Vent’anni dopo
2 Aprile 2012Forse molti lettori di Palagiano.net hanno sentito parlare per la prima volta di von Hayek più di cinque anni fa, quando in un commento citai la sua teoria del parlamentarismo. L’ho citato altre volte, ma dubito vi sia piena consapevolezza (a Palagiano come altrove) dell’importanza del suo pensiero. Quest’anno ricorre il ventesimo della sua morte, mi è parso giusto ricordarlo attraverso questo contributo “rubato” a Chicago-blog.
Hayek e la regressione del Diritto
di Gerardo Coco
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Gerardo Coco.
Per ricordare il ventennale della morte di Friedrich August Hayek, su questo blog sono state fatte illuminanti considerazioni. Qui vorrei ricollegarmi a quelle di Serena Sileoni.
Ma innanzi tutto una domanda: perché le penetranti idee di Hayek e quelle del suo maestro Mises non sono mai entrate nella “cassetta degli attrezzi” degli economisti ufficiali? Perché lo statalismo, come dottrina dominante, non può tollerare l’esistenza di veri economisti.
Facendo tacere Mises ed Hayek, l’ideologia statalista ha bandito lo studio della scienza economica dalle università. Lo statalismo, infatti, non vuole economisti, ma “specialisti regolatori” che studino misure per impedire il funzionamento dell’economia di mercato.
E’ uno scandalo intellettuale di incredibile portata. Persino nelle più accreditate opere sul pensiero economico non c’è che qualche misero accenno ai due grandi economisti. Nell’Economic Theory in Retrospect, famosa storia del pensiero economico del cattedratico della London School of Economics, Mark Blaug, deceduto l’anno scorso, Mises non viene neppure citato.
Il fatto è che “l’Accademia”, prostituitasi da decenni alle idee del gigolò della scienza economica, Lord Keynes, che voleva operare il miracolo di trasformare le pietre in pane e l’acqua in vino, è entrata in servizio permanente effettivo dello Stato per appoggiarlo nei suoi programmi ridistribuivi a favore di alcuni e a danno di altri.
Naturalmente questo è servito ad ottenere stipendi e fondi per ricerche inutili, altrimenti negati. Così per compiacere il Leviatano e diventandone dipendente, l’accademia ha perso un bene più prezioso: la libertà dell’indipendenza intellettuale.
La grandezza di Hayek e quella di Mises sta prima di tutto nella loro fermezza e netta opposizione ai dettami del conformismo intellettuale e così hanno salvaguardato le fondamenta dell’economia come scienza della ragione.
Per lo statalismo l’economia di mercato è diventato un fenomeno da tollerare come se fosse un’anomalia con cui dobbiamo convivere.
Memorabile a questo riguardo il leitmotive del Presidente del Consiglio, Monti: “l’equità come chiave di sviluppo”, degno epitaffio per la futura pietra tombale del governo attuale.
Hayek, appunto, notava che l’equità, la giustizia ridistribuiva, il cavallo di troia dei regimi totalitari,(e qui mi riallaccio alle considerazioni della Sileoni) porta ad un progressiva sostituzione del diritto privato con quello pubblico. L’ideologia antimercato che vuole regolare tutte le cose tramite precetti e divieti riducendo l’economia ad un fatto amministrativo, non può non contaminare anche il diritto.
Lo statalismo per essere efficace deve contare sulla sua acquiescenza per garantirsi la legittimità di progettare la società secondo i suoi particolari e arbitrari criteri. La tendenza a socializzare l’economia deve pertanto prevedere la socializzazione del diritto trasformando, il più possibile, il diritto privato in diritto pubblico. Negli ex paesi socialisti infatti esisteva praticamente solo il diritto pubblico. Quest’ultimo non è formato da norme di condotta per i privati cittadini ma da norme di organizzazione per pubblici ufficiali. E’ un diritto che non tende a regolare i rapporti tra i cittadini ma a subordinarli all’autorità.
Nella lotta per l’equità e giustizia sociale, anche i giudici sono diventati parte attiva per scardinare ancora di più il mercato. La giustizia distributiva non è né equa né egualitaria, ma procede secondo uno schema di valori che è quello di chi di volta in volta governa, di chi legifera o di chi è giudice. Nel diritto non dovrebbero avere cittadinanza giudizi di valore, dovrebbe essere un elemento coordinatore per trattare i cittadini allo stesso modo, altrimenti si trasforma in diritto “subordinante” che appoggia gli interessi di qualcuno in base al metro di valore che vi è implicito.
E così anche il corpo legislativo è diventato interventista ed in questo modo alimenta quel processo di corruzione che vorrebbe combattere. Più uno stato è corrotto, più legifera (Tacito). La legge dispone ed il cittadino obbedisce, questa è la democrazia dove il cittadino e le sue proprietà diventano meri oggetti della pubblica amministrazione. Si capisce perché Hayek non si definiva democratico. Per lui, la democrazia, il governo della maggioranza dotato di potere illimitato era diventato dispotico come un tiranno qualsiasi. Lo scopo delle costituzioni, scriveva è quello di prevenire le azioni arbitrarie ma la democrazia diventando un processo di acquisizione di voti per remunerare interessi particolari, ha aperto le porte all’arbitrio legislativo.
Si è inaugurata così l’epoca dell’oscurantismo non solo economico ma anche giuridico. Più aumenta la presenza dello stato nell’economia più scende in basso la reputazione del governo parlamentare, più viene coartata la libertà individuale, più il diritto diviene incerto perché ispirato dalla politica. Infine, la tendenza a portare tutti gli interessi sotto il proprio controllo distrugge anche lo spirito pubblico. Sempre e dovunque.
http://www.chicago-blog.it/2012/03/24/hayek-e-la-regressione-del-diritto-di-gerardo-coco/