E’ una questione di razionalità la democrazia
7 Gennaio 2011E’ sicuramente utile affrontare il tema del rapporto esistente entro la triade potere-democrazia-cittadinanza. Deviando l’attenzione da tale tema, il rischio serio che si corre è quello di trasformare qualsiasi argomento avente natura amministrativa in “argomento per esperti” e comunque in argomento destinato a svolgersi al di sopra delle teste dei cittadini.
Ai cittadini, infatti, oltre a non riconoscere alcuna competenza specifica, non verrebbe riconosciuto altro potere che quello di scegliersi periodicamente la “squadra” di amministratori che insindacabilmente e per tutta la durata del mandato amministrativo sarebbe dotata di poteri decisionali assoluti. Fatta salva, ovviamente, quella quota di potere soggetta a controllo da parte di organi istituzionali deputati a svolgere tale compito (Tribunali amministrativi, Organismi di controllo e revisione contabile ecc.).
Ma la democrazia, per poter funzionare, non può limitarsi a prevedere soltanto un certo numero di “pesi e contrappesi”. La democrazia è soprattutto partecipazione consapevole e informata da parte di tutti (qui non si deve intendere il termine “tutti” come prescrittivo in senso assoluto, ma nel senso di un ideale da perseguire per approssimazione); quindi, è democratica unicamente quella scelta la cui filosofia sia stata ispirata, dapprima, da una discussione la più ampia possibile e, poi, da una valutazione attenta di tutti i contributi emersi in corso di discussione.
A prima vista, questo procedimento potrà apparire lungo, macchinoso e di difficile applicazione, ma, senza tale procedimento, diventa difficile, anzi impossibile, comprendere quale ruolo debbano svolgere partiti, associazioni ecc. O meglio, si comprende benissimo che loro unico ruolo diventa (come è in pratica diventato) quello di farsi strumento per la propaganda non informata e/o strumento di pressione in mano a lobby più o meno bene organizzate intorno a particolari interessi condivisi da una ristretta cerchia di persone o società.
Considerato, però, che neppure il più alto livello di scolarizzazione possibile, esteso a tutti i cittadini, potrà mai metterli nella condizione di conoscere “tutto riguardo a tutto” (stante l’estrema specializzazione odierna dei saperi), appare evidente che l’unico rimedio possibile se si vuole evitare che il termine “democrazia” degeneri in sterile enunciazione verbale di un principio di fatto considerato irrealizzabile, è quello di coinvolgere partiti, organismi associativi e cittadini in una discussione la più ampia possibile che preceda ogni atto decisionale di una certa importanza.
Va inoltre tenuto presente un altro aspetto di cui spesso si parla, ma di cui difficilmente riusciamo a comprendere le difficoltà che esso oppone al concreto, oltre che corretto, dispiegarsi della democrazia. Mi sto riferendo al pessimo stato in cui versa la nostra pubblica istruzione.
Da anni ormai, l’Italia è agli ultimi posti in tutte le classifiche che riguardino la formazione culturale dei suoi cittadini. In particolare, i suoi studenti sono considerati tra i più scarsamente dotati al mondo quando si tratta di interpretare correttamente un testo scritto, ma questo sarebbe ancora il meno! Il vero problema, quello intorno al quale si giocano il destino e la qualità della nostra democrazia, è costituito dal fatto che i nostri studenti risultano puntualmente i peggiori quando sono posti di fronte a test concernenti il cosiddetto “problem solving”. In pratica, se viene loro richiesta la soluzione di un problema neppure difficilissimo da risolvere, rimangono come imbambolati.
Quando si dà una situazione di questo tipo, c’è di che aver paura. Oltre che la democrazia del paese che dovesse soffrire di tal problema, a risultare fortemente a rischio sono i processi intellettuali di tipo razionale dei suoi cittadini. Situazione che fa da terreno fertile per la proliferazione di ciarlatani in campo politico, religioso e morale.
Non a caso, oggi in Italia, assistiamo allo stretto intrecciarsi di temi religiosi e morali con la politica. Della politica è andato del tutto perso l’aspetto più razionale: il dibattito intorno alle proposte che essa è chiamata a fornire ai cittadini. Al suo posto, è tutto un fiorire di polemiche intorno alle vicende private dei suoi protagonisti; come se, nel caso in cui si dovesse costruire un ponte, invece di interessarci delle diverse proposte progettuali in campo, ci chiedessimo se i progettisti sono “buoni cristiani” e se vanno in chiesa tutte le domeniche.
Un esempio chiarissimo in questo senso ci è stato fornito da una vicenda recente e tutta locale: il dibattito sulla spazzatura.
Piuttosto che considerare e valutare le possibili diverse proposte che emergevano via via che il dibattito avanzava, la polemica è sembrata rimanere ferma intorno al suo aspetto morale: qualcuno si è chiesto, per esempio, se Mimmo Forleo è favorevole, oppure no, della “differenziata” (che da alcuni è considerata scelta morale imprescindibile) [1]; altri si sono chiesti se Mimmo o Giacomo Di Pietro avevano i giusti titoli morali per avanzare critiche o perfino proposte. Pochissimi hanno posto l’unica domanda che andava posta: Le critiche e le proposte avanzate da Mimmo e da Giacomo, si possono almeno considerare razionali?
Mimmo Forleo
[1] Ragionare solo in termini di morale, su questioni che sono di tipo economico, rasenta talvolta l’assurdo. Differenziare i rifiuti, per esempio, è considerato da molti un imperativo morale poiché, in mancanza, il nostro futuro benessere ne uscirebbe inevitabilmente compromesso.
Può darsi, ma non sarebbe altrettanto giusto chiedersi quali costi comporti rispondere positivamente a quel presunto imperativo morale? E, soprattutto, chiedersi fino a che punto possiamo spingerci con quei costi?
Non vorrei, in pratica, che si tornasse a ragionare alla maniera tipica del medioevo, quando alcuni, considerando prioritaria la salvezza delle anime, non si facevano alcun problema quando si trattava di sacrificare i corpi nel nome di quella salvezza.