I ragazzi di oggi
7 Dicembre 2006Si rincorrono sulle pagine di cronaca le segnalazioni di gesti vandalici, di atti di bullismo, di stupri, violenze, abusi su minori a opera di minori.
Ci sono periodi nei quali non si riesce neppure a tenere il conto degli episodi.
Se si decidesse di segnare con un cerchietto le localit? interessate, come fanno i militari sulle mappe di guerra, oggi sarebbe una vera Caporetto.
E viene da chiedersi se ci? che emerge e arriva sui media sia tutto o solo uno spicchio, un frammento del panorama di guasti e di orrori che ? andato componendosi sotto i nostri occhi annebbiati.
Nord o Sud ? uguale, metropoli o provincia ? lo stesso, non conta il ceto sociale, n? il grado di istruzione, n? la posizione economica delle famiglie.
Chi li ha conosciuti dice che si tratta di ragazzi ?normali?, appartenenti a famiglie ?normali?, che conducono vite ?normali? e ?dopo ? hanno continuato a osservare i loro ?normali? comportamenti:andare a scuola, ritrovarsi al bar, frequentare l?oratorio, scambiarsi sms con gli amici.
Non sono ?mostri? dunque, non sono alieni.
Sono la ?normalit??.
Ma, un momento, ? questa la normalit??
E? questo il clima cui dobbiamo rassegnarci?
Il solo pensiero raggela e ammutolisce.
Pensiamo piuttosto che la parola si carichi di livida autoironia, che venga usata per alludere a una condizione?mimetica nella quale, non visto, si acquatta il virus della violenza.
Come a dire: sembrano normali ma non lo sono.
Pu? bastarci?E? chiaro che no.
E? chiaro che se un faro deve essere acceso, esso non pu? non illuminare tutta quanta la scena, nella quale se ci sono loro, i ragazzi protagonisti, ci sono anche gli adulti comprimari, e l?intera societ? con i suoi valori, i suoi messaggi, i suoi modelli, le sue ?grandi macchine?: famiglia, scuola, televisione, editoria, giornali,sport?
Il rischio ? quello di scaricare su qualcun altro il peso , di distribuire le responsabilit? dei singoli su una platea pi? ampia.
Ma ? chiediamoci ? non ? troppo esile la coscienza di un quindicenne, troppo breve il tempo avuto per formarla, troppo piena di noi la sua esperienza del mondo, perch? debba gravare su di lui solo una soma cos? dura?
Non spetta anche a noi rendere conto?
Sono riflessioni amarissime quelle che educatori, psicologi, criminologi vanno ora allineando.
Qualcuno ha scritto riferendosi ad un certo ?delirio giovanilistico? della nostra societ?, vede gli episodi violenti come la ?spia patologica di una normalit? abnorme?, e nota come mai la distanza tra le generazioni sia stata percepita in modo cos? drammatico, tanto da lasciar intravedere ?l?effetto di una mutazione etologica? che ha carattere culturale e tecnologico.
Qualcun altro invita a bandire le ipocrisie: film horror, tv spazzatura, contenuti e forme volgari ?dove tutto rotola a 100 all?ora tra bellocce in mutande e ragazzetti semianalfabeti, dove ogni minuto c?? qualcuno che ti invita a comprare qualcosa?, ebbene tutto questo a cosa porta se non al rifiuto della scuola vista come luogo lento, noioso, inutile?
Ci vorrebbe un vero collegamento tra insegnanti, assistenti sociali, famiglie.
Oggi il tema appare dolente, ma il timore non infondato, credetemi, ? che fra un po?, svaporato lo sdegno e? asciugato l?inchiostro dei giornali, tornino a travolgerci i soliti argomenti, gli amanti invitati in tv e lautamente retribuiti solo perch? si scambino insulti; il falso naufrago che gareggia a forza di rutti in una falsa isola sperduta.
O anche ? perch? no? ?quelle di distinti signori in doppiopetto, magari condannati per associazione mafiosa o frode fiscale, che in un?aula parlamentare inveiscono contro alcune persone venerabili nell?aspetto e nelle azioni, e li deridono, e li invitano ad andare a lavorare, pur se non hanno fatto altro per tutta la vita, magari guadagnandosi un premio Nobel.
Per concludere, si richiama un verso poetico che va a tema con quanto scritto pi? sopra.
Vero ?ch?ogni erba si riconosce per lo seme? e questo anche misto a sangue era pur sempre seme.
Ci sono periodi nei quali non si riesce neppure a tenere il conto degli episodi.
Se si decidesse di segnare con un cerchietto le localit? interessate, come fanno i militari sulle mappe di guerra, oggi sarebbe una vera Caporetto.
E viene da chiedersi se ci? che emerge e arriva sui media sia tutto o solo uno spicchio, un frammento del panorama di guasti e di orrori che ? andato componendosi sotto i nostri occhi annebbiati.
Nord o Sud ? uguale, metropoli o provincia ? lo stesso, non conta il ceto sociale, n? il grado di istruzione, n? la posizione economica delle famiglie.
Chi li ha conosciuti dice che si tratta di ragazzi ?normali?, appartenenti a famiglie ?normali?, che conducono vite ?normali? e ?dopo ? hanno continuato a osservare i loro ?normali? comportamenti:andare a scuola, ritrovarsi al bar, frequentare l?oratorio, scambiarsi sms con gli amici.
Non sono ?mostri? dunque, non sono alieni.
Sono la ?normalit??.
Ma, un momento, ? questa la normalit??
E? questo il clima cui dobbiamo rassegnarci?
Il solo pensiero raggela e ammutolisce.
Pensiamo piuttosto che la parola si carichi di livida autoironia, che venga usata per alludere a una condizione?mimetica nella quale, non visto, si acquatta il virus della violenza.
Come a dire: sembrano normali ma non lo sono.
Pu? bastarci?E? chiaro che no.
E? chiaro che se un faro deve essere acceso, esso non pu? non illuminare tutta quanta la scena, nella quale se ci sono loro, i ragazzi protagonisti, ci sono anche gli adulti comprimari, e l?intera societ? con i suoi valori, i suoi messaggi, i suoi modelli, le sue ?grandi macchine?: famiglia, scuola, televisione, editoria, giornali,sport?
Il rischio ? quello di scaricare su qualcun altro il peso , di distribuire le responsabilit? dei singoli su una platea pi? ampia.
Ma ? chiediamoci ? non ? troppo esile la coscienza di un quindicenne, troppo breve il tempo avuto per formarla, troppo piena di noi la sua esperienza del mondo, perch? debba gravare su di lui solo una soma cos? dura?
Non spetta anche a noi rendere conto?
Sono riflessioni amarissime quelle che educatori, psicologi, criminologi vanno ora allineando.
Qualcuno ha scritto riferendosi ad un certo ?delirio giovanilistico? della nostra societ?, vede gli episodi violenti come la ?spia patologica di una normalit? abnorme?, e nota come mai la distanza tra le generazioni sia stata percepita in modo cos? drammatico, tanto da lasciar intravedere ?l?effetto di una mutazione etologica? che ha carattere culturale e tecnologico.
Qualcun altro invita a bandire le ipocrisie: film horror, tv spazzatura, contenuti e forme volgari ?dove tutto rotola a 100 all?ora tra bellocce in mutande e ragazzetti semianalfabeti, dove ogni minuto c?? qualcuno che ti invita a comprare qualcosa?, ebbene tutto questo a cosa porta se non al rifiuto della scuola vista come luogo lento, noioso, inutile?
Ci vorrebbe un vero collegamento tra insegnanti, assistenti sociali, famiglie.
Oggi il tema appare dolente, ma il timore non infondato, credetemi, ? che fra un po?, svaporato lo sdegno e? asciugato l?inchiostro dei giornali, tornino a travolgerci i soliti argomenti, gli amanti invitati in tv e lautamente retribuiti solo perch? si scambino insulti; il falso naufrago che gareggia a forza di rutti in una falsa isola sperduta.
O anche ? perch? no? ?quelle di distinti signori in doppiopetto, magari condannati per associazione mafiosa o frode fiscale, che in un?aula parlamentare inveiscono contro alcune persone venerabili nell?aspetto e nelle azioni, e li deridono, e li invitano ad andare a lavorare, pur se non hanno fatto altro per tutta la vita, magari guadagnandosi un premio Nobel.
Per concludere, si richiama un verso poetico che va a tema con quanto scritto pi? sopra.
Vero ?ch?ogni erba si riconosce per lo seme? e questo anche misto a sangue era pur sempre seme.
Ma da un seme insanguinato quale erba?
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