Qualcosa sul keynesismo
23 Dicembre 2011In un recente commento, “Gennaro” ha accusato Donato Piccoli di parlare difficile e di rendersi ancor più incomprensibile facendo ricorso a termini come “keynesismo”; utilizzato, da un lato, per descrivere sinteticamente la dottrina politico-economica che informerebbe l’operato dell’attuale Amministrazione comunale e, dall’altro, per definire, altrettanto sinteticamente, il principio che la coalizione “Insieme per Palagiano” intenderebbe riporre nel congelatore per un quinquennio allo scopo di poter conseguire i tre risultati che, a questo punto, dovreste aver mandato a memoria: 1) riduzione e ottimizzazione della spesa pubblica, 2) guadagno di efficienza nel lavoro svolto dagli uffici pubblici, 3) riduzione della pressione fiscale.
Ho usato la metafora del congelatore poiché è evidente che all’interno della coalizione vi sono due partiti, SEL e IDV, che non disdegnano affatto il keynesismo e ne fanno anzi l’asse portante della loro politica economica. Questo a livello nazionale, dove è forse possibile fare ricorso alla leva della spesa pubblica per stimolare i consumi, accrescere la produzione e tirarsi fuori dalle secche della decrescita. Dico “forse” poiché non c’è nessuna certezza del fatto che un aumento della disponibilità di spesa in mano dei privati, si traduca automaticamente in più alto livello di consumi; non si può infatti assolutamente escludere che in una fase di rendimenti crescenti del saggio di interesse dei titoli di debito pubblico, quella maggiore disponibilità monetaria non si riversi sull’acquisto di quei titoli.
Comunque, nell’azione amministrativa di una coalizione che dovesse vincere le elezioni promettendo di congelare il keynesismo, non si darebbe nessuna delle due possibilità poc’anzi esaminate. Al livello degli enti locali, al quale appartiene il Comune, di solito la redistribuzione di risorse non si dà attraverso un mero di trasferimento di denaro, salvo il caso di piccoli assegni assistenziali, ma utilizzando il canale dei servizi. Concentriamo allora la nostra attenzione su questo ambito.
La spesa per servizi va innanzitutto divisa in due capitoli: quella necessaria per assicurare il funzionamento di servizi già esistenti, che possiamo far rientrare nella cosiddetta “spesa corrente”; e quella per attivarne di nuovi, che definiremo di “investimento”. Tra i servizi finanziati a spesa corrente vi sono il lavoro svolto dagli uffici ma anche, per esempio, la biblioteca o la potatura degli alberi. Consideriamo invece investimento la costruzione di un teatro.
Secondo la teoria keynesiana corrente ogni tipo di spesa comporta dei vantaggi. Non importa quanto e come si spende, purché si spenda. Il keynesismo corrente, quindi, nulla o molto poco avrebbe da opporre nei confronti di due interventi di potatura costati complessivamente quasi 20.000€, quelli dell’estate scorsa che hanno riguardato “Venti” e Corso Vittorio Emanuele. Quei soldi sono stati spesi, adesso mettiamoci in attesa di raccogliere gli indubbi benefici che deriveranno da quella spesa. Questo è l’unico discorso che sarebbe consentito fare a un ammalato di keynesite acuta. Lo stesso ammalato poi, contravvenendo a una delle massime di Keynes, “nel lungo periodo saremo tutti morti”, non si curerebbe del fatto che un intero quartiere possa rimanere al buio per qualche mese, avendo lui dato fondo a ogni risorsa in vista di presunti benefici di lungo periodo.
Poiché inoltre in tempi di crisi bisognerebbe spendere ancora di più, una spesa come quella sostenuta per il teatro sarebbe addirittura benedetta (e forse non a caso il nome che si è scelto di attribuire al nostro è quello di un quasi-santo); oltre alla spesa di puro investimento, infatti, grazie al teatro è stato reso possibile incrementare anche quella corrente, nella misura di circa 10.000€ l’anno che il Comune dovrà versare a chi si occuperà di gestirlo.
Va da sé che questa è una rappresentazione caricaturale del pensiero di Keynes, ma è quella che va per la maggiore sotto il nome di “keynesismo corrente”. Se vi va di cercare uno dei suoi campioni di maggior successo a livello locale, non vi resta che pensare al nostro sindaco.
I due esempi appena addotti ci dicono chiaramente che il keynesismo, almeno a Palagiano, nella nostra Palagiano piena di debiti, non è una strada ancora percorribile. Per questa ragione SEL e IDV hanno di buon grado accettato l’idea che sia giunto il momento di fare uso del congelatore.
Questo non significa affatto, giusto per tranquillizzare i suoi più accesi fan, dismettere del tutto Keynes; significa semplicemente limitare l’applicazione delle sue dottrine. Nessuno si sogna di azzerare la spesa pubblica – ché risulterebbe contrastante col dettato costituzionale, oltretutto –, semmai la si vuole orientare sfrondandola di quelle voci che il linguaggio comune definisce col termine “spreco”.
Mimmo Forleo