Una strana esegesi della Parabola dei talenti
22 Dicembre 2012Cleto Iafrate deve aver scoperto che il segreto della comunicazione è stupire; così, di stupore in stupore, trattando il potenziale lettore come un illetterato incapace di comprendere, si lancia in interpretazioni sue personalissime di qualunque cosa trovi scritta, anche nei Vangeli, che possa fare al caso suo. Ovvero: se intende propagare un suo pregiudizio, si mette alla ricerca del passo giusto, che possa sembrare anche autorevole, e lo piega secondo il suo volere; senza curarsi minimamente di rispettarne il senso originario.
Da buoni cristiani quali certamente siete, cari lettori, abbiate la pazienza di leggere il passo dei Vangeli che troverete qui. Ci risentiamo appena terminata la lettura.
Dunque. Riassumendo brevemente la storia letta, abbiamo un padrone di tre servi il cui capitale liquido ammonta a 8 talenti (moneta dell’epoca in cui fu scritta la parabola). Dovendo questo padrone affrontare un lungo viaggio, si preoccupa giustamente di lasciare la sua sostanza in buone mani. Chi meglio dei tre servi, che deve aver imparato a conoscere da tempo, può soddisfare detta esigenza? Nessuno a quanto pare, e infatti è proprio a loro che il padrone affida gli 8 talenti di cui dispone.
Tale affido non avviene però in maniera equa; il padrone, facendo ancora una volta leva sulla conoscenza che ha dei tre, ne giudica uno più capace degli altri due, e a lui affida ben 5 talenti, e un altro un po’ più capace del terzo. Fedele a tale valutazione, affida a uno 2 talenti e all’altro solo 1.
Adesso poniamoci la seguente domanda: Sulla scorta delle sua conoscenza e del suo giudizio, il padrone ha valutato correttamente i suoi servi?
Per conoscere la risposta dobbiamo aspettare che questi torni dal suo viaggio. Infatti, solo dopo aver saputo l’uso che i tre servi hanno fatto dei capitali loro affidati potremo esprimere a nostra volta un giudizio.
Il padrone torna dal viaggio e riceve i seguenti tre resoconti: il primo servo ha fatto raddoppiare il capitale affidatogli, che è così passato da 5 a 10 talenti; il secondo ha fatto altrettanto, nel suo caso i talenti sono diventati 4, da 2 che erano originariamente; solo il terzo riporta intatto l’unico talento ricevuto. Possiamo perciò dire che i primi due hanno confermato le aspettative del loro padrone, rivelandosi ottimi speculatori, mentre il terzo si è dimostrato solo onesto (poteva benissimo infatti appropriarsi del talento affidatogli accampando come scusa un investimento sbagliato).
A questo punto il padrone, ritenendosi comunque soddisfatto di come siano andate le cose complessivamente, decide di rinunciare a un talento per premiare… i primi due servi?
No!, qui sta la sorpresa che non ci saremmo aspettati. Difatti, sovvertendo ogni logica e non rispettando affatto l’equità di giudizio, premia solo il primo e lascia che il secondo sia contento di poter accedere “nella gioia” del suo Signore. Capirete che soddisfazione!, dopo aver visto un altro ricompensato con un talento.
Quale morale possiamo trarre da questa conclusione?
La morale che si può trarre è solo una: anche Gesù Cristo (del quale si dice che sia un dio) può cadere in errore. Figuratevi adesso se possiamo dar retta a Cleto Iafrate, il quale sostiene che si possa costruire una corretta teoria del reddito partendo dalle assunzioni stabilite da chi è capace di compiere errori tanto grossolani…
Una nota a parte merita la vignetta che ho scelto per illustrare questo post. Quella vignetta spiega esattamente come vanno le cose nel mondo che Cleto Iafrate intende salvare da una minaccia incombente: il debito pubblico.
Continuando a ignorare come sia stato creato quel debito, anche stavolta Iafrate non manca di agitarlo a mo’ di spauracchio. Purtroppo per lui si priva della soddisfazione di capire finalmente cos’è che non va nel suo mondo: a creare il debito è la moltitudine di persone che si ingegnano a escogitare sistemi che dovrebbero salvarci dal debito, guardandosi bene dal riconoscere che la produzione del debito potrebbe essere dovuta alla loro mancata partecipazione alla produzione del reddito.
Mimmo Forleo