Non fate i “buoni” se potete
18 Marzo 2017La politica è una cosa seria non in quanto tale ma perché in grado di combinare danni inenarrabili per mezzo dei politici, che combinano tali danni o in buona fede, pensando cioè di stare facendo qualcosa di buono, oppure in cattiva fede, ben sapendo cioè di stare facendo danni ma spacciandoli per cose ottime.
Uno dei temi preferiti dai politici per fare danni è la moneta, come avranno compreso anche i muri dopo quasi dieci anni di crisi economica ininterrotta. Intendiamoci bene a questo proposito: non sto parlando dell’Euro, che anzi ha consentito a paesi dall’economia decotta come quella greca, o quasi decotta come la nostra, di tirare a campare per svariati anni ancora senza pagare pegno eccessivo. Che sarebbe consistito in un fallimento con tutti i crismi del caso almeno una ventina di anni fa.
Sto invece parlando delle teorie monetarie che vanno tanto di moda anche presso le banche centrali, vedasi FED, e non sono disdegnate nemmeno, a quanto pare, da quanti coltivano l’ambizione di “governare” un paese grande quanto Palagiano.
È di questi giorni la notizia, che notizia non è in quanto si tratta semplicemente di confondere teorie monetarie con buoni pasto, che anche il nostro paesello potrebbe presto contribuire sul piano teorico e pratico alla costruzione di quel vero e proprio Nirvana consistente nella credenza che basti “battere” moneta per rendere a portata di mano la felicità di tutti.
L’idea sviluppata qui a Palagiano è la seguente: il Comune dovrebbe “emettere crediti” (chiamati “Bonus Sociali”) a favore di quanti versano in condizioni finanziarie precarie per risollevarne le loro sorti. Detti “crediti” avrebbero come “riscontro”, sai la novità!, “la verifica dei parametri economici e patrimoniali dei richiedenti” (va da sé che per “parametri economici” si devono intendere quelli reddituali, ma non sottilizziamo).
Giungiamo quindi alla prima conseguenza problematica di tale proposta:
“Il percettore dei “Bonus Sociali” potrà così spenderli nel comune di Palagiano, in attività commerciali convenzionate, acquistando beni di effettiva necessità. Permettendo quindi una reale destinazione della “spesa sociale” alle situazioni di debolezza.”
Il “caso Bari”, a proposito del “buono cultura” distribuito ai diciottenni dal governo Renzi, evidentemente non ha insegnato nulla. Niente e nessuno potrebbe impedire ai percettori di rivendere detti buoni a qualunque avventore di una salumeria disposto a risparmiare sul prezzo di acquisto della mortadella, per fare un esempio. Se la mortadella va a 5 euro al chilo, il percettore si presterebbe ad acquistarne anche più di un chilo, tanto i soldi gli sono stati regalati, e a rivenderla a 4 euro, trasformando così il buono ricevuto in denaro contante e sonante. Da spendere come e dove meglio gli aggrada.
Per non parlare poi di questo passaggio:
“Il commerciante convenzionato a sua volta, potrà – con i Bonus ricevuti – anche pagare le imposte comunali agevolando così il ritorno dei “ticket” che potranno essere rimessi in circuito l’anno successivo (avendo già una copertura con accantonamento di moneta reale).”
Andiamo per punti, ché il passaggio merita:
1) Non si era detto, più in basso, che si vuole evitare “qualunque rischio clientelare”? Quale migliore occasione, invece, potrebbe darsi di un meccanismo che lascia agli amministratori la facoltà di scegliere quali esercizi commerciali ammettere e quali tener fuori?
2) Sulle tasse comunali pagabili con i buoni suggerirei di chiedere lumi a De Magistris, che nel 2012 provò a introdurre i “Napo”, salvo poi non stamparli più proprio perché i primi a rifiutarli come mezzo di pagamento furono gli uffici delle imposte del Comune di Napoli.
3) Viene infine detto: “[i “ticket”] potranno essere rimessi in circuito l’anno successivo (avendo già una copertura con accantonamento di moneta reale).”
Qui qualcuno crede di aver scoperto il moto perpetuo: stampo una volta i bonus e poi, dopo che siano tornati indietro sotto forma di tasse, li rimetto in circolazione utilizzando la medesima copertura monetaria assicurata già l’anno prima e per sempre. Ma la verità è un’altra: purtroppo per lo “scopritore”, il percettore di bonus si reca in negozio per acquistare beni reali, e non per partecipare a un gioco il cui scopo sia far circolare pezzi di carta per il solo gusto di vederli circolare.
Mi spiego attraverso un esempio: immaginiamo che il Comune decida di devolvere a Tizio 100 euro di bonus per la sua spesa. Tizio si reca da Caio che in cambio dei bonus gli consegna 100 euro di beni. Caio li accetta perché sa di avere un debito (sotto forma di tasse) col Comune appunto pari a 100 euro. Si reca quindi al Comune ed estingue il suo debito consegnando i bonus.
Fin qui tutto sembra andare per il meglio e senza che vi sia stata, addirittura!, necessità per il Comune di impegnare euro veri a garanzia dei bonus. A cosa servono, infatti, gli euro veri, se tutto si conclude con il Comune che decide il cancellare il debito di Caio accettando pezzi di carta colorata?
Il problema magari sorgerà quando il Comune si accorgerà di aver introitato 100 euro in meno dopo aver provato a girare i pezzi di carta colorata, spacciandoli come denaro, a qualche suo fornitore. Che guarda caso veniva pagato proprio con i 100 euro veri che Caio versava al Comune ogni anno, eccetto quello in corso. Per quest’anno, infatti, il Comune sarà costretto a far pagare a tutti più tasse, Caio compreso, per coprire l’ammanco da esso stesso provocato quando ha deciso di accettare i pezzi di carta presentati da Caio manco fossero euro veri. E così sarà per tutti gli anni a venire, perché non esiste alcun luogo al mondo in cui i bonus emessi dal Comune siano presi sul serio.
Quindi, anche se spiace sempre risvegliare qualcuno dal proprio sogno, in realtà non si darebbe alcuna immissione di “nuova linfa per l’economia locale”. Ma si darebbe invece un ulteriore giro di vite contributivo da sopportare alle già abbastanza martoriate imprese e persone del luogo.
Mimmo Forleo