Tutto quello che vi piace lo dovete al capitalismo (seconda parte)

Tutto quello che vi piace lo dovete al capitalismo (seconda parte)

21 Ottobre 2013 0 Di Life

Lew Rockwell

Lasciate che vi porti indietro nel tempo agli anni 1989 e 1990. Quelli furono gli anni che la maggioranza di noi ricorda come il momento in cui nell’Europa dell’Est e in Russia collassò il socialismo. Gli eventi di quel periodo furono uno schiaffo per tutto il predicare della destra, per il quale quelli erano regimi permanenti che non sarebbero mai cambiati, a meno di un bombardamento tale da riportarli all’età della pietra. A sinistra, era opinione diffusa, persino in quegli anni, che quelle società fossero in realtà benestanti e avrebbero alla fine sorpassato in prosperità gli Stati Uniti e l’Europa occidentale e che, per alcuni versi, già stessero meglio di noi.

E tuttavia collassò. Persino il muro di Berlino, quel simbolo di oppressione e schiavitù, fu tirato giù dalla gente stessa. Non solo fu grandioso vedere collassare il socialismo: fu emozionante, da un punto di vista libertario, vedere come gli stati stessi possono dissolversi. Possono avere tutte le armi e tutto il potere e la gente non avere nulla di tutto ciò, eppure, quando la gente stessa decide che non vuole più essere governata, lo stato resta senza opzioni. Alla fine collassa tra un’intera società che rifiuta di credere ancora alle sue bugie.

Quando queste società chiuse, improvvisamente, sono diventate aperte, cosa abbiamo visto? Abbiamo visto terre dimenticate dal tempo. La tecnologia era arretrata e discontinua; il cibo era scarso e disgustoso; l’assistenza sanitaria era terribile; la gente non era in buona salute; i beni erano inquinati. È stato impressionante anche osservare cos’era successo alla cultura sotto il socialismo. Molte generazioni erano cresciute in un sistema costruito su potere e bugie e così l’infrastruttura culturale che consideriamo garantita non era solida. Nozioni come “fiducia”, “promessa”, “verità”, “onestà” e “progetti per il futuro” – tutti pilastri della cultura commerciale – erano diventate distorte e confuse dall’ubiquità e dalla persistenza della piaga statalista.

Perché mi soffermo su questi dettagli di quel periodo, che sicuramente tutti voi ricordate? Semplicemente per dire questo: la maggioranza delle persone non ha visto quello che avete visto voi. Voi avete visto il fallimento del socialismo. Questo è quello che ho visto io. È quello che vide Rothbard. È quello che chiunque si sia avvicinato agli insegnamenti dell’economia – alle regole elementari delle relazioni di causa e effetto nella società – ha visto. Ma non è quello che vide la sinistra ideologica. I titoli nelle pubblicazioni socialiste stesse proclamarono la morte dello stalinismo antidemocratico e guardarono con impazienza alla creazione di un nuovo socialismo democratico in quei paesi.

Per quanto riguarda la gente comune non associata all’idea socialista né istruita in economia, può essere sembrato niente più che la gloriosa sconfitta dei nemici della politica estera americana. Abbiamo costruito più bombe di loro, così alla fine si sono arresi, allo stesso modo in cui i bambini gridano “tana” quando giocano. Forse alcuni la videro come una vittoria della Costituzione degli Stati Uniti su sistemi di dispotismo misteriosi e stranieri. O forse fu una vittoria per la “libertà di espressione” sulla censura, oppure il trionfo delle schede elettorali sulle pallottole.

Ora, se avessimo tratto le giuste lezioni dal collasso, avremmo visto l’errore di ogni forma di pianificazione governativa. Avremmo visto che una società volontaria funziona sempre meglio di una società soggetta a coercizione. Potremmo vedere quanto fragili e artificiali siano, in definitiva, tutti i sistemi di statalismo in confronto alla robusta permanenza di una società basata sullo scambio volontario e sulla proprietà capitalista. E c’è un altro punto: il militarismo della guerra fredda aveva finito solamente per prolungare il periodo del socialismo, fornendo a questi cattivi governi la possibilità di stimolare sventurati impulsi nazionalistici che distraevano le popolazioni dal problema reale. Non è stata la guerra fredda ad uccidere il socialismo; anzi, una volta che la guerra fredda si era esaurita, questi governi sono collassati per pressioni interne piuttosto che esterne.

In breve, se il mondo avesse tratto le dovute lezioni da questi eventi, non ci sarebbe più bisogno di insegnare l’economia e non ci sarebbe più bisogno della parte più sostanziale di ciò che fa il Mises Institute. In un solo grande momento della storia, la competizione tra capitalismo e pianificazione centrale sarebbe stata risolta per sempre.

Devo dire che fu veramente uno shock, per me e i miei colleghi, il fatto che per la maggioranza della gente il messaggio economico essenziale andò perduto. Davvero, fece pochissima differenza nello spettro politico. La competizione tra capitalismo e pianificazione centrale continuò come sempre e persino si intensificò qui negli Stati Uniti. I socialisti tra noi, se accusarono il colpo, si riorganizzarono subito, forti come sempre, se non di più. Se avete qualche dubbio, considerate che ci volle solo qualche mese prima che questi gruppi cominciassero a lamentare l’orribile assalto scatenato dalla liberazione del capitalismo nell’Europa dell’Est, in Russia e in Cina. Cominciammo a sentire lamentele sull’insorgere di orrendo consumismo in questi paesi, sullo sfruttamento dei lavoratori nelle mani dei capitalisti, sull’ascesa di vistosi super-ricchi. Pile e pile di storie apparvero, sui media, sulle infelici condizioni dei lavoratori statali disoccupati, i quali, sebbene fedeli ai principi del socialismo per tutta la vita, ora finivano sulle strade e dovevano arrangiarsi.

Neanche un evento così spettacolare come il collasso spontaneo di una superpotenza e degli stati alleati fu sufficiente a comunicare il messaggio di libertà economica. E la verità è che un tale evento non era necessario. L’intero nostro mondo pullula di lezioni sui meriti della libertà economica rispetto alla pianificazione centrale. Le nostre vite di tutti i giorni sono caratterizzate dai gloriosi prodotti del mercato, che tutti felicemente consideriamo garantiti. Possiamo aprire i nostri web browser e visitare una civilizzazione elettronica creata dal mercato, notando che il governo non ha mai fatto nulla di utile in confronto.

Siamo inondati quotidianamente anche dai fallimenti dello stato. Ci lamentiamo costantemente che il sistema scolastico è scadente, che il settore medico è malignamente distorto, che il servizio postale non è affidabile, che la polizia abusa dei suoi poteri, che i politici ci hanno mentito, che i soldi delle tasse sono rubati, che qualsiasi burocrazia con cui abbiamo a che fare è disumanamente indifferente. Tutti notiamo questi fatti. Ma pochi sono in qualche modo capaci di collegarli tra loro e vedere la miriade di modi in cui la vita quotidiana conferma la correttezza del giudizio di pensatori radicalmente a favore del mercato, come Mises, Hayek, Hazlitt e Rothbard.

Oltretutto, questo non è un fenomeno recente che possiamo osservare solo ai nostri tempi. Possiamo guardare ad ogni paese e ad ogni periodo e notare che tutta la ricchezza creata nella storia dell’umanità è stata generata tramite qualche tipo di attività di mercato e mai dai governi. La gente libera crea; gli stati distruggono. Era vero nel mondo antico. Era vero nel primo millennio dopo Cristo. Era vero nel Medio Evo e durante il Rinascimento. E con la nascita di strutture di produzione complesse e l’incremento della divisione del lavoro, vediamo come l’accumulo di capitale portò a quello che si può definire un miracolo produttivo. La popolazione mondiale crebbe rapidamente. Si assistette alla creazione della classe media. Si videro i poveri migliorare la propria condizione e modificare la loro identificazione di classe.

La verità empirica non è mai stata difficile da scoprire. Ciò che conta sono gli occhi teorici che guardano. Sono questi a dettare le lezioni che traiamo dagli eventi. Marx e Bastiat scrivevano nello stesso tempo. Il primo disse che il capitalismo stava creando una calamità e che l’abolizione della proprietà era la soluzione. Bastiat vide che lo statalismo stava creando una calamità e che l’abolizione del saccheggio statale era la soluzione. Qual era la differenza tra di loro? Essi videro gli stessi fatti ma li videro in modi molto diversi. Avevano una percezione diversa di causa ed effetto.

[Continua…]

Prima parte

Discorso pronunciato il 17 maggio 2008 al “Mises Circle in Seattle”

Traduzione di Maria Missiroli

http://vonmises.it/2012/10/26/tutto-quello-che-adorate-lo-dovete-al-capitalismo/