche che l’iconografia “sinistrata” abbia la necessità di carichi ideali immaginari, quale quella di un ragazzo morto per ribellarsi alle ingiustizie.
Comprendo pure che, alla vigilia dell’anniversario per la strage di via D’Amelio, fosse facile ottenere un titolone di giornale con una frase del genere. (Pur sapendo che il genere non appartiene al suo stile, però mi perdoni la provocazione).
Però, mi perdoni, a tutto c’è un limite.
Carlo Giuliani non era un eroe!
Carlo Giuliani non può in alcun modo, nemmeno in un comizio che rischia di divenire tragicamente grottesco, trovare posto accanto a gente come Falcone, Borsellino, Chinnici, Scopelliti, Boris Giuliano, Peppino Alfano, Don Vincenzo Puglisi, Don Peppino Diana e tanti altri che un elenco tristemente lungo mi costringe a dimenticare.
Perché, caro Vendola, c’è una differenza di fondo nel divenire eroi servendo uno Stato, come per i giudici, o un’idea, come per i sacerdoti, e il divenirlo sol perché si ha avuto la sfortuna di morire sotto i colpi di un carabiniere.
Perché, caro Vendola, c’è tanta gente perbene che non accetta le ingiustizie, che si ribella in silenzio alle stesse, che piange il dolore di un mondo in cui la forbice tra ricchi e poveri si allarga sempre più ma che, meno male dico io, non potrà mai assurgere nel suo personalissimo pantheon di eroi in quanto non animata da alcuna pulsione violenta, sia pure momentanea.
Perché, caro Vendola, se lei avesse voluto avrebbe potuto citare altri dieci nomi di eroi dei nostri tempi il cui volto e le cui storie sono finite dimenticate troppo presto: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Erano gli agenti di scorta di Falcone e Borsellino; ragazzi che hanno scelto una strada diversa dal suo concetto di eroe.
A questi aggiungo Francesca Morvillo, cui va riconosciuto il coraggio di aver vissuto la propria vita accanto un uomo il cui destino sapeva essere segnato.
I familiari di Falcone e Borsellino, che in questi anni hanno condiviso il dolore della perdita dei propri cari unito alla rabbia del non poter conoscere, sino in fondo, la piena verità.
Antonio Vullo, unico sopravvissuto della strage di via D’Amelio, per lo strazio di aver visto amici, prima ancora che colleghi, venire dilaniati dalle bombe di vili mani assassine.
Ecco, caro Vendola, chi sono i veri eroi moderni che avrebbe dovuto ricordare e celebrare.
Il resto sono solo chiacchiere per infiammare cuori in vista del 2013.
Un saluto
Donato Piccoli