L’Abc dell’economia – La Scuola Austriaca (2)
12 Luglio 2010Abbiamo visto nella prima parte come, distinguendo in maniera errata tra “valore di utilizzo” e “valore di scambio” (una distinzione che non ha motivo di essere introdotta), si possa giungere parimenti a distinguere arbitrariamente tra “produzione” e “distribuzione”, lasciando così intendere che esista una “lotta di classe” all’interno del processo distributivo e che “…se i salari aumentavano ciò poteva solo avvenire a spese di profitti e di affitti inferiori, o viceversa.”
Qui vedremo meglio perché le cose non stanno affatto nel modo descritto dai Ricardiani e acriticamente accettato dai Marxiani. Inoltre, attraverso l’introduzione della legge delle “preferenze temporali”, scopriremo come il “tasso di profitto” non sia altro che una forma particolare di “tasso d’interesse”.
La concentrazione sulle azioni dell’individuo e quindi sulle “analisi marginali” ha anche portato a risolvere il problema della “distribuzione” del reddito sul mercato. Gli Austriaci dimostrarono che ogni unità di un fattore produttivo, sia esso il lavoro, la terra, o lo stock di capitale, viene prezzata sul libero mercato sulla base della “produzione marginale”: in breve, su quanto ogni unità di produzione realmente contribuisce al valore del prodotto finale comprato dai consumatori. Maggiore è la “offerta”, ovvero la quantità unitaria di un dato prodotto, minore tenderà ad essere la sua produttività marginale (quindi il prezzo con cui essa viene remunerata); invece, minore è la sua offerta e maggiore tenderà a essere il prezzo. Così gli Austriaci dimostrarono che non c’era nessuna irragionevole o arbitraria lotta di classe o conflitto tra le diverse categorie di fattori; ciascun tipo di fattore contribuisce armoniosamente al prodotto finale, diretto a soddisfare i più intensi desideri del consumatore nel modo più efficiente possibile (i.e. nel modo attraverso il quale si realizza il maggiore risparmio di risorse).
Ogni unità di ciascun fattore viene remunerata sulla base del proprio prodotto marginale, ovvero sulla base del proprio particolare contributo all’ottenimento del risultato finale. Infatti se ci fosse un conflitto di interesse, esso non sussisterebbe tra i diversi tipi di fattori produttivi (terra, lavoro e capitale) ma tra coloro che concorrono per offrire lo stesso fattore produttivo. Se, per esempio, qualcuno scoprisse una nuova riserva di rame l’aumento dell’offerta spingerebbe al ribasso il prezzo del rame; questo andrebbe a beneficio e vantaggio dei consumatori, del lavoro cooperativo e dei fattori produttivi. Gli unici ad essere insoddisfatti potrebbero essere i proprietari delle esistenti miniere di rame, a causa della caduta di prezzo del loro prodotto.
Così gli Austriaci mostrarono che sul libero mercato non c’è nessun tipo di separazione tra “produzione” e “distribuzione”. Il valore e la domanda dei consumatori determinano il prezzo finale dei beni di consumo, i beni cioè comprati dai consumatori, i quali stabiliscono la direzione delle attività produttive e a loro volta determinano i prezzi delle unità dei diversi fattori: i salari, gli affitti e i prezzi di impianti, macchinari e attrezzature, ovvero dello stock di capitale. La “distribuzione” del reddito era semplicemente la conseguenza del prezzo di ciascun fattore. Così se il prezzo del rame è di 20 centesimi a libbra e il proprietario di rame vende 10.000 libbre di rame, egli riceverà $2.000 come quota di “distribuzione” della produzione; se il salario di qualcuno è di $4 all’ora e lavora 40 ore a settimana, riceverà $160 a settimana, e così via.
Cosa ne è stato della questione dei profitti e del problema del “lavoro congelato” (il cosiddetto lavoro incorporato nei macchinari)? Ancora una volta partendo dall’analisi dell’individuo, Böhm-Bawerk scoprì una elementare legge umana: ogni persona vuole soddisfare i propri desideri e obiettivi il più velocemente possibile. In altre parole, tutti preferiscono ricevere immediatamente beni e servizi piuttosto che dover aspettare un certo lasso di tempo. Meglio avere con certezza una cosa oggi che riceverla forse domani. Ed è proprio a causa di questa legge elementare delle “preferenze temporali” che le persone non investono tutti i loro redditi in beni strumentali così da poter aumentare la quantità di beni prodotti nel futuro. Ogni uomo, a seconda delle condizioni e culture a cui appartiene, ha un diverso tasso di preferenze temporali. Più alto è il suo tasso di preferenze temporali, maggiore sarà la quantità di reddito che egli consumerà subito; più basso è il suo tasso, maggiore sarà la percentuale che egli risparmierà e investirà per la produzione futura. È unicamente il fattore delle preferenze temporali che determina gli interessi e i profitti; ed è il grado e l’intensità delle preferenze temporali che determina il livello dei tassi di interesse e l’ammontare dei profitti.
Prendiamo, ad esempio, il tasso di interesse su un prestito. Nel Medio Evo e all’inizio dell’era moderna i filosofi e gli accademici della chiesa cattolica erano, a loro modo, degli eccellenti economisti e studiosi del mercato ma ciò che essi non riuscirono mai a spiegarsi era il tasso di interesse su un prestito. Essi avevano capito il concetto dei profitti generati dagli investimenti rischiosi tuttavia, avendo erroneamente appreso da Aristotele che il denaro in se stesso era sterile e improduttivo, non riuscivano a giustificare l’interesse su un prestito. Non riuscendo a trovare nessuna spiegazione plausibile, la chiesa e gli accademici condannarono come “usura” peccaminosa ogni tipo di interesse su un prestito. Fu finalmente Böhm-Bawerk a trovare una soluzione grazie alla teoria delle preferenze temporali. Quando un creditore presta $100 a un debitore in cambio di $106 per l’anno seguente, i due uomini non si scambiano le stesse cose. Il creditore sta dando al debitore $100 come “bene immediato”, soldi che il debitore può usare, da subito e in qualsiasi momento. Ma ciò che il debitore sta dando in cambio al creditore è un IOU, (I OWE YOU) un certificato di debito, ovvero la prospettiva di poter riottenere i soldi solo un anno dopo. In breve, il creditore sta dando al debitore un “bene immediato”, mentre il debitore sta dando al creditore un “bene futuro”, il denaro che il creditore potrà usare solo dopo un anno. Dato che la percezione universale sulle preferenze temporali mostra che i beni immediati valgono più dei beni futuri, il creditore dovrà far pagare al debitore una commissione e il debitore dovrà pagare un premio per usufruire immediatamente di quel bene. Quel premio è il tasso di interesse. L’ammontare del premio dipenderà dal generale tasso di preferenze temporali di ciascun operatore economico.
Ma non è tutto: Böhm-Bawerk andò avanti e mostrò come la teoria delle preferenze temporali determinasse, allo stesso modo, i tassi di profitto: infatti il “normale” tasso di profitto altro non è che il tasso di interesse. Durante il processo di produzione il lavoratori non devono aspettare che il prodotto sia realizzato e venduto ai consumatori per avere i soldi, come avverrebbe in assenza dei datori di lavoro – capitalisti. Se questa ultima categoria non esistesse, i lavoratori dovrebbero sgobbare per mesi e anni senza paga, fino a quando il prodotto finale – l’automobile il pane o la lavatrice – non venisse venduto ai consumatori. Ma i capitalisti offrono il grande servizio di risparmiare parte dei propri redditi per pagare immediatamente i lavoratori mentre questi lavorano; i capitalisti quindi aspettano che il prodotto finale sia venduto ai consumatori prima di ricevere il loro denaro. È per questa differenza tra “bene attuale” e “bene futuro” che i lavoratori sono più che disposti a “pagare” ai capitalisti un profitto o interesse. In breve i capitalisti sono nella posizione di “creditori” che risparmiano, pagano subito e aspettano per il loro eventuale pagamento finale; i lavoratori sono i “debitori” i cui servizi daranno frutti solo dopo un dato periodo di tempo. Ancora una volta il tasso di profitto sarà determinato dalla misura dei tassi delle preferenze temporali.
Böhm-Bawerk spiegò questo concetto anche in un altro modo: i beni capitali non rappresentano semplicemente “lavoro congelato”; rappresentano anche tempo congelato: è proprio in questa cruciale questione di tempo e preferenze temporali che deve essere cercata la spiegazione al profitto e all’interesse. Egli ha anche anticipato l’analisi economica del capitale poiché, al contrario dei Ricardiani e della maggior parte degli attuali economisti, non considerò il “capitale” semplicemente una massa omogenea o una quantità data. Il capitale è una struttura, un intricato fattore che ha una dimensione temporale; la crescita economica e la crescente produttività derivano non solo dall’aumento della quantità di capitale ma anche dall’aumento della propria struttura temporale nella costruzione di “processi di produzione sempre più lunghi”. Più bassi sono i tassi delle preferenze temporali delle persone più esse riescono a sacrificare, nel presente, i consumi per risparmiare e investire in processi più a lungo termine che renderanno, in un dato momento nel futuro, significativi e maggiori risultati in termini di beni di consumo.
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