Come la crisi ti cambia la vita. Spread e colesterolo.
12 Agosto 2012Da un po’ di tempo mio nonno ha preso una nuova abitudine. Appena sveglio la mattina, invece di misurare la pressione, controlla l’andamento dello spread. Per sua stessa ammissione, non è che poi abbia capito veramente cos’è questo benedetto spread; ma è certo che da esso dipende l’umore della sua giornata. Se è in ribasso, infatti, lui sorride allegro, fiducioso; appena, però, quel numeretto sale, allora subito si incupisce, sembra preoccupato, infelice. Angosciato.
L’altro giorno, quando lo spread aveva superato di nuovo quota cinquecento, mio nonno si è abbattuto sulla poltrona: respirava affannosamente, la camicia sbottonata sul petto, gli occhi socchiusi, le braccia deboli che pendevano fino al pavimento.
“Che c’è, non stai bene? Vuoi un bicchiere d’acqua?” gli ho chiesto.
Ha fatto un cenno con la testa, ansimando un “no” appena percettibile.
“Hai preso la pillola per la pressione?” gli ho chiesto.
Ha aperto gli occhi e mi ha fissato con uno sguardo stupito come se volesse dire: con lo spread a 510, tu stai pensando alla pillola della pressione?
Mio nonno ha quasi novanta anni. Classe 1922: “Sono nato il giorno della Marcia su Roma!” ripete ogni volta con un lampo di orgoglio. Anche io sono nato ad ottobre, ma nel 1977; e da un po’ di tempo ho cominciato a pensare che qualcosa di quegli anni di piombo mi dev’essere rimasto inavvertitamente incagliato nell’animo.
Io e mio nonno passiamo insieme molto tempo. Questo è uno degli effetti collaterali della crisi economica che ha investito il mondo negli ultimi quattro anni. Infatti, l’anno scorso abbiamo fatto la spending review familiare, ed abbiamo licenziato la badante polacca che accudiva il vecchio. Siccome, nel frattempo, la ditta dei divani per la quale lavoravo io è andata a ramengo, ho accettato con piacere la decisione del consiglio d’amministrazione della famiglia di affidarmi l’incarico a progetto di accudirlo: con la pensione del nonno, insomma, integro la cassa integrazione.
A dir la verità, il primo mese è stato un po’ difficile e siamo andati sotto di parecchi euro perché la pensione si è volatilizzata molto presto. Il nonno, infatti, ha una vita piuttosto attiva per essere un novantenne. Ogni giorno va al bar per giocare a carte con gli amici: non prima, però, di aver fatto tappa dal barbiere e dal tabaccaio – perché il nonno fuma, naturalmente. Inoltre, tutte le domeniche bisognava accompagnarlo al cimitero dove agghindavamo sempre la lapide della nonna con un mazzo di fiori freschi perché ha un non so che da farsi perdonare da lei – gli ho chiesto gentilmente di risparmiarmi i dettagli del racconto…
Siccome, ad essere onesti, anche io non disdegno una certa rilassatezza dei cordoni della spesa, alla metà del secondo mese è dovuta intervenire mia madre: “Non potete continuare a vivere come se foste la Grecia ed il Portogallo!” ha detto a me e a mio nonno; e col rigore degno di un ferreo cancelliere tedesco ci ha imposto un’austerity assai rigida.
Ora mio nonno va dal barbiere solo una volta a settimana e al cimitero mai più di una volta al mese (abbiamo limitato le visite più che altro per risparmiare sulla benzina, dato che sui fiori si era già fatto un investimento strutturale, prendendo quelli di plastica). Al bar, intanto, quando gioca a carte, a lui e ai suoi amici è concesso gettare sul piatto solo dei pezzi di carta che io stesso ho dovuto appositamente preparare al computer: ho spiegato loro che si tratta dei famosi Eurobond di cui tanto si parla. E così, nel bar al centro del mio paese, un gruppetto di vecchietti impreca e sputacchia su spade, coppe, denari e bastoni, e tra una briscola e un tresette ha di fatto realizzato l’unione finanziaria europea.
Per quanto riguarda le sigarette, be’, qui c’è stato un piccolo incidente. Ho provato ad insegnare a mio nonno a rollare da sé le sigarette; ma dopo un primo fulmineo entusiasmo – “Deh! come facevamo da giovani durante la guerra!” – ho dovuto desistere: infatti gli tremano le mani, e per ogni sigaretta rollata sprecava mezzo pacco di tabacco.
Ora l’ho convinto a fumare il sigaro. Ne basta uno. Io faccio finta di accenderglielo e glielo passo. Lui aspira con tutta l’anima: “Non tira una mazza!” dice. “Tira, tira…” rispondo io. “Ma non si sente di niente!” dice. Io allargo le braccia e rispondo: “E che ne so: forse adesso i sigari li fanno col tabacco cinese…” E lì la discussione finisce: smette di fumare e mi dà ragione. Infatti, se la butti in culo ai cinesi, mio nonno ti dà sempre ragione perché, secondo lui, tutto quello che sta accadendo di sbagliato nel mondo è per colpa dei cinesi.
Veramente, quando smette di fumare e posa il sigaro, mi dispiace un poco di vedere il suo sguardo che si vela di tristezza e di nostalgia dei tempi passati, “quando i sigari erano fatti col tabacco buono, ed avevano un sapore… un sapore!”… Il sapore della giovinezza: intenso, pieno, profondo… Allora, per salvarlo dalla malinconia, gli dico subito: “Dai, andiamo a sederci alla panchina.”
Seduti alla panchina, ora che c’è bel tempo, possiamo guardare le ragazze che passano con i pantaloncini cortissimi. Mio nonno scuote la testa. “Tutte svergognate! Sono diventate tutte svergognate,” dice: “Quando era giovane la buonanima di tua nonna, allora sì che le ragazze erano fatte a modo: belle, garbate, educate…”
“Quando te l’ha fatta vedere la caviglia per la prima volta?” dico io per sfotterlo. Lui agita il bastone fintamente adirato, ma poi si perde con un sorriso lieto nelle onde dolci dei pensieri e dei ricordi.
Adesso che è estate, ogni mattina io e mio nonno andiamo in vacanza al supermercato: lì c’è l’aria condizionata, e ci sono i frigoriferi dei salumi e dei formaggi, così noi possiamo stare al fresco. Veramente, io al supermercato non ci vado solo per il fresco. La mia ex fidanzata lavora là come cassiera. Ci siamo lasciati un paio di mesi fa, quando ho fatto anche io la mia spending review personale e ho deciso che la fidanzata era un lusso che non potevo più permettermi. Anche perché lei aveva cominciato a parlare di matrimonio, ed io le ho risposto che non esiste, che c’è la crisi ed è da irresponsabili pensare al matrimonio con i tempi che corrono, e che io, quando vado a pisciare, mi sento che piscio piombo non solo per colpa dell’inquinamento, ma perché mi si deve essere incagliato qualcosa dentro sin dalla nascita…
Eppure, a volte lei mi manca; e così, mentre mio nonno borbotta sulla pasta che oggigiorno sembra tanto bianca ed insipida perché sicuramente la fanno col grano cinese, io, da lontano, resto a guardare la mia ex fidanzata che batte gli scontrini, e penso che sarebbe bello se ci fosse un lettore di codice a barre da passarmi sul petto per vedere cosa sono queste strisce nere che mi sento nel cuore…
Quando torniamo a casa, alla fine di un’altra giornata di crisi economica, mio nonno comincia a raccontare: “Quando ero giovane io, lo spread non ci stava, e con i tedeschi eravamo alleati… Ma poi, che cos’è questo spread? Non è che se lo sono inventati i cinesi?”
“No, nonno, non se lo sono inventati i cinesi…”
“Ah no? E dimmi: perché adesso tutti quanti stanno sempre a parlare dello spread? E’ veramente tanto importante? Insomma, si può sapere, di grazia, che cos’è questo spread?”
“Lo spread è come il colesterolo, nonno: quello, nel sangue, già ci stava, ma adesso che è troppo alto, è diventato pericoloso… può anche venirci un’ischemia…”
Mio nonno si ferma e mi guarda preoccupato: “Madonna… E che bisogna fare, ora?”
“Niente… bisogna prendere la pillola…”
“La pillola per lo spread?”
“Sì, più o meno… C’è il governatore della Banca centrale europea, per esempio, che è come la pillola per il colesterolo: lui parla, e lo spread si abbassa…”
“Mah… io questa cosa non la capisco…”
“E che ci vuoi fare, nonno, sono i mercati finanziari… e la finanza è difficile da capire.”
“I mercati finanziari…” borbotta mio nonno, “di certo ci stanno di mezzo i cinesi…”
“E’ certo che ci stanno di mezzo i cinesi… ma adesso vieni, lascia stare la finanza; andiamo a sederci alla panchina così guardiamo il culo alle ragazze che passano con i pantaloncini corti.”
“Andiamo, andiamo… ma quando c’era la buonanima di tua nonna… quelli sì che erano tempi…”
Stefano Folle