“Siamo uomini o caporali”

“Siamo uomini o caporali”

20 Ottobre 2016 2 Di Life

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« L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: Uomini e caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza.

Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama.

I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque.

Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera! »

Così si esprimeva l’amatissimo Totò in uno dei primi film italiani, uscito nel 1955: “Siamo uomini o caporali”.

Ed evidentemente il Senato prima e la Camera poi, con l’approvazione definitiva della legge sul caporalato di martedì 18 ottobre, hanno voluto ricondurre i datori di lavoro agricoli, tutti indistintamente, alla categoria dei caporali, come descritta dal grande Totò, anziché a quella degli uomini!

Il testo definitivo della legge in corso di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, infatti, riscrive l’art. 603 bis del codice penale rubricato “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, prevedendo, tra le altre cose, la responsabilità diretta del datore di lavoro sulla base di vari indici di sfruttamento anche di molto lieve entità.

Le novità introdotte – facilmente reperibili sui quotidiani nazionali di questi giorni o sul web – sono anche altre, ma su questo punto voglio richiamare l’attenzione.

Accanto alla classica figura del caporale, ossia l’intermediario illecito di manodopera, la nuova norma prende in considerazione ora, ponendole sulle stesso piano, la figura del datore di lavoro ossia colui che utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione del classico caporale, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Per configurarsi il reato non è innanzitutto necessario che il lavoratore sia “in nero”, ma si può configurare anche in presenza di lavoratori regolarmente assunti.

Come si è detto le condizioni di sfruttamento dei lavoratori, secondo la nuova norma, sono ancorate ad alcuni indici utili a determinare la gravità del reato (ma sempre di reato si tratta) del datore di lavoro. Alla luce di tali indici, il datore di lavoro agricolo potrebbe incappare in un reato penale per davvero poco.

Se si pensa infatti che, tra i vari indici di sfruttamento, vi sono la reiterata corresponsione di retribuzioni difformi dalle previsioni dei contratti collettivi nazionali o territoriali, l’inosservanza anche minima degli orari di lavoro previsti e delle norme di sicurezza dei luoghi di lavoro, sarà molto semplice che il datore di lavoro agricolo si cacci nei guai.

Per rendere più agevole il discorso, dato il periodo, si può prendere in considerazione l’esempio di una piccola azienda agricola, a gestione familiare o quasi, in cui ci si sta occupando della raccolta di agrumi.

In sede di visita ispettiva emergerà che i lavoratori occupati, sebbene regolarmente assunti anche da una persona perbene, stiano lavorando in regime di sfruttamento. Come mai? Molto semplice: sarà sufficiente che gli stessi calzino un paio di stivali anziché delle scarpe antinfortunistiche e dichiarino di percepire una retribuzione giornaliera comunque inferiore a quella lorda prevista dal contratto provinciale di € 58,15 (netta di circa € 53,00) che i datori di lavoro di questi tempi – non per mancanza di volontà, ma per le oggettive condizioni di difficoltà – sono impossibilitati a pagare.

In questo modo gli indici avranno rivelato che i lavoratori sono occupati in regime di sfruttamento poiché risultano violate le norme in materia di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro (in quanto senza dotazione di scarpe antinfortunistiche) e non risulta corrisposta la retribuzione prevista dal contratto collettivo provinciale per quella mansione.

Tale condotta, che finora poteva essere solo passibile di sanzioni e conseguenze di natura amministrativa, potrà ora comportare al datore di lavoro anche la reclusione da uno a sei anni e una multa da € 500,00 ad € 1.000,00 per ogni lavoratore occupato.

Sono previste circostanze aggravanti del “delitto” commesso in alcuni casi: ad esempio se i lavoratori occupati sono più di tre.

Si stabiliscono, inoltre, la confisca dei beni come avviene con le organizzazioni criminali mafiose, l’arresto in flagranza. E’ stato introdotto l’allargamento del reato anche attraverso l’eliminazione della violenza (che insieme alla minaccia comporta comunque un aggravio della pena) come elemento necessario e che rendeva più complessa l’applicazione effettiva della norma del codice penale.

In quest’ottica, purtroppo, la norma così strutturata non mira più al fenomeno criminoso del caporalato incentivato da una parte minoritaria del mondo agricolo, ma tenderà a penalizzare la sana piccola e media impresa del nostro territorio – e non solo – già gravemente pressata, se non addirittura vessata, da un intollerabile sistema burocratico.