Cleto Iafrate e le sue “analisi”.
30 Novembre 2012Ricordo bene l’articolo in cui Iafrate proponeva l’aggiunta di un codice alfanumerico al codice fiscale, tale da consentire la lettura immediata del “vissuto” economico di ogni “contribuente”, e ricordo altrettanto bene il mio esimermi dal commentare. L’articolo in questione risultava ineccepibile sul piano “tecnico” e non contenendo, se non in piccola parte, valutazioni di tipo morale mi guardai bene dal commentarlo.
Nel suo ultimo articolo invece le valutazioni di detto tipo, venute sia dall’autore che da altri personaggi considerati meritevoli di citazione, abbondano e sono francamente non condivisibili.
Iafrate esordisce con un’affermazione impegnativa: “l’evasione fiscale italiana è pari al 18% del PIL; ciò significa che ogni anno sfuggono alla tassazione ben 280 miliardi di euro”. Mi piacerebbe sapere come fa Iafrate, o chi per lui, ad essere tanto preciso a questo proposito. Ma prendiamo per buono il dato offertoci e facciamo qualche considerazione sull’uso che secondo Iafrate si potrebbe fare di quel denaro, una volta recuperato al fisco: “Bisognerebbe anzitutto recuperare i soldi dell’evasione ed utilizzarli per ridurre l’enorme debito pubblico che affossa la ripresa economica ed è alla base delle ultime manovre lacrime e sangue”.
Faccio intanto notare che riguardo a come il debito si sia formato Iafrate è molto evasivo: “Negli ultimi decenni lo Stato italiano s’è indebitato parecchio, il debito pubblico è arrivato a sfiorare i 2.000 miliardi di euro”. Ci sarebbe anche da aggiungere che il dato monetario in sé, 2.000 miliardi di euro, non dice proprio nulla. Infatti, è solo rapportandolo al PIL annuale, ricavando cioè che è pari a circa il 120% di quest’ultimo, che il dato assume – come dire – una sua “misurabilità”. In altre parole, è come venire a sapere che un soggetto avente un reddito annuale pari a 10.000 euro abbia debiti per 12.000 euro. Dato quel soggetto, il debito di 12.000 euro assume una consistenza drammatica; lo stesso debito, in mano a un altro soggetto percettore di un reddito pari a 100.000 euro annui, assumerebbe invece sembianze ridicole.
Adesso ne sappiamo di più circa il grado di pericolosità di quei 2.000 miliardi di euro di debito in mano italiana ma continuiamo a non sapere o magari ignoriamo volontariamente – come pare fare Iafrate – in quale modo lo Stato italiano sia giunto a indebitarsi tanto drammaticamente.
A tutta prima potrebbe sembrare che la colpa sia degli “evasori”. Assumendo che in media negli ultimi dieci anni questi abbiano sottratto al fisco 200 miliardi l’anno, otteniamo esattamente i 2.000 miliardi di cui si diceva. È dunque colpa loro? Niente affatto, e adesso vi dimostro perché.
Ci sono due buone ragioni che ci portano a dire che, anche nel caso in cui non si fosse verificata alcuna evasione, lo Stato si sarebbe indebitato ugualmente. Forse un po’ meno, ma non è assolutamente detto; atteso che – come si usa dire – l’appetito vien mangiando.
La prima è di tipo storico. Forse qualcuno ricorderà il famoso episodio, risalente ai tempi del governo Prodi, in cui si parlò di un “tesoretto” spuntato da chissà dove; detto tesoretto altro non era che un extra-gettito fiscale dovuto a una manovra finanziaria varata da Tremonti nel 2005. Si era nel 2006 e già allora il debito pubblico viaggiava intorno al 106% del PIL, pensate forse che il tesoretto fu utilizzato per ridurre il debito? Se si, vi sbagliate. Venne infatti “girato” agli italiani sotto forma di spesa pubblica, che fa “clienti”, mentre li sottoponeva ad un altro giro di vite fiscale, per tenere “sotto controllo” la crescita del debito.
La seconda è di tipo teorico. Sin dai tempi di Keynes, che portò la presunta giustificazione teorica all’assunto di cui stiamo per dire, si sostiene che il debito pubblico – come una volta si diceva del vino – farebbe buon sangue. Detto diversamente, la spesa statale in deficit (cioè facendo debiti) viene considerata essenziale per la crescita economica di un paese. Sembrerebbe quasi che, senza debito pubblico, scomparirebbero le occasioni per arricchirsi.
Anche Iafrate pare appartenere a questa scuola di pensiero. Difatti, dopo aver sostenuto che la lotta all’evasione andrebbe fatta per abbattere “l’enorme debito pubblico che affossa la ripresa economica”, alla maniera dei politicanti di razza torna sui propri passi per atteggiarsi a keynesiano: “Pertanto i primi 80 miliardi che lo Stato introita devono essere accantonati per pagare gli interessi sul debito. La parte rimanente, spread permettendo, sarà utilizzata per la sanità, la scuola, la difesa, la sicurezza, eccetera.”
E tanti saluti al debito pubblico!, ché – come diceva la buonanima di Reagan – forse dovremmo cominciare a considerare grande abbastanza e dunque capace di badare a se stesso.
Mimmo Forleo