Diritto alla salute mutilato in Terra Jonica.
20 Luglio 2010Non si può restare in silenzio a proposito del piano di rientro dal deficit sanitario messo a punto dal tandem Vendola-Fiore. La manovra tutta pugliese che sta per abbattersi sulla sanità, recherà in dote la soppressione di alcuni nosocomi e un robusto ridimensionamento di altri, con la scomparsa di branche specialistiche e servizi, producendo dei notevoli contraccolpi sulle comunità. Non v’è dubbio che sia urgente un processo di riduzione degli sprechi e razionalizzazione delle risorse professionali e strutturali esistenti, nei confronti della quale non può che esserci la massima adesione e la più larga convergenza.
Ciò che si contestano in maniera vibrata sono il metodo e i criteri tramite i quali s’intende approdare al riordino della rete dei servizi sanitari e la gestione della di salute. A nostro avviso non è cosa saggia subire supinamente la manovra tremontiana, che chiede alle Regioni tagli e riduzioni di spesa in alcuni settori vitali, di cui la sanità che viene sospinta a un livello basso in termini di offerta sanitaria. A quanto pare però l’impianto della manovra targata viale Capruzzi non si lascia sfiorare dal fenomeno della mobilità passiva, cioè della migrazione dei cittadini alla volta di strutture private accreditate e centri clinici fuori dal recinto provinciale e addirittura regionale, e che comporta un costo non indifferente per le casse regionali. In che modo è possibile porre un freno a tutto ciò che più di qualcuno si ostina a non considerare? I Piani Attuativi Locali potevano essere e lo sono ancora una risposta positiva a questo e ad altri interrogativi di stretta attualità, in virtù proprio della peculiare genesi e del loro sviluppo nei diversi territori. Ci riferiamo anche a quella bella stagione di democrazia partecipata che fece la differenza fra la politica vendoliana e quella di Fitto. Ecco perché riteniamo un approccio inopportuno quello di applicare categorie di rigida ragioneria contabile a una materia cosi complessa e sensibile, senza dare luogo a una lettura attenta del contesto socio-culturale, delle sue esigenze e aspettative. La questione non è avere l’ospedale sotto casa, ma garantire alla variegata platea degli utenti la qualità, l’efficienza e l’efficacia delle prestazioni, attribuendo a ciascuna struttura ospedaliera una forte identità attrattiva a motivo delle specializzazioni in essa operanti, che valga sia per il bacino in cui è situata che per aree geografiche più lontane. In pratica, se l’ospedale di Mottola deve, nella programmazione, caratterizzarsi per la riabilitazione, questa volontà deve avere da subito azioni concrete. Sebbene sia in previsione la possibilità di affidarsi a fondazioni o a gestioni miste pubblico-privato è opportuno che l’Azienda sanitaria jonica, contestualmente alla chiusura della lungodegenza, rinomini da subito l’ospedale come Centro di Riabilitazione e, quale segnale tangibile di questa volontà, avvii ufficialmente ciò che di fatto opera già in questa direzione. Pensiamo ad esempio al lavoro fin qui svolto dalla riabilitazione ortopedica con medici, fisioterapisti, strutture e pazienti provenienti già da diverse realtà ospedaliere verso quel centro, e che pertanto potrebbe acquisire da subito denominazione specifica, quale prima realtà del nosocomio mottolese. Nel tempo si completerebbe con altre specialità per la via amministrativa che più si ritiene opportuno. Come pure l’ospedale di Massafra potrebbe, per la sua posizione strategica, essere sede di strutture specialistiche importanti tali da non mortificare gli ingenti investimenti già attribuiti a quella struttura. Su Castellaneta poi occorre potenziare le branche che operano efficacemente, l’UTIC e i servizi connessi, perché quella realtà continui ad essere polo veramente qualificato quale è la suo mission intrinseca. Queste proposte crediamo che permetterebbero da un lato l’azione di ridimensionamento che i bilanci regionali oggi richiedono, dall’altra una possibilità di rilancio e non dì umiliante e incomprensibile accanimento perpetrato da ormai molti anni ai danni dello sviluppo e della domanda di prestazione sanitaria del nostro territorio. I vertici regionali e quelli dell’Asl tarantina bene fanno quindi a voler quadrare i conti, tuttavia ci sembra scorretto smantellare le strutture a man pesante e lasciarsi dietro polvere di deserto, con un pugno di promesse e azioni senza certezza temporale. Il nostro impegno è totale e si sta articolando in una serie di incontri con la direzione generale Asl di Taranto e verso la regione, attraverso il sostegno indispensabile dei nostri rappresentanti politici provinciali e regionali.
Miccolis V., Pinto L.,Galeota T., Montemurro C.