Le fallacie del potere (e l’utilità della filosofia)
2 Febbraio 2011Il riferimento all’autorità è esposto all’accusa di sofisma quando, nel corso di una discussione su un oggetto tanto comprensibile agli interlocutori che ogni argomento pertinente sarebbe loro perfettamente accessibile, in luogo appunto degli argomenti pertinenti che potrebbero essere addotti da una parte, o in opposizione ad argomenti non pertinenti addotti dall’altra, si ricorre all’autorità”.
(Jeremy Bentham, The Book of Fallacies)
Di recente sono stato intrattenuto da una breve ma intensissima discussione sulla distinzione che passa fra “autorità” e “autorevolezza”. Vi risparmio i particolari della discussione, a dire il vero poco sapida, e vado subito al nocciolo della questione.
La citazione riportata ad inizio articolo appartiene ad un autore giustamente riconosciuto tra i fondatori del liberalismo e ricalca un argomento ormai familiare ai lettori di Palagiano.net, non fosse altro per le numerose volte che li ho stressati utilizzandolo; da ultimo, in un mio commento, vi facevo riferimento portando l’esempio del sole che brilla allo zenit a mezzogiorno e che nessuna decisione, neppure se presa unanimemente, potrebbe far cessare di brillare.
Per Bentham, tale sofisma assume i connotati di una vera e propria violenza ogniqualvolta il potere vi fa ricorso poiché “ha un interesse opposto a quello della collettività”. Vale a dire, ogniqualvolta l’interesse del potere si contrappone al principio cardine dell’utilitarismo: la “massima felicità per il maggior numero di individui”.
Traduciamo il tutto dal linguaggio filosofico, che potrebbe sembrare astruso ai più, e procediamo con un esempio pratico.
Immaginiamo che una data autorità, magari democraticamente eletta, debba istituire un servizio utile alla collettività e si ritrovi davanti a due possibili scelte: attivarlo facendo ricorso 1) a un meccanismo barocco e costosissimo, oppure 2) a uno più efficiente e molto meno costoso.
Si comprende bene che in questo caso la “massima felicità” per tutti consiste nella soluzione più efficiente e meno costosa.
Ora immaginiamo pure che per una ragione qualsiasi l’autorità decida di scegliere la soluzione meno razionale tra le due e che, invece, due rompiballe si mettano in testa di mostrare alla collettività: 1) quanto la soluzione scelta sia irrazionale, oltre che mal costruita; e 2) come ve ne sia un’altra che oltre a risultare molto più razionale, comporti anche dei risparmi (più “felicità” per tutti).
A questo punto, cosa immaginate che possa accadere secondo Bentham e anche secondo il buon senso?
Poiché Bentham era uomo di notevole buon senso non fece fatica a comprendere che il potere le avrebbe provate tutte, ma proprio tutte, pur di non vedersi sbugiardato pubblicamente e di non dover ammettere che, probabilmente, i suoi interessi cozzano clamorosamente contro quelli della collettività.
Gli venne facile, allora, introdurre altri due sofismi.
Il sofisma delle leggi irrevocabili. Che spiega in questo modo:
“In ogni settore delle scienze fisiche applicate nessuno è tanto sfrontato o tanto pazzo da affermare o anche soltanto insinuare che la cosa più auspicabile, la condotta più ragionevole e preferibile, sia di sostituire alla decisione fondata sull’evidenza diretta e specifica la decisione fondata sull’autorità [perché] la follia di una tale scelta è dimostrabile […] Nel settore delle scienze morali, ivi inclusa la religione, la follia di voler raggiungere un’opinione corretta con un’analoga ricetta sarebbe altrettanto universalmente riconosciuta, se tanto ostinatamente non si opponessero la ricchezza, l’agio, la dignità che sono connessi a quell’opinione e da essa confortati”.
Il sofisma di pericolo. Che spiega in quest’altro modo:
“Il sofisma in questione viene usato quasi tutte le volte che sulle persone di chi governa o sul modo in cui si governa vien pronunciata un’espressione che implica condanna o censura: il sofisma consiste nel fingere di considerare questa condanna o censura, se non intenzionalmente certo tendenzialmente, gravida di pericoli per il governo stesso («opponendovi a chi governa, vi opponete al governo stesso»). […] Di fatto questo sofisma non è se non un modo d’asserire, con parole diverse, che nessun abuso va riformato e che sulla cattiva condotta d’una persona che ricopra una carica non si deve far motto che possa ispirare un qualche sentimento di disapprovazione”.
Per caso l’utilizzo dei tre detti sofismi vi ricorda qualcosa o qualcuno?
Bene, siete stati voi a pensarci.
Io, da buon filosofo-tuttologo, vi ho solo rivolto un invito alla riflessione.
Statemi bene.
Mimmo Forleo