PALAGIANO (TA). Piano di Sviluppo Rurale, analisi del mercato, il ruolo dell’agronomo e l’agricoltura biologica.
10 Gennaio 2016
Apre, così, la 26° sagra del mandarino
Dopo due anni di pausa, a Palagiano si è tornati, nuovamente, ad organizzare la sagra del mandarino. Un’edizione, la 26°, quasi sperimentale, organizzata in maniera contenuta, con un nuovo logo e con la voglia, da parte della Pro Loco, di riportare in auge, sia pure a piccoli passi, un evento in grado di riaccendere i riflettori sulla clementina, fiore all’occhiello della conca d’oro.
A dare inizio alla sagra, sabato mattina, un convegno, sul tema: “Agrumicoltura ionica e il suo futuro”.
Prima, per l’Amministrazione Comunale, che ha sostenuto l’iniziativa, gli interventi del sindaco Antonio Tarasco e dell’assessore alle Politiche Agricole Vincenzo Nardelli, a sottolineare come “quello degli agrumi può e deve costituire un settore produttivo trainante per l’economia locale, il valore aggiunto, in grado di assicurare un marchio identificativo al territorio”.
Indispensabile è essere competitivi, puntando sulla qualità, sull’innovazione e sulla cooperazione. “Ma occorre anche saper vender il prodotto ed investire – come spiegato da Carmelo Mennone, responsabile del Centro Sperimentale di Agrumicoltura di Pantanello – nel consumo del fresco, più che nell’industria di trasformazione: è il più remunerativo ed, assorbendo il 55% del prodotto, consente di fare reddito”.
Mennone ha analizzato quelli che sono i principali competitor dell’Italia nella produzione di agrumi: nel Mediterraneo, la Spagna e l’Egitto. Come superficie utilizzata nella coltivazione di agrumi, l’Italia è solo al 4° posto e scende al 5° per la produzione.
In evidenza, anche alcune defaillance del sistema produttivo: l’Italia importa agrumi da stati, che, paradossalmente, non ne producono; quasi il 4% di prodotto, infatti, arriva dai Paesi Bassi. Uno sguardo anche alle diverse varietà di agrumi, dalle precoci alle tardive, dalle ibride a quelle irradiate, sino all’ultima trovata, la M7 Novel a maturazione precoce. “Ma, spezzando un’arancia a favore della clementina pura – ha detto ironicamente Mennone – le sue qualità organolettiche sono impareggiabili”.
La presenza di Gianluca Buemi, presidente dell’Ordine degli Agronomi della Provincia di Taranto, è servita a spiegare quanto importante sia la figura dell’agronomo, “vero progettista del cibo, che accompagna il produttore dalla pianta alla tavola”. Assicura, infatti, l’ottimizzazione dei processi produttivi lungo tutta la filiera agroalimentare, difendendo i principi di un’alimentazione sana e nutriente, in grado di garantire la salubrità delle produzioni e la salute del consumatore.
Lo stesso Buemi ha anche analizzato i punti di debolezza della filiera: polverizzazione del tessuto produttivo; inadeguate strategie di commercializzazione e valorizzazione del prodotto sui mercati esteri in un contesto internazionale fortemente competitivo; l’eccesso di offerta ed elevata volatilità dei prezzi; insufficiente aggregazione dell’offerta e, quindi, estrema vulnerabilità del sistema.
La soluzione prospettata? Fare gruppo, anche perché il nuovo Piano di Sviluppo Rurale 2014 – 2020 privilegia, per l’assegnazione delle premialità, le forme associate e, soprattutto, i giovani. All’agronomo Domenico D’Auria, infine, il compito di parlare di agricoltura biologica. Ha, così, preso in esame, gli aspetti legislativi necessari a diversificare la produzione verso il biologico; l’etichetta, che serve per riconoscere un prodotto biologico; il ruolo del produttore nella filiera biologica; i vantaggi, ma anche i limiti, sia pure risolvibili, delle coltivazioni, che utilizzano prodotti di natura organica e, quindi, non sintetizzati chimicamente.