IL MISTERO DEL CANDIDATO SCOMPARSO, quando Ciccio Pesca, Gaetano Tabasco e Vito Cervicale si sfidarono per la poltrona di Sindaco (prima puntata)
14 Aprile 2012Sette case, due piazze, tre chiese: trecento giorni all’anno di sole furioso.
Piove poco; ma quando piove, Dio la manda e noi la prendiamo con pazienza.
Un tempo, quando eravamo poveri, le sette case avevano muri bianchi.
Poi, un giorno di tanti anni fa, all’improvviso siamo diventati ricchi grazie all’impennata che ci fu nel prezzo del latte di mandorla – il nostro, infatti, è un piccolo paese dedito all’agricoltura, e ci sono mandorli ovunque: a primavera le nostre campagne sono un ricamo incantevole di rami fioriti che sembra di camminare in paradiso.
Appena siamo diventati ricchi, abbiamo ricoperto di marmo ogni cosa: scale, bagni, finestre, balconi. Infissi, portici, marciapiedi. Tutto.Io ho nostalgia di quando i muri erano bianchi. Non che li abbia visti, assolutamente no: sono troppo giovane per averne un ricordo. Eppure, a volte mi sembra di leggere negli occhi dei vecchi che quando i muri erano bianchi anche i loro sguardi, le loro parole, i loro pensieri erano più luminosi. La mia, però, è una nostalgia insensata: e questo pensiero è figlio della mia immaginazione: il nostro paese, a dir la verità, non è mai stato un luogo per pensieri luminosi.Non lo è oggi che le case sono di marmo, come non lo era ieri quando i muri erano di calce bianca.
Ma non è dei muri che voglio parlare. Voglio invece raccontarvi una storia accaduta in questo paese alcuni anni fa: voglio dirvi del candidato scomparso, il famoso mistero che mise in subbuglio il paese e lo cambiò per sempre.
Sette case: sette famiglie che contano ciascuna una ventina di componenti, per un totale di centoquaranta abitanti.
Ogni cinque anni scegliamo il sindaco attraverso una regolare elezione.
In quel momento, la nostra vita, che in genere scorre uniformemente noiosa, subisce un sobbalzo di eccitazione. Diventiamo diffidenti, spigolosi, pungenti.
Mettiamo da parte le nostre due grandi passioni (il calcio e le mandorle) e diventiamo tutti – dai bambini ai moribondi – ma proprio tutti, degli acutissimi Machiavelli.
Per alcune settimane non si parla di nient’altro che di politica, di voti, di liste e di programmi.
Le geografie familiari vengono ridisegnate attorno alle appartenenze partitiche.
L’ideologia prende il sopravvento sul sangue. Ed il sangue si coagula attorno all’interesse. Il meschino interesse.
Nelle settimane della campagna elettorale c’è un aggettivo che diventa una parola magica sulla bocca di tutti: “nuovo”. Ogni schieramento politico si presenta come il “nuovo”: un nuovo modo di fare politica, una politica nuova; sono nuove le idee, nuovi i candidati.
Per novanta anni abbiamo avuto un sindaco (eletto la prima volta quando aveva trenta anni, e rieletto puntualmente ogni cinque anni finché morì all’età veneranda di centoventi anni!) che tutte le volte si presentava come il “nuovo”: e la novità si manifestava ad ogni elezione con una nuova tintura di capelli: al primo mandato era bruno; al secondo, castano; al terzo, biondo; poi, rossiccio; e cinque anni dopo scarlatto; quando morì – mentre firmava con mano debole e tremante una delibera – aveva una scintillante capigliatura fucsia.
Di novità in novità, si giunse all’anno del mistero.
Il paese stava vivendo un momento drammatico.
La caduta del prezzo del latte di mandorla ci aveva impoveriti. I marmi delle case cadevano a pezzi. C’era un senso di miseria, di depressione generale, e gli abitanti non erano risollevati nemmeno dai boccioli che si schiudevano delicatamente sui rami dei mandorli.
A complicare la situazione erano sopraggiunti gli eventi nazionali ed internazionali: una grave crisi finanziaria globale incupiva anche gli animi dei più irriducibili tra gli isolazionisti – sostenitori di un’autarchia basata sulla pasta di mandorle: “Quando hai le mandorle,” usavano dire, “hai tutto; e noi abbiamo le mandorle più buone del mondo!”
Alcuni mesi prima, alla conclusione di una vicenda troppo complessa per provare qui a spiegarla, il presidente del governo nazionale, Silviuccio Vergadifuoco, leader indiscusso del Polipo della Libertà (il principale partito di centro-destra, per intenderci), si era dimesso, tornando ad una vita riservata dopo mesi e mesi di scandali sessuali che avevano logorato tutti, tranne che il protagonista, il quale, a detta di alcune donne ambiguamente coinvolte nella vicenda, conservava ancora tutto il vigore di un adolescente ai primi furori ormonali.
In questo panorama triste, durante una delle primavere più scure, fredde e piovose della storia del nostro paese, era giunto a termine il mandato di Rocco Cespa, esponente locale di spicco del Partito Demoscopico (il principale partito di centro-sinistra, per intenderci), ed i centoquaranta cittadini si apprestavano ad eleggere il nuovo sindaco.
I candidati erano tre: il giovane Ciccio Pesca, di anni dodici, ma già politico esperto e navigato, a capo della coalizione di centro-destra “Uniti per il Mandorlo”, composta dai partiti del Polipo della Libertà, FLIP, FLOP, CIP, CIOP, QUI, QUO, QUA;
Gaetano Antonio Tabasco, un medico in odore di santità di ottantadue anni, ma alla prima esperienza politica, sostenuto dalla coalizione di centro-sinistra “Insieme per il Mandorlo”, di cui facevano parte il Partito Demoscopico, l’Unione dei Centroni, la Vespa, il Partito Socialista, ed i Socialisti senza Partito, ed una lista civica chiamata Lista Chiavica;
il terzo candidato era Vito Cervicale, un uomo nuovo per la seconda volta, cinquanta anni, professionista di grandissimo valore e rettitudine morale, tra i tre candidati sicuramente il migliore, ma con poche possibilità di vittoria a causa di uno spiacevole equivoco: la lista che lo sosteneva era denominata L’Arca di Noè, e siccome i cittadini erano stati sconvolti dieci anni prima da una tremenda alluvione che aveva colpito il paese, questi, traumatizzati ed indispettiti, avevano giurato che mai e poi mai lo avrebbero votato, nonostante i suoi tentativi tenaci di spiegare la differenza tra un alluvione ed un diluvio, e che quindi un movimento politico chiamato L’Arca di Noè non avrebbe portato sfiga ad un popolo di alluvionati.
(1 – continua)
Complimenti a Stefano Folle…o al Folle Stefano…
Davvero ben scritta: un’ironica fotografia del nostro paesello.
A casa mia, aspettiamo con ansia la seconda parte…
Beh, un articolo acuto e pungente, un mix perfetto.
Complimenti a Stefano Folle.
Naturalmente rimaniamo in trepida attesa della seconda puntata, soprattutto siamo curiosi di sapere chi è il “CANDIDATO SCOMPARSO”?
Au revoir
Complimenti utente “stefano folle”.
veramente divertente .
Inoltre mi è piaciuta molto -sembra GG Marquez – la storia della nostalgia dei muri bianchi.Poetica e ben scritta.
AMoschetti
grande Stefano…geniale!