Cos’è la destra, cos’è la sinistra (secondo Rothbard)
17 Gennaio 2012Le definizioni di destra e sinistra costituiscono, apparentemente, lo scoglio contro il quale vanno a naufragare tutti i tentativi di “spiegazione” messi in atto da storici e politologi. L’ultimo esempio, in senso cronologico, è il tentativo intrapreso da Norberto Bobbio. Sarebbe lungo fare qui il lungo elenco di aporie che l’hanno reso di fatto inutilizzabile, mi permetto però di richiamare la vostra attenzione sull’ultimo passaggio della breve intervista a cui rimanda il link.
“Io ritengo che il politico di sinistra deve essere in qualche modo ispirato da ideali, mentre il politico di destra basta che sia ispirato da interessi: ecco la differenza.”, dice Bobbio.
Non so voi, ma io rimango sbalordito da una tale affermazione. Uno si aspetterebbe di sentirla pronunciare da un pischello qualsiasi, non certo da uno dei più celebrati filosofi della politica novecentesca.
Sembra sfuggire del tutto a Bobbio l’eventualità che anche la destra possa avere i suoi ideali e, senza che vi sia bisogno di inoltrarsi troppo avanti col discorso, che la “manutenzione” dello status quo possa costituire appunto un ideale. Se poi a Bobbio gli “interessi” sottesi a quella manutenzione non vanno a genio, e vorrebbe sostituirli con altri a lui più graditi, ciò non si traduce di certo nel fatto che i suoi interessi siano meritevoli di essere considerati ideali solo perché risultano graditi a lui. Gli interessi sono interessi sempre, sia quando sono nostri sia quando sono di altri.
Il problema vero allora, sul quale ragionare per venire a capo della questione che intendiamo risolvere, è certo lo status quo, ma da non intendersi nella maniera puerile avanzata da Bobbio.
Ricapitolando brevemente la “storia del mondo”, ci si accorge che l’epoca delle rivoluzioni liberali ha coinciso con lo sviluppo del sistema capitalistico. Tale sviluppo ebbe inizio nel medioevo nelle città italiane, olandesi e anseatiche e conobbe il suo acme con la rivoluzione industriale. Senza la rivoluzione industriale, la lotta per la libertà non sarebbe mai cominciata. Lo testimoniano i millenni di storia precedente in cui le uniche forme di società ammesse erano quelle per ceti e militari. E in cui non si dava speranza alcuna che l’ordine sotteso a quelle società potesse un giorno essere sovvertito.
Senza il lassaiz-faire e la più o meno piena affermazione della proprietà privata, quindi, possiamo tranquillamente dimenticarci ogni discorso sulla libertà individuale. Esistevano anche nel passato diverse forme di libertà, ma quella moderna, quella che diciamo di apprezzare tanto, anche se tendiamo a dimenticare in cosa consista, si è affermata solo grazie ai due principi suesposti.
La nascita delle due categorie di “destra” e “sinistra”, quindi, è possibile farla risalire all’epoca in cui si affermò il capitalismo come lo conosciamo oggi; la “società del contratto” di contro a quelle “per ceti” e “militare”. Precisamente, si ebbe allora il primo differenziarsi tra portatori di interessi fondati sul privilegio (accordati da un re o da una religione, o da re e religione insieme), la destra, e portatori di interessi inediti, la sinistra, che venivano però avvertiti come “rivoluzionari” (e dunque allettanti, per via del miglioramento comportato al loro tenore di vita) dalle masse di diseredati create dal vecchio regime.
Oggi a noi viene facile giudicare “dure e inumane” le condizioni di lavoro subite da uomini, donne e bambini dell’età della rivoluzione industriale, ma non dovremmo mai dimenticare due cose: la prima, per quanto dure e inumane, quelle condizioni dovevano risultare di gran lunga preferibili a quelle alle quali si era costretti a sottostare nelle città di allora; la seconda, uomini, donne e bambini scelsero volontariamente di trasferirsi nelle campagne dove sorsero le prime industrie (giacché il sistema corporativo vigente nelle città si opponeva alla nascente industrializzazione). Non vi fu alcuna tratta di schiavi dalle città verso le campagne. Fu questo movimento volontario a costringere le autorità a dover accettare come una realtà ormai ineliminabile la nascente società dell’industria.
Come di norma accade nella storia, il potere, dovendo fare buon viso a cattivo gioco (dal suo punto di vista), cercò e trovò il modo di accomodare e rendere compatibile con le sue prerogative l’industria nascente.
Se si guarda con occhio realmente critico, e non reso subalterno dalla storiografia successiva, l’aspetto non solo economico del capitalismo, ci si rende conto abbastanza facilmente della sua portata liberatoria unica nella storia. Uomini fino a quel momento succubi del volere e dei capricci del potere, per la prima volta potevano scegliere da sé quale tipo di vita condurre. Si comprende allora quale potenziale rivoluzionario potesse rappresentare agli occhi del potere il capitalismo.
La soluzione trovata consistette nel mercantilismo. Forte delle sue prerogative storiche, lo Stato cominciò a elargire agli imprenditori ad esso graditi concessioni e privilegi: sulle importazioni come sulle esportazioni, sui commerci come sulle produzioni. Si trattò del modo perfetto per reintrodurre lo sfruttamento in un sistema, quello capitalistico, che sembrava poter farne a meno.
A questo punto della storia, il liberalismo delle origini andò incontro a un vero e proprio processo degenerativo. L’affermarsi dell’utilitarismo e del darwinismo sociale, dei quali sarebbe lungo fare qui le rispettive ricostruzioni, portarono il liberalismo a perdere la sua carica rivoluzionaria e a trasformarsi in strumento della conservazione. I liberali dell’800, in altre parole, considerarono soddisfacenti i risultati raggiunti e affidarono alla loro fede nell’evoluzione sociale la conquista delle tappe successive. Un po’ quello che sarebbe accaduto, di li a poco, al socialismo con la teoria marxista della storia.
Defunto il liberalismo radicale, venne a crearsi lo spazio, in ciò che abbiamo finora chiamato “sinistra”, per un nuovo soggetto: il socialismo.
“I libertari del giorno d’oggi sono abituati a ritenere che il socialismo sia l’esatto opposto del credo libertario. Ma questo è un grave errore, responsabile del profondo disorientamento ideologico dei libertari di oggi. Come abbiamo visto, il conservatorismo era l’esatto opposto della libertà; ed il socialismo, pur collocandosi alla “sinistra” del conservatorismo, era essenzialmente un movimento confuso, a metà strada. Esso era, ed è ancora, a metà strada perché tenta di raggiungere fini liberali usando mezzi conservatori.”
Queste parole, tratte da Sinistra e Destra: le prospettive della libertà di M.N. Rothbard, costituiscono a mio parere il miglior ritratto del socialismo e di ciò a cui oggi ci riferiamo parlando di sinistra. Proseguendo con Rothbard,
“Il socialismo, come il liberalismo è contro il conservatorismo, accettò il sistema industriale e gli obiettivi liberali di libertà, ragione, mobilità, progresso, più alti livelli di vita per le masse, la fine della teocrazia e della guerra; ma cercò di raggiungere questi fini attraverso l’uso di incompatibili mezzi conservatori: statalismo, pianificazione centralizzata, comunitarismo, ecc.”,
è possibile comprendere come mai il socialismo appaia tanto distante dal liberalismo e, grazie all’usurpazione del termine “sinistra” da esso operato, contribuisca a far apparire il liberalismo come appartenente alla destra.
Il liberalismo, lo abbiamo visto, ha le sue colpe da farsi perdonare, ma, se si prescinde dalle corruzioni da esso subite sul piano storico, il suo essere autenticamente di sinistra e il fatto che “a sinistra” non teme concorrenza alcuna, non potrebbero mai essere oggetto di discussione; se lo sono, abbastanza spesso, è solo perché l’ignoranza e la malafede la fanno da padrone nel campo della sinistra di oggigiorno.
Dunque, se la ricostruzione fin qui condotta è esatta, e credo non vi siano motivi per dubitarne, al liberalismo, e al suo dirette discendente, il libertarismo, vanno riconosciuti apertamente i titoli per dichiararsi legittimamente di sinistra. Semmai, tutti dubbi a tal proposito andrebbero riversati sui due pastrocchi che vanno sotto il nome di socialismo e sinistra odierna, qualunque sia l’etichetta, diversa da quella libertaria, che si voglia loro applicare.
Mimmo Forleo
PS: quanti volessero approfondire l’argomento, possono farlo scaricando il saggio di Rothbard da questo indirizzo.