La Puglia non sarà la Grecia, ma ha certi sofisti!

9 Agosto 2010 0 Di Life

Il 2 agosto La Gazzetta del Mezzogiorno pubblica un editoriale dal titolo “Perché la Puglia non è la Grecia” a firma di due docenti dell’ateneo barese; Massimo Paradiso e Vito Peragine. I due insegnano, rispettivamente, Diritto Privato e Scienza della Finanza.
La tesi che i due autori intendono sostenere è che la Puglia non correrebbe nessun “rischio Grecia”.
Buon per noi, si dirà il lettore che non abbia letto l’articolo. Ma, nel caso in cui l’articolo lo legga, viene assalito da dubbi consistenti e numerosi sull’attendibilità dei due. Di conseguenza, comincia a temere che neppure la loro tesi sia del tutto attendibile.
Vediamo perché.

La premessa dell’articolo è questa:

La tesi è che una politica di contrazione fiscale sia destinata a porre le basi di una futura crescita economica. Questo il cammino intrapreso dalla politica economica europea, alla quale anche l’Italia si è ovviamente adeguata.

A quanti abbiano seguito un po’ la recente polemica sorta tra “neokeynesiani” e “monetaristi” (di cui si è dato conto su questo portale parlando della “Lettera degli economisti”) appare immediatamente chiaro che, ancora una volta, al centro del discorso i due vogliono porre il cosiddetto “mainstream liberista” che, a detta anche di molti altri loro colleghi, la farebbe da padrone nel mondo accademico. Registriamo e andiamo avanti.

Qualche rigo dopo, però, ci si imbatte in quest’altra affermazione:

Il disegno della manovra appena approvata dal parlamento conserva intatta la tesi della intangibilità della pressione fiscale…

Insomma, viene da chiedersi, la via scelta fatta dall’Italia è quella della “contrazione fiscale”, oppure quella della sua “intangibilità”?
Inutile cercare una risposta nell’articolo, pare che i due autori considerino la logica un optional di cui si può tranquillamente fare a meno.

Continuando nella lettura, scopriamo che i due forse confondono allegramente “riduzioni di spesa” con “contrazione fiscale”. Leggiamo:

Circa il 60 percento della manovra consiste infatti di riduzioni di spesa di regioni ed enti locali. In particolare, si prevede il taglio lineare dei trasferimenti ricevuti dalle regioni per il finanziamento di funzioni trasferite, con le leggi dette Bassanini, in materia prevalente di trasporto pubblico, agricoltura, ambiente, incentivi alle imprese. Si tratta di funzioni dalle quali discendono servizi non secondari, che pongono le regioni di fronte ad una alternativa: ridurre la fornitura dei servizi o finanziarli con nuove imposte.

A noi, per la verità, risulta che il 60% della manovra sia basato sulla favola del “recupero dell’evasione fiscale”. Ma tant’è.
Inoltre, se la favola divenisse realtà, come ben spiegano i manuali di economia che pure i nostri autori dovrebbero aver letto, ciò si tradurrebbe in un incremento della pressione fiscale. Altro che “intangibilità” della stessa! Ma siamo in Italia, il paese in cui, anche nelle discussioni scientifiche, un parere vale l’altro. Nevvero?

Ma manteniamo la nostra attenzione concentrata su quel che dovrebbe derivarne per le regioni e gli enti locali. Chiediamoci cioè se sia vero l’aut aut immaginato dai nostri autori: minori servizi o più imposte (per far si che il livello dei servizi erogati si mantenga almeno costante)?

In effetti si tratta di un falso problema. I servizi, stanti i continui disavanzi di bilancio che talune regioni continuano ad accumulare, sono di per sé o troppi (relativamente a quanto il territorio può dare per sostenerli) oppure troppo costosi (si prenda l’esempio della spesa farmaceutica pugliese: 229 euro pro capite, contro una media nazionale di 186 euro).

Fino a ieri le regioni potevano permettersi di trascurare entrambi gli aspetti: toccava ai territori più ricchi finanziare le inefficienze e gli eccessi di spesa realizzati nei territori meno ricchi. Insomma, pagava Pantalone. Con il federalismo fiscale, purtroppo, la pacchia sta per finire. Le regioni meno virtuose hanno di fronte sì un aut aut, ma molto differente da quello immaginato dai nostri eroi.

La scelta che le regioni dovranno fare non è quella tra riduzione della spesa o aumento delle imposte, ma tra riduzione delle inefficienze o aumento delle imposte. Mi sembra che si tratti di differenza non da poco!

I nostri autori, e con loro temo buona parte della nostra classe politica, la loro scelta l’hanno già fatta. Paventando il rischio di “uno straordinario potere di interdizione” che il governo vorrebbe attribuirsi (lo stesso rischio paventato, guarda caso, da Vendola), chiedono che si possa continuare a fare come si è fatto finora: spendiamo e spandiamo a spese di chi ha fatto dell’efficienza un totem!

Straordinaria è sotto questo profilo la scusa che accampano a proposito del sistema sanitario.
Il sistema sanitario, dicono, è tipicamente un sistema “rigido”. La chiusura degli ospedali o il taglio dei posti letto, ad esempio, non si traduce immediatamente in una riduzione della spesa.
Tutto vero in effetti; una volta tagliati gli ospedali e i posti letto, rimane il problema del personale che lì prestava la sua opera. Che farne? Ovviamente, a meno che non si decida di licenziarlo, continueremo a sopportarne il costo. E nessuno vuole, o può, assumersi questa responsabilità.

Ma cosa c’entrano queste rigidità, che chiunque è in grado di riconoscere, con quelle nuove che si vorrebbero introdurre attraverso delle stabilizzazioni aggiuntive e palesemente superflue?

Mimmo Forleo