In margine al convegno sul federalismo fiscale (prima parte)
14 Novembre 2008
di Mimmo Forleo.
Perché in Italia il federalismo nasce “al contrario”?
E’ possibile far passare una riforma fiscale per federalismo?
Le responsabilità, e i timori, della destra e della sinistra.
La Lega incaricata di svolgere tutto “il lavoro sporco”.
L’intenzione di questo breve scritto non è quella di fare il resoconto del mini-convegno dedicato dal Pd al federalismo fiscale.
E’ mia intenzione, semmai, quella di indurre a qualche riflessione prendendo spunto da una delle affermazioni fatte dall’On. Boccia durante il suo pregevole intervento.
La mia attenzione non poteva non essere attirata dall’ammissione, fatta dall’Onorevole, che anche all’interno dello stesso Pd si assisterebbe alla coesistenza di “un partito del Nord” e di “uno del Sud”.
Non ho mai avuto dubbi al riguardo; sentirsi confermati, comunque, costituisce sempre una sorta di verifica “sperimentale” delle proprie tesi. Insomma, si ha quasi la certezza che il proprio ragionare, specie se politico, non è campato in aria.
Per rendere più agevole la lettura del fenomeno, mi permetto di introdurre una piccola premessa.
Ogni discorso sul federalismo dovrebbe prendere avvio da una domanda:
possiamo considerare sensato un federalismo impiantato a partire da una riforma fiscale?
La domanda non è affatto oziosa.
Si consideri, per es., che storicamente il federalismo nasce dall’esigenza di mettere assieme più comunità salvaguardandone, quanto più è possibile, le singole specificità..
Appare quanto meno strano, allora, che oggi si voglia realizzare un progetto federativo “al contrario”: si parte da un “corpo” nazionale unico per giungere, non si sa bene quando, a un Italia composta da tante “piccole patrie”.
Se aggiungiamo che tale disegno ha ricevuto l’imprimatur convinto della destra nazionalista e delle forze che dicono di richiamarsi ai valori risorgimentali, in effetti, a non tornare è più di qualche conto.
Sintetizzando brevemente:
la sensazione è che si voglia accontentare la Lega, assurta al ruolo di difensore delle “forze produttive” del Nord, sotto il profilo fiscale e che, una volta raggiunto tale scopo, si realizzi la speranza che la Lega la smetta una buona volta di interessarsi a possibili ulteriori modiche riguardanti l’“ingegneria costituzionale”.
Ci diciamo certi, allora, che una volta realizzato tale disegno il tema del federalismo andrà via via scolorando fino a ridursi a mero oggetto di curiosità storica per i nostri nipoti.
Tornando al discorso riguardante il Pd, e le sue diverse anime, vi è da dire che sul piano delle “responsabilità” storiche neppure tale forza è esente da colpe. Così come non può dirsene esente l’intera sinistra italiana.
Vediamo di capire perché.
Per lungo tempo la sinistra italiana si è cullata nel “sogno” gramsciano che una rivoluzione, prima o poi, avrebbe risolto anche il pantano meridionale.
La mancata esatta comprensione del fenomeno risorgimentale ha reso possibile non accorgersi di quanto stava per accadere, e che si è puntualmente realizzato.
La Storia economica dell’Italia unitaria è lì ad indicarci che l’intento originario della borghesia settentrionale era quello di realizzare uno Stato a due velocità:
– un Nord a vocazione industriale e capace di sfruttare l’efficienza, non solo produttiva, che da tale vocazione deriva;
– un Sud destinato a permanere in uno stato di “primitivismo” economico basato sull’agricoltura e condannato a fungere da mercato interno (secondo una logica di tipo coloniale) per consentire le necessarie “economie di scala” affinché il rachitico sistema industriale, nascente al Nord, potesse reggersi e confrontarsi con la spietata concorrenza esercitata da sistemi più evoluti.
Questo disegno ha potuto reggersi fino all’inizio del Novecento senza nocumento alcuno di tipo fiscale per le popolazioni settentrionali. Anzi, grazie ad un sistema di prelievo fiscale differenziato per aree, sono state le popolazioni meridionali a farsi carico della maggior parte dei tributi.
La “pacchia” fin qui descritta ebbe termine quando l’agricoltura, per ragioni che omettiamo di approfondire, non fu più la voce per eccellenza dell’export italiano e non fu più in grado di garantire il primato nel gettito tributario.
A quel punto, pur di consentire al Sud di continuare a svolgere il ruolo di “mercato interno”, divenne giocoforza intraprendere la via del capovolgimento delle logiche fiscali: maggiori entrate dal Nord, assistenza del reddito al Sud.
Da qualche tempo, da quando è andata perfezionandosi l’integrazione tra i mercati europei, il Nord ha scoperto che questo “gioco” non è più conveniente e cerca di porvi riparo.
La Lega è stata la prima forza politica a spendere parole chiare in proposito.
Avrebbero potuto farlo anche le forze di sinistra: in fondo, la dimostrazione di efficienza amministrativa data al Nord avrebbe costituito miglior “biglietto da visita” rispetto agli sconosciuti leghisti.
Non lo hanno fatto perché timorosi di scoprire le carte a un concetto di nazione (quello risorgimentale) posticcio e raffazzonato quanto mai.
Hanno preferito assistere all’erosione della loro base elettorale convinti che, una volta esauritasi la luna di miele tra Lega ed elettori, questi sarebbero tornati all’ovile. Vedremo.