Parliamo di funzionamento dei partiti
24 Gennaio 2011Spesso sentiamo lamentare il fatto che i partiti non siano più “quelli di una volta”. Il Sindaco, ad esempio nel C.C. del 5 Novembre scorso, si augurava che la politica sappia recuperare quanto di buono avevano i vecchi partiti.
Poiché sarebbe qui inutile aprire una discussione sul vecchio modello partitico, è forse opportuno rimandare ad altra occasione tale discorso e, invece, parlare di come funzionano (se funzionano) oggi i partiti. Il nostro angolo visuale privilegiato, ovviamente, sarà orientato al livello locale e quindi su Palagiano.
Per poter giudicare l’operato svolto dai partiti, a mio parere, è possibile prendere in considerazione solo due aspetti: il suo impatto sulle scelte amministrative e la sua capacità di creare consenso tra la popolazione. Si ponga attenzione, il consenso creato dai partiti è qualcosa di diverso dalla semplice sommatoria di consensi personali di cui possono godere i candidati scelti per comporre una lista; il consenso dei partiti, che si compone anche del consenso posseduto dai singoli candidati, è il frutto di un continuo lavoro di confronto, tra tesi diverse, che avviene in sede di discussione al loro interno e che trova la sua sintesi espressiva nelle posizioni alle quali è in grado di giungere il suo gruppo dirigente.
In altre parole, la presenza all’interno di un partito di una minoranza di “irriducibili” contestatori costituisce il sintomo più grave della crisi del suo gruppo dirigente, divenuto ormai incapace di produrre sintesi.
Ovviamente, tale discorso non va tenuto in alcun conto nel caso in cui la frangia degli “irriducibili” si faccia portatrice di posizioni considerate del tutto irragionevoli.
Porto come esempio la discussione avutasi di recente sui rifiuti.
Quella discussione ha visto, tra gli altri, come protagonisti due iscritti del PD: chi scrive e il Sindaco, i quali si facevano portatori di due tesi opposte. Da una parte, chi sosteneva che con il “porta-a-porta” si sarebbero conseguiti dei risparmi e, dall’altra, chi sosteneva l’esatto contrario.
Ora, dopo una discussione protrattasi per quasi due mesi, sembra evidente che l’abbia spuntata (almeno sul piano teorico) chi negava la possibilità del risparmio, ma quale effetto ha comportato questo acclaramento all’interno del PD? Nessuno, poiché chi ha avuto ragione è minoranza in quel partito e perché il gruppo dirigente del PD ha dato dimostrazione del fatto di non sapere neppure che ad esso spetterebbe il compito di “fare sintesi”.
Passiamo adesso a chiederci quali conseguenze comporta questo atteggiamento ad “irresponsabilità illimitata”, messo in mostra dal suo gruppo dirigente, per il PD.
La prima, è quella di dare l’impressione di essere supino ai diktat di chiunque dimostri di essere maggioritario nel numero; anche quando i suoi diktat appaiono palesemente informati da un capriccio e dal timore di apparire come uno sprovveduto colto in flagrante torto.
La seconda, è quella di apparire come un partito del tutto irragionevole e di cui meglio sarebbe non fidarsi per due alternative ragioni: 1) o perché incapace di ragionare del tutto, oppure, 2) fatta salva la sua capacità di saper ragionare, impossibilitato, per ragioni inconfessabili, a saper riconoscere tra due posizioni quella giusta.
Vorrei infine far notare, per non correre il rischio di veder ridurre tutto il discorso da me fatto a una questione di “regolamenti di conti”, come il bipolarismo si presti meglio, rispetto al vecchio sistema proporzionale, a far emergere la vera natura della democrazia.
Oggi, delle minoranze liberali sono presenti (perché “costrette” dal bipolarismo) tanto nel PDL quanto nel PD. La loro presenza si giustifica, oltre che per via della “costrizione” esercitata dal sistema bipolare, per via della profonda fiducia nutrita nei confronti della democraticità asserita da entrambi i partiti.
Grazie a tale asserita democraticità, quei due partiti risultano essere modellati in maniera diversa dai vecchi; il loro riferimento non è più dato da un solido impianto ideologico, ma dalla garanzia che l’adesione a uno dei due risponde unicamente alla condivisione intorno a un’idea della democrazia che è identica a quella lasciataci in eredità dal liberalismo.
In pratica, la discriminante che rende possibile l’appartenenza ad un partito non è più costituita dal dirsi comunisti, socialisti e via di questo passo, ma unicamente dalla fiducia nel fatto che alla base di ogni decisione presa vi sarebbe un discorso ben fondato razionalmente.
Mimmo Forleo