La Nuova Atlantide
19 Agosto 2010Non faccio alcuna fatica ad ammettere la mia profondissima ignoranza in fatto di storia locale, ma l’aver seguito la recente tenzone tra il prof. Caprara e il prof. Carucci mi consente di dire la mia intorno alla disputa che l’ha alimentata.
Non aspettatevi, dunque, sconvolgenti novità in fatto di ricostruzione storica – ché non saprei neppure da dove farle cominciare; la mie vogliono essere delle semplici considerazioni dettate dal buon senso e dei suggerimenti di ricerca ricavati mettendo insieme le ottime notizie che i due studiosi hanno prodotto lungo l’arco di una discussione che va avanti ormai da qualche anno.
Alle informazioni prodotte dai due studiosi si sono aggiunte, di recente, quelle fornite da Luigi Putignano e che concernono interessanti rilievi a proposito della cartografia storica riguardante il sistema viario del nostro territorio. Ne terrò conto.
Prima vorrei fornire una spiegazione riguardo al titolo scelto per questo post.
Parlo di “Nuova Atlantide” poiché mi ha sorpreso non poco la sortita d’esordio contenuta nell’intervento del prof. Carucci.
In buona sostanza, il Carucci ha lamentato l’assenza, nella relazione del Caprara che ha aperto i lavori, di qualsiasi riferimento a ciò che egli ritiene essere una verità assodata: la continuità di presenza, nel tempo e negli stessi luoghi, di una Palagiano che affonderebbe le sue origini nell’età preellenica e che ritroviamo ai nostri giorni. Si tratta della cosiddetta tesi “continuista”.
Tale tesi, però, è fortemente contestata proprio dal Caprara ed altri, sostenitori di una teoria che colloca all’interno dell’epoca medievale la tappa finale della vecchia Palagiano e che ne fa ripartire la storia dopo una cesura protrattasi per qualche secolo; non si vede, perciò, la ragione per cui lo storico massafrese avrebbe dovuto dilungarsi o solo soffermarsi su qualcosa che, a suo parere, non è mai esistita. Una Nuova Atlantide, appunto.
Ora, di per sé, lo scontro tra le due tesi potrebbe essere realmente interessante sul piano storico.
Nel caso in cui dovesse avere ragione il Caprara, il nostro territorio rientrerebbe a pieno titolo tra quelli che in epoca medievale conobbero il fenomeno dell’impaludamento e diventerebbe questione di non poco conto spiegarsi i motivi di un attaccamento così forte a una tradizione e perfino al nome di un abitato svanito per qualche tempo e ricomparso ex abrupto a distanza di centinaia d’anni.
Viceversa, nel caso in cui dovesse avere ragione il Carucci, rimarrebbe da spiegare l’improvvisa scomparsa di resti e reperti risalenti al medio evo e che potrebbe tradursi solo in un modo: con un livello di decadenza economica tale da non consentire alle popolazioni stanziali di potersi permettere neppure forme minime di quei manufatti che rendono agevole la vita umana in ogni epoca.
Vediamo, allora, se esistono elementi che possano aiutarci nel sostenere o meno l’attendibilità delle due teorie che si contrappongono.
A favore della tesi del Caprara a mio parere, come ho fatto presente nella serata “Per la storia di Palagiano”, vi è un elemento epidemiologico che considero consistente: l’alto tasso di presenza nella popolazione attuale di soggetti portatori di Talassemia, altrimenti conosciuta come “anemia mediterranea”. Un alto tasso incidentale di tale anemia è da tempo considerato come sicuro indice di antichi fenomeni di impaludamento. Nelle zone paludose si sviluppa normalmente la malaria e, risultando i portatori di Talassemia immuni alla malaria, nel tempo si ottiene una selezione che favorisce il concentrarsi di soggetti talassemici tra la popolazione.
In Italia, le zone che denunciano tali concentrazioni atipiche sono quattro: la Sardegna, ampie fasce del litorale toscano, le aree intorno a Ravenna e Ferrara e quasi tutto il Sud (quello rivierasco).
Relativamente al nord della penisola abbiamo certezza, ricavabile dall’opera degli storici longobardi, dell’avvenuto impaludamento e del successivo regresso del fenomeno per via “naturale” (ad eccezione di un’ampia zona intorno a Ferrara), senza cioè che intervenissero opere di bonifica volute dall’uomo. Anche per la Sardegna, la Toscana e il Sud in generale si dà un regresso spontaneo dello stesso tipo in molte aree, ma non in tutte.
Gli studi del Caprara si sono concentrati a lungo proprio sulla Sardegna e la Toscana, trovo pertanto strano che non abbia mai fatto riferimento al dato epidemiologico come dato sicuramente attestante il fenomeno dell’impaludamento. Qui mi limito a segnalarlo nuovamente.
Un elemento che gioca sicuramente a sfavore della tesi del Carucci, sempre a mio parere, è rinvenibile già dal primo Novecento nell’opera di chi è stato a lungo considerato come uno dei migliori medievisti di sempre, il belga Henry Pirenne. Nella sua opera del 1937, Mahomet et Charlemagne, Pirenne dimostra ampiamente come in nessuna parte dell’ex impero romano, durante il medioevo, le condizioni economiche subirono un tracollo tale da giustificare livelli da economia definibile neppure di sussistenza come quello che sarebbe necessario avanzare per sostenere la tesi del Carucci. Anzi, i traffici mediterranei si mantennero praticamente costanti e perfettamente in linea con quelli di epoca imperiale.
Per non appesantire oltremodo la lettura, al momento mi fermo qui riservandomi di pubblicare a breve un ulteriore post nel quale (tenetevi forte!) avanzerò una mia possibile spiegazione di quanto può essere accaduto a Palagiano. Lo farò prendendo in considerazione alcune delle osservazioni fatte da Luigi Putignano.
Mimmo Forleo