La grande magia
27 Gennaio 2015Poiché da qualche parte ho letto che di norma il critico è molto meno intelligente dell’autore, anche se me ne dico non del tutto convinto (perché, per esempio, anche il peggior critico rischia di apparire intelligente se paragonato a certi autori), proverò a sintetizzare in poche righe le mie considerazioni riguardanti l’opera e il suo autore.
Dunque, parlando dell’opera e dell’autore, anche il meno scaltro tra voi che mi leggete (che spero sarete in tanti, perché ogni critico in fondo si sente autore quando scrive qualcosa, fossero pure cazzate) oggi saprebbe andare su Wikipedia e lì scoprire che La grande magia appartiene al ciclo Cantata dei giorni dispari, quella che segue Cantata dei giorni pari, che nelle intezioni di De Filippo, l’autore, si differenziavano l’una dall’altra per queste ragioni: la seconda rappresenta la giovinezza e l’ottimismo spensierato, “Il teatro infatti è una grande magia: fa vivere sulla scena una finzione che, come i trucchi degli illusionisti, sembra la realtà”; invece la prima soffre, e quanto lo soffre!, il fatto che “ormai Eduardo ha lasciato le illusioni della giovinezza, anche queste un trucco della vita, e ha scoperto l’inganno delle vicende umane”.
Bene!, direte adesso voi, ora che ci hai portato a conoscenza di cose che potevamo benissimo trovare da soli, cos’altro hai da dirci per soddisfare la tua mania di apparire autore?
Ben poco in realtà. Vorrei solo stabilire un parallelo tra le ragioni che resero un insuccesso l’opera al suo apparire e le ragioni, paradossalmente molto simili, che potrebbero decretarne il suo successo tardivo oggi.
Quando apparve venne detto, così come lo stesso De Filippo aveva temuto si dicesse, che l’opera era palesemente anacronistica: l’Italia del 1948 usciva da una guerra che era stata disastrosa anche sotto il profilo materiale, oltre che umano, e la necessità di dover ricostruire, unita alla voglia di dimenticare, facevano sentire gli italiani giovani e spensierati. Un po’ come sentono di esserlo ancora Marta Di Spelta e il suo amante Mariano D’Albino; almeno rispetto a Calogero Di Spelta, marito della prima, al quale tocca invece l’ingrato compito di portare in scena (su di un palcoscenico o nella vita, cambia niente), interpretando il marito geloso, la parte di chi sa quanto può essere deludente la vita e preferirebbe adesso illudersi di nuovo piuttosto che doversi arrendere a un’altra delusione.
Illusione nella quale casca prontamente con entrambi i piedi, aiutato in questo cascare da un mago-filosofo, Otto Marvuglia. Marvuglia, in realtà, più che un personaggio in carne e ossa sta a rappresentare una sorta di io narrante. È il traite-d’union psicologico delle illusioni coltivate da “vecchi” e “giovani”; da quanti, come Calogero, credono di poter tenere sotto controllo la realtà e da coloro che, come Marta e Mariano, sperano di raggiungerne una più profonda e vera una volta liberatisi di chi, sempre Calogero, sembra avere sulla realtà una presa soffocante.
Ma il mago Marvuglia rappresenta anche quanti sanno esattamente quale peso possa avere l’illusione nella vita degli umani e, rendendosi con questo gesto quasi sovraumano, si dispone a sfruttare gli effetti che l’illusione può provocare sul destino degli stessi.
Marvuglia è un disilluso come Calogero ma, a differenza di questi, preferisce restare vittima della realtà, invece di cedere alle lusinghe che una nuova illusione potrebbe attivare. Non è stato mai geloso, e ai tradimenti consumati dalla moglie ha saputo rispondere consumando i propri. La sua carriera ha seguito lo stesso declino toccato all’avanspettacolo, ma ha saputo adattarsi alle occasioni offerte dagli hotel con qualche pretesa di grandezza. Non è mai stato ricco, ma vive sprecando perché ha saputo scoprire presto che il segreto della ricchezza non sta nel possesso ma proprio nello spreco.
Marvuglia, insomma, è l’incarnazione del vero mago. Laddove per magia intendiamo l’opera di tanti disillusi sempre ben attenti ad innaffiare la pianta dell’illusione altrui. In altre parole, è l’uomo di potere; pronto a servirsi anche delle Forze dell’Ordine pur di lasciare i suoi sottomessi liberi di coltivare ognuno la propria illusione preferita. Per questo motivo La grande magia non poteva sperare nel successo al suo apparire: De Filippo diceva troppo e allo stesso tempo troppo poco sulla natura del potere. Diceva troppo a persone che avendo da poco attraversato la disillusione dal teatro s’aspettavano una nuova illusione (una “speranza”, direbbero gli uomini di potere; sempre pronti a far passare ogni illusione nuova come un modo migliore per aver ragione sulla realtà), troppo poco perché un’opera teatrale, per poter diventare immortale, non deve mai somigliare troppo a un manifesto politico.
Io avrei finito e voi, forse, vi starete chiedendo: ma questo è scemo?!, aveva promesso di svelarci come e perché La grande magia potrebbe diventare un successo ai giorni nostri, invece…
No, non sono scemo. Scemi sarete voi se perderete l’occasione di andarla a vedere dal vivo quest’opera, che viene rappresentata raramente e per giunta non sempre adeguatamente. Adesso invece avete l’occassione di vederla a casa vostra e portata in scena da un gruppo di ragazze e ragazzi, quelli di Teatrarsi, che ne hanno saputo spremere anche gli aspetti più segreti e recondoti; tanto da rendere possibile che a recensirla mi ci possa mettere pure io. Che di professione non faccio il critico, e non solo per paura di apparire meno intelligente di qualsiasi autore.
Mimmo Forleo
Volevo sottolineare giusto una delle tante perle di questa commedia, ossia il ritornello cantato da Calogero “e lucevan le stelle” tratto dalla Tosca. Nell’opera lirica il protagonista che la canta Mario fa un’ode alla vita, che sta per perdere, ripensando alle delizie dell’amore, ed e’ proprio per amore che invece Calogero non accetta la realta’(vita) che gli si pone di fronte. Ho trovato personalmente questo dualismo splendido! Complimenti a tutta la compagnia Teatrarsi!