Terremoto de L’Aquila, per non dimenticare
7 Aprile 20136 Aprile, terremoto de L’Aquila, non si dimentichi!
Oggi, nella giornata triste del ricordo delle Vittime de L’Aquila, vi ripropongo le parole di Giustino Parisse che ha perso i due figli e il padre. Prima però l’ultimo aggiornamento del processo al quale Parisse si riferisce.
22 ottobre 2012. Dopo 5 ore di camera di consiglio il giudice del Tribuna tristele dell’Aquila Marco Billi emette la sentenza di condanna contro il presidente della Grandi Rischi, l’allora vicecapo della Protezione Civile Bernardo De Bernardinis, l’allora presidente dell’Ingv Enzo Boschi, il direttore del servizio sismico del Dipartimento della Protezione Civile Mauro Dolce, il direttore del centro nazionale terremoti Giulio Selvaggi, il direttore di Eucentre Gian Michele Calvi, il professore di fisica dell’Università di Genova Claudio Eva, che il 31 marzo del 2009 ( 5 giorni prima del sisma che devastò L’Aquila) parteciparono alla riunione convocata dall’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso per fare il punto sulla situazione. Una condanna definita esemplare: 6 anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Sono state fornite informazioni “imprecise e incomplete” alla popolazione, detta la sentenza che vede gli imputati responsabili della morte di 29 persone e del ferimento di 4 che avevano avuto un atteggiamento dovuto alla sottovalutazione del pericolo da parte della Commissione Grandi Rischi.
COMMISSIONE GRANDI RISCHI: TUTTI CONDANNATI. GIOIRE? NO, HO PIANTO PER I MIEI FIGLI.
Adesso quello che più addolora è la consapevolezza che “forse” qualcuna di quelle 309 Vite poteva essere salvata
Ho saputo della sentenza di condanna per i componenti della commissione Grandi Rischi poco dopo le 17 del 22 ottobre dal sito internet del mio giornale. Ero nella stanzetta di legno della redazione aquilana de Il Centro. Solo. Poche ore prima avevo deciso di non andare ad assistere al momento conclusivo del processo. Ho avuto lo stesso rifiuto che ebbi quando non volli vedere i miei due figli senza vita. Per me tutto è finito alle 3.32 del sei aprile del 2009. Quello che è accaduto (e accade) dopo non ha contorni precisi e ne afferro a fatica il senso. Ho pianto anche ieri, in silenzio. Non erano lacrime di soddisfazione. Era il dolore che esplodeva nello stomaco quasi a togliere il fiato. Ho rivisto attimo per attimo i momenti in cui le macerie si sono portate via i miei ragazzi e quell’urlo «Papà, Papà» è tornato a incidere la carne. Eppure anche di fronte a una condanna tanto dura non riesco a immaginare quegli uomini, che ora potrebbero rischiare il carcere, come gli assassini dei miei figli. Nei mesi scorsi, anche durante il processo, ho stretto la mano ad alcuni di loro e non le ho trovate sporche di sangue. Ho visto uomini fragili forse consapevoli di aver sbagliato e per questo caduti nel vortice di una tragedia che ha finito per travolgere anche loro. No. Non me la sento di gridargli contro la mia rabbia. Quella continuo a gridarla a me stesso. Sono io la causa prima della morte di Domenico e Maria Paola e non me lo perdonerò mai. Certo fra le tante colpe che ho c’è anche quella di essermi fidato della commissione Grandi Rischi credendo a una scienza che in quella riunione del 31 marzo del 2009 rinunciò a essere scienza. Questa è una condanna in un processo di primo grado. Credo di essere facile profeta a ipotizzare che nei vari gradi di giudizio tutto potrebbe sciogliersi come neve al sole. Non sarò io a dolermene. Oggi a fronte di una sentenza presto destinata alla polvere degli archivi, non provo nulla: né soddisfazione, né amarezza, né voglia di vendetta. Quando dentro si ha un dolore così lancinante gli altri sentimenti si inabissano.
Questo processo è stata una sconfitta per tutti. E’ lo Stato che ha condannato se stesso. Uno Stato che in quel 31 marzo 2009 aveva rinunciato al suo ruolo: quello di proteggere i cittadini per piegarsi alla volontà della politica che doveva mettere a tacere i disturbatori. E’ per questo che quello che si è svolto nel tribunale dell’Aquila non è stato un processo alla scienza. E’ stato piuttosto un processo a scienziati che di fronte al volere dei potenti dell’epoca hanno “staccato” il cervello e obbedito agli ordini. Oggi condannarli al rogo non serve. Io non lo faccio e spero che anche il loro tormento interiore – che pure non ha nulla a che spartire con chi ha perso tutto – venga compreso e rispettato.
Le sentenze vanno sempre accettate e lo avrei fatto anche in caso di assoluzione. Per me dopo questa condanna che suona obiettivamente molto pesante, non cambia nulla. Ora assisterò a dibattiti senza fine sulla scienza condannata per non aver previsto il terremoto. Io sono fra quelli che ha sollecitato l’avvio dell’indagine con un esposto. L’ho fatto perché volevo che quella vicenda (la riunione della Grandi Rischi) venisse scandagliata e approfondita in un’aula di tribunale: oggi, nel 2012, basta leggere i comunicati della Protezione civile per scorgere persino un eccesso di zelo, come quando pochi giorni fa su Roma era stato previsto il diluvio universale. Ma è meglio così. Quando si tratta di fenomeni della natura, soprattutto quelli che non sono prevedibili con certezza, meglio allarmare che rassicurare. Se fosse accaduto anche all’Aquila che so, avrei passato qualche notte all’addiaccio, ma la vita dei miei figli non si sarebbe fermata per sempre. Ho visto che nella sentenza si parla di risarcimenti. Sin dal primo momento ho detto che per la morte dei miei figli non voglio nemmeno un euro. Ci sarebbe un solo modo per essere risarcito per ciò che è accaduto: avere la possibilità di abbracciare di nuovo i miei ragazzi. E’ successo una settimana fa. Sognavo. Poi mi sono svegliato.
Giustino Parisse.